Come si interviene. I Diversi tipi di Missione
Per il mantenimento della pace e della sicurezza fra gli Stati, oppure il ripristino della pace e della sicurezza in aree destabilizzate da conflitti, la Comunità Internazionale intraprende azioni, che possono essere tutte racchiuse nel concetto di Peace Support Operations. Questo concetto si materializza sul terreno attraverso realizzazioni operative che vengono comunemente definite “missioni” Scopo di questa nota è quello di definire e comprendere i diversi tipi di “missioni nell’ambito della Peace Supports Operations e le varie combinazioni che tra loro possono interagirsi.
Premessa ad ogni tipo di definizione e il concetto che le missioni sono calibrate in base al tipo di intervento che è richiesto, e quindi hanno un diverso tipo di intensità. Da quelle più blande, via via si aumenta il grado di intensità dell’intervento fino ad un culmine, cioè l’uso vero e proprio della forza, quando non vi sono altre possibilità per ottenere un minimo di sicurezza.
Ogni tipo di “missione” deve avere, quindi, dei parametri comuni, che indichiamo sommariamente: la definizione e nome della “missione”; lo scopo della “missione” chiaro ed inequivocabile, periodo storico in cui si deve svolgere e l’aspetto giuridico entro cui la missione si deve attuare. Senza questi parametri si è al di fuori del concetto di “missione” a sostegno delle Peace Support Operations..
Vediamo quali tipi di missione possono essere definiti, tenendo presente che la materia è in costante evoluzione, sia concettualmente che in dottrina. Iniziano con la “missione” detta Di Buoni Uffici (Fact-finding). L’ONU, e in genere le altre organizzazioni Regionali o sub Regionali, svolgono tutta una serie di operazioni per raccogliere informazioni, monitorare, avere elementi di decisione riguardo una particolare situazione in una determinata area. In pratica sono gli occhi e le orecchie dell’ONU, o della Organizzazione che le ha promosse. La loro composizione e durata varia in funzione della complessità della situazione, toccando questioni politiche, militari, tecniche, elettorali, umanitarie. Strutturalmente sono composte prevalentemente da personale dell’ONU, o della Organizzazione che le ha promosse, anche se possono essere guidate da Personalità di spicco estranee all’ONU stesso. Queste “missioni” di Buoni Uffici operano in un quadro preparatorio per una missione di osservazione o di una vera e propria Peace Support Operations. Esempio: Nell’ aprile 1966 una missione di fact-finding ha visitato il paese della Nigeria per controllare la situazione politica e di sicurezza in vista di una missione di sorveglianza elettorale. Possono seguire missioni di Azioni di Capi Missione, Rappresentanti e Inviati Speciali, Inviati e Rappresentanti Personali, Amministratori provvisori : L’ONU dispone per la sua azione di investigazione politica, diplomazia preventiva e buoni uffici di strumenti che sono accanto alle vere e proprie Peace Support Operations: ovvero i Rappresentanti e gli Inviati Speciali e Personali. Non esiste una gerarchia specifica per queste figure: l’unico dato che le accomuna e che si tratta di personalità di grande esperienza e che godono la figura del Segretario Generale. Esempio: In Yugoslavia dal 1991 al 1993 ha operato come L’Inviato Speciale del Segretario Generale l’americano Cyrus Vance, con lo scopo di riportare la pace in quelle aree secondo le risoluzione dell’ONU. Oltre che in presenza di conflitti, vi possono anche essere eventi come disastri naturali, carestie, epidemia ecc. che impongono di intervenire non solo con le armi. Abbiamo quindi missioni di Assistenza Umanitaria Il concetto di Assistenza Umanitaria è chiaro: occorre portare aiuto da parte della Comunità Internazionale, a popolazioni che ne hanno bisogno a seguito di situazioni che hanno portato per cause diverse al collasso e che hanno messo in discussione la sopravvivenza stessa delle popolazioni colpite. L’esempio classico è l’attività dell’UNRRA, United Nations Reconstrution and Rehabilitation Admistration che svolse il suo lavoro dal 1945 al 1947 nei Paesi Europei sconvolti dalla seconda guerra mondiale. Accanto alle operazioni di Assistenza Umanitaria vi sono le varie missioni di soccorso internazionale avviate a seguiti di disastri naturali o emergenze civili. In questo quadro occorre citare la mobilitazione internazionale di assistenza umanitaria in Estremo Oriente nel 1979 a favore del flusso di rifugiati vietnamiti che a bordo di piccoli battelli ( i Boat people) cercavano di raggiungere le nazioni vicine. L’Italia partecipò a questa operazione inviando l’8° Gruppo Navale composto dalle navi “Vittorio Veneto”, “Andrea Doria” e “Stromboli” che recuperarono e diedero assistenza a centinaia di profughi.
Rientrando nell’alveo diplomatico-militare si deve citare la missione di “Diplomazia Preventiva” (Preventive Diplomacy). Siamo ancora in una fase in cui il peggio può accadere ma non si è manifestato e lo si vuole evitare. Sono azioni tese ad impedire l’accendersi di una crisi o ad allontanarne gli effetti, e si materializzano in negoziati, nella mediazione, nella conciliazione, in azione di buoni uffici e nell’arbitrato.
I tipi di “missioni” seguenti sono quelle classiche relative all’intervento nel quadro delle Peace Supports Operations. Utilizziamo la dizione anglosassone in quanto ormai sono entrate nell’uso comune
Missione di “Peace making”: consiste nell’insieme di attività nelle quali sono presenti iniziative diplomatiche e di mediazione per convincere le parti coinvolte in un conflitto in corso (sia esso intestatale o intrastatale) a raggiungere una forma di accordo.
Missione di “Peacekeeping” consiste, in presenza del fatto che non sono altre possibilità di soluzione del conflitto nell’ invio di personale militare di una terza parte, generalmente sotto l’egida di una Organizzazione Internazionale, che a volte può essere rappresentato da un gruppo di Stati graditi dai contendenti, quale garanzia di una intesa minima già raggiunta tra i contendenti, in genere un cessate il fuoco o una tregua stabile.
A questo tipo di missione può seguire quella di “Peace building” che ha come obbiettivo la costruzione e ricostruzione delle condizioni di Pace e di sicurezza collettiva avendo come premessa, appunto, le attività di Peacekeeping; consiste in tutte quelle attività che consentono la ripresa delle condizioni di vita ordinaria (comprendono programmi di aiuto e ricostruzione economica, sociale, sanitario, educativo-scoalstica ecc.). Collegata alla “missione” di “Peacebuilding” vi è il concetto di “missione” “Nation Building”, ovvero insieme di azioni che la Comunità Internazionale pone in essere per ricostruire uno Stato quando esso si era completamente dissolto. Questa missione può articolarsi in “Nation Building diretto” (es. Somalia, Mozambico, Angola, Ruanda Cambogia) o in “Nation Building indiretto” quando in essere esiste una struttura organizzativa e amministrativa, ma lo Stato non può esercitare la sovranità (es. Albania degli anni ‘90). Sempre collegato al tipo di missione di “Peacebuilding” è il concetto di missione di “ Peacerestoring”, ovvero misure di fiducia reciproca, di buoni uffici e di mediazione protratti nel tempo in una determinata area.
La missione di “Post conflict peace building” presuppone un conflitto a larghe dimensioni, in genere di guerra classica, che prevede l’attuazione di tutte quelle attività che consentono la ripresa delle condizioni di vita ordinaria (comprendono programmi di aiuto e ricostruzione economica, sociale, sanitario, educativo-scolastica ecc.)
La missione di “Peace renforcement “ rappresenta il culmine delle possibilità di intervento da parte di soggetti esterni in un area di conflitto. Sono misure pesanti, che molti osservatori non credono opportuno inserirle nell’ambito delle Peace Support Operations in quanto questo tipo di missione è incentrato in un intervento in cui è previsto l’impiego della forza militare vero e proprio, spesso senza limitazioni o regole di ingaggio a maglie estremamente larghe. E’ chiaro che siano di fronte a casi estremamente gravi e solo metodi forti e draconiani possono permettere il ripristino della pace e della sicurezza nell’area di intervento.
Occorre fare cenno anche al tipo di missione che va sotto il nome di “Peace keeping by proxy - Delegatory Peacekeeping” che consiste nel proseguire le operazioni in essere nel momento in cui una organizzazione a carattere globale incarica una organizzazione regionale o una coalizioni di Stati appositamente formatasi per svolgere operazioni di pace in una determinata area. Il caso più eclatante di questo tipo di “missione” è quello in cui l’ONU uscì dalla diretta gestione delle operazioni sul terreno in Bosnia, passandone il compito alla Nato, la quale, dopo aver svolto un ruolo decisivo nello sbloccare la crisi, che sembrava avvitarsi senza fine su se stessa in un bagno di sangue, è entrata direttamente nella gestione della pace. Le forze dell’ONU furono sostituite da una forza multinazionale a comando ONU, la Implementation Force (Ifor), che poi, dal 20 dicembre 1996, divenne la Stabilization Force (Sfor) e dal 2005, la Nato passa la mano alla Unione Europea che da origine alla Operazione “Altea”.
Il quadro generale descritto del tipo di “ missione”, che sicuramente non è esaustivo della materia, può permettere di invitare il lettore a individuare nelle attuali missioni in atto il loro genere. Ad esempio l’invio delle forze organizzate dalla Unione Africana in Somalia, ed in particolare a Mogadiscio, a seguito dell’intervento dell’Etiopia a sostegno del governo federale e contro le Corti Islamiche per il ripristino della pace e della sicurezza può essere visto come una missione di “peacekeeping” oppure di “peace renforceement”.? La risposta non è semplice, dato il carattere estremamente complicato della situazione in Somalia. Alcuni commentatori propendono per il “peacekeeping” altri per il “peace renforceement”. Questa incertezza sottolinea il fatto che è sempre difficile dare esattamente delle definizioni in questo genere di materie. (coltrinari@tiscali.it)
Premessa ad ogni tipo di definizione e il concetto che le missioni sono calibrate in base al tipo di intervento che è richiesto, e quindi hanno un diverso tipo di intensità. Da quelle più blande, via via si aumenta il grado di intensità dell’intervento fino ad un culmine, cioè l’uso vero e proprio della forza, quando non vi sono altre possibilità per ottenere un minimo di sicurezza.
Ogni tipo di “missione” deve avere, quindi, dei parametri comuni, che indichiamo sommariamente: la definizione e nome della “missione”; lo scopo della “missione” chiaro ed inequivocabile, periodo storico in cui si deve svolgere e l’aspetto giuridico entro cui la missione si deve attuare. Senza questi parametri si è al di fuori del concetto di “missione” a sostegno delle Peace Support Operations..
Vediamo quali tipi di missione possono essere definiti, tenendo presente che la materia è in costante evoluzione, sia concettualmente che in dottrina. Iniziano con la “missione” detta Di Buoni Uffici (Fact-finding). L’ONU, e in genere le altre organizzazioni Regionali o sub Regionali, svolgono tutta una serie di operazioni per raccogliere informazioni, monitorare, avere elementi di decisione riguardo una particolare situazione in una determinata area. In pratica sono gli occhi e le orecchie dell’ONU, o della Organizzazione che le ha promosse. La loro composizione e durata varia in funzione della complessità della situazione, toccando questioni politiche, militari, tecniche, elettorali, umanitarie. Strutturalmente sono composte prevalentemente da personale dell’ONU, o della Organizzazione che le ha promosse, anche se possono essere guidate da Personalità di spicco estranee all’ONU stesso. Queste “missioni” di Buoni Uffici operano in un quadro preparatorio per una missione di osservazione o di una vera e propria Peace Support Operations. Esempio: Nell’ aprile 1966 una missione di fact-finding ha visitato il paese della Nigeria per controllare la situazione politica e di sicurezza in vista di una missione di sorveglianza elettorale. Possono seguire missioni di Azioni di Capi Missione, Rappresentanti e Inviati Speciali, Inviati e Rappresentanti Personali, Amministratori provvisori : L’ONU dispone per la sua azione di investigazione politica, diplomazia preventiva e buoni uffici di strumenti che sono accanto alle vere e proprie Peace Support Operations: ovvero i Rappresentanti e gli Inviati Speciali e Personali. Non esiste una gerarchia specifica per queste figure: l’unico dato che le accomuna e che si tratta di personalità di grande esperienza e che godono la figura del Segretario Generale. Esempio: In Yugoslavia dal 1991 al 1993 ha operato come L’Inviato Speciale del Segretario Generale l’americano Cyrus Vance, con lo scopo di riportare la pace in quelle aree secondo le risoluzione dell’ONU. Oltre che in presenza di conflitti, vi possono anche essere eventi come disastri naturali, carestie, epidemia ecc. che impongono di intervenire non solo con le armi. Abbiamo quindi missioni di Assistenza Umanitaria Il concetto di Assistenza Umanitaria è chiaro: occorre portare aiuto da parte della Comunità Internazionale, a popolazioni che ne hanno bisogno a seguito di situazioni che hanno portato per cause diverse al collasso e che hanno messo in discussione la sopravvivenza stessa delle popolazioni colpite. L’esempio classico è l’attività dell’UNRRA, United Nations Reconstrution and Rehabilitation Admistration che svolse il suo lavoro dal 1945 al 1947 nei Paesi Europei sconvolti dalla seconda guerra mondiale. Accanto alle operazioni di Assistenza Umanitaria vi sono le varie missioni di soccorso internazionale avviate a seguiti di disastri naturali o emergenze civili. In questo quadro occorre citare la mobilitazione internazionale di assistenza umanitaria in Estremo Oriente nel 1979 a favore del flusso di rifugiati vietnamiti che a bordo di piccoli battelli ( i Boat people) cercavano di raggiungere le nazioni vicine. L’Italia partecipò a questa operazione inviando l’8° Gruppo Navale composto dalle navi “Vittorio Veneto”, “Andrea Doria” e “Stromboli” che recuperarono e diedero assistenza a centinaia di profughi.
Rientrando nell’alveo diplomatico-militare si deve citare la missione di “Diplomazia Preventiva” (Preventive Diplomacy). Siamo ancora in una fase in cui il peggio può accadere ma non si è manifestato e lo si vuole evitare. Sono azioni tese ad impedire l’accendersi di una crisi o ad allontanarne gli effetti, e si materializzano in negoziati, nella mediazione, nella conciliazione, in azione di buoni uffici e nell’arbitrato.
I tipi di “missioni” seguenti sono quelle classiche relative all’intervento nel quadro delle Peace Supports Operations. Utilizziamo la dizione anglosassone in quanto ormai sono entrate nell’uso comune
Missione di “Peace making”: consiste nell’insieme di attività nelle quali sono presenti iniziative diplomatiche e di mediazione per convincere le parti coinvolte in un conflitto in corso (sia esso intestatale o intrastatale) a raggiungere una forma di accordo.
Missione di “Peacekeeping” consiste, in presenza del fatto che non sono altre possibilità di soluzione del conflitto nell’ invio di personale militare di una terza parte, generalmente sotto l’egida di una Organizzazione Internazionale, che a volte può essere rappresentato da un gruppo di Stati graditi dai contendenti, quale garanzia di una intesa minima già raggiunta tra i contendenti, in genere un cessate il fuoco o una tregua stabile.
A questo tipo di missione può seguire quella di “Peace building” che ha come obbiettivo la costruzione e ricostruzione delle condizioni di Pace e di sicurezza collettiva avendo come premessa, appunto, le attività di Peacekeeping; consiste in tutte quelle attività che consentono la ripresa delle condizioni di vita ordinaria (comprendono programmi di aiuto e ricostruzione economica, sociale, sanitario, educativo-scoalstica ecc.). Collegata alla “missione” di “Peacebuilding” vi è il concetto di “missione” “Nation Building”, ovvero insieme di azioni che la Comunità Internazionale pone in essere per ricostruire uno Stato quando esso si era completamente dissolto. Questa missione può articolarsi in “Nation Building diretto” (es. Somalia, Mozambico, Angola, Ruanda Cambogia) o in “Nation Building indiretto” quando in essere esiste una struttura organizzativa e amministrativa, ma lo Stato non può esercitare la sovranità (es. Albania degli anni ‘90). Sempre collegato al tipo di missione di “Peacebuilding” è il concetto di missione di “ Peacerestoring”, ovvero misure di fiducia reciproca, di buoni uffici e di mediazione protratti nel tempo in una determinata area.
La missione di “Post conflict peace building” presuppone un conflitto a larghe dimensioni, in genere di guerra classica, che prevede l’attuazione di tutte quelle attività che consentono la ripresa delle condizioni di vita ordinaria (comprendono programmi di aiuto e ricostruzione economica, sociale, sanitario, educativo-scolastica ecc.)
La missione di “Peace renforcement “ rappresenta il culmine delle possibilità di intervento da parte di soggetti esterni in un area di conflitto. Sono misure pesanti, che molti osservatori non credono opportuno inserirle nell’ambito delle Peace Support Operations in quanto questo tipo di missione è incentrato in un intervento in cui è previsto l’impiego della forza militare vero e proprio, spesso senza limitazioni o regole di ingaggio a maglie estremamente larghe. E’ chiaro che siano di fronte a casi estremamente gravi e solo metodi forti e draconiani possono permettere il ripristino della pace e della sicurezza nell’area di intervento.
Occorre fare cenno anche al tipo di missione che va sotto il nome di “Peace keeping by proxy - Delegatory Peacekeeping” che consiste nel proseguire le operazioni in essere nel momento in cui una organizzazione a carattere globale incarica una organizzazione regionale o una coalizioni di Stati appositamente formatasi per svolgere operazioni di pace in una determinata area. Il caso più eclatante di questo tipo di “missione” è quello in cui l’ONU uscì dalla diretta gestione delle operazioni sul terreno in Bosnia, passandone il compito alla Nato, la quale, dopo aver svolto un ruolo decisivo nello sbloccare la crisi, che sembrava avvitarsi senza fine su se stessa in un bagno di sangue, è entrata direttamente nella gestione della pace. Le forze dell’ONU furono sostituite da una forza multinazionale a comando ONU, la Implementation Force (Ifor), che poi, dal 20 dicembre 1996, divenne la Stabilization Force (Sfor) e dal 2005, la Nato passa la mano alla Unione Europea che da origine alla Operazione “Altea”.
Il quadro generale descritto del tipo di “ missione”, che sicuramente non è esaustivo della materia, può permettere di invitare il lettore a individuare nelle attuali missioni in atto il loro genere. Ad esempio l’invio delle forze organizzate dalla Unione Africana in Somalia, ed in particolare a Mogadiscio, a seguito dell’intervento dell’Etiopia a sostegno del governo federale e contro le Corti Islamiche per il ripristino della pace e della sicurezza può essere visto come una missione di “peacekeeping” oppure di “peace renforceement”.? La risposta non è semplice, dato il carattere estremamente complicato della situazione in Somalia. Alcuni commentatori propendono per il “peacekeeping” altri per il “peace renforceement”. Questa incertezza sottolinea il fatto che è sempre difficile dare esattamente delle definizioni in questo genere di materie. (coltrinari@tiscali.it)
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