Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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domenica 31 luglio 2022

Giuseppe Alabastro. Prima e Seconda Battaglia per Ancona. Le forze in canpo.

 forze in campo sono, da una parte Polacche con unità britanniche inserite nel loro dispositivo, Italiane del Regno del Sud e forze della Resistenza marchigiana; dall’altra, Tedesche, con unità russe, inserite nel loro dispositivo. Non vi sono unità combattenti della Repubblica Sociale Italiana impegnate della linea dei combattimenti.



Le forze polacche.


In Italia è presente il II Corpo d’Armata Polacco, inquadrato nella VIII Armata Britannica, che insieme alla V Armata Statunitense compone il XIV Gruppo di Armate al comando del Maresciallo Harold Alexander. Politicamente il Corpo Polacco è una grande unità di un Paese alleato alla Gran Bretagna ed agli Stati Uniti, che combatte la Germania, il comune nemico che aveva aggredito la Polonia il 1 settembre 1939, dando origine alla Seconda Guerra Mondiale. 

Il Corpo d’Armata Polacco, proveniente dall’Egitto e sbarcato a Taranto, viene inizialmente impiegato sul fronte di Cassino ove conduce l’attacco finale alle posizioni tedesche. L’attacco polacco inizia l’11 e il 12 maggio 1944, in simultanea con tutte le altre forze alleate (quarta battaglia di Cassino) e si conclude il 25 maggio con la conquista di Monte Cairo e di Piedimonte. Il giorno prima, il 24 maggio, i Polacchi avevano piantato la loro bandiera sulle rovine dell’Abbazia di Montecassino, distrutta da un bombardamento alleato il 15 febbraio 1944. 

Dopo aver subito pesanti perdite, il Corpo d’Armata Polacco si ritira dal fronte, per riordinarsi. Il riposo è tuttavia breve, in quanto il 17 giugno viene spostato nel settore adriatico a sostituire il I Corpo d’Armata Britannico, ricevendo l’ordine di progredire lungo la litoranea adriatica e conquistare Ancona. In questo periodo i Polacchi hanno in organico oltre 43.000 soldati, ordinati su due divisioni, la 3a Fucilieri dei Carpazi o Carpatica e la 5a Kresowa, unità di artiglieria, unità esploranti e servizi. Equipaggiamento ed armi sono di fabbricazione britannica. I Polacchi hanno aggregato un reggimento esplorante-corazzato, il 7° Reggimento Ussari britannico, una unità di “partigiani” Italiani, la Brigata “Patrioti della Maiella” - che nell’aprile del 1944 è sulle 400 unità, per poi via via crescere fino a raggiungere il migliaio - e il Corpo Italiano di Liberazione, di circa 25.000 uomini, privo di mezzi corazzati, scarsamente motorizzato e dotato solo di fanteria e di artiglieria. Nel Corpo d’Armata Polacco opera anche la 111a Compagnia Protezione ( o Difesa) Ponti”  , unità composta da volontari Italiani al comando di ufficiali Polacchi, con compiti di esplorazione e “commando”.

Il Corpo d’Armata Polacco è al comando del gen. Wladyslaw Anders, che ha come vice Comandante il generale Zygmunt Bohusz-Szyszko. Al comando della 3a Divisione Carpatica vi è il maggior generale Bronislaw Duch e al comando della 5a divisione Kresowa; il maggior generale Bronislaw Rokowki è al comando della II Brigata Corazzata, mentre l’artiglieria è al comando del maggior generale Roman Odzierzynsky.

Dal 9 luglio fino al 14 successivo, il Comando del Corpo Italiano di Liberazione ha avuto alle dirette dipendenze il 12° Reggimento esplorante “Lancieri di Podolia”. Il 15° Reggimento esplorante “Lancieri di Poznan” era uno dei due reggimenti esploranti divisionali ordinarti su uno squadrone comando - dotato di 3 autoblindo da cui dipendevano un plotone mortai da 3 pollici, un plotone controcarro con pezzi da 6 libbre, un plotone motociclisti ed un plotone trasmissioni - e su tre squadroni di linea. 

Ogni squadrone di linea era ordinato su un plotone comando, su due autoblindo e su tre plotoni, che a seconda dei compiti avevano in dotazione autoblindo pesanti e veicoli da ricognizione “carrier”; vi era infine un plotone d’assalto. In totale i reggimenti esploranti erano dotati di 28 autoblindo pesanti “staghound”, 24 mezzi da esplorazione, 60 “carrier” e 55 motociclette.

Nonostante dal punto di vista numerico, nella seconda battaglia per Ancona, i Polacchi avevano una forza in termini di uomini pari a circa 45.000 uomini , proprio tale battaglia evidenzierà i problemi di organico del II Corpo d’Armata Polacco.  Il supporto di fuoco era a netto vantaggio dei Polacchi, dal momento che quest’ultimi avevano a disposizione la copertura aerea garantita dalla Desert Air Force britannica, con la quale acquisirono immediatamente la supremazia aerea e disponevano in aggiunta di una schiacciante superiorità in mezzi corazzati. I Polacchi potevano, infatti, disporre di circa 156 carri medi, 33 carri leggeri e 24 semoventi a fronte di 28 semoventi a disposizione dei Tedeschi. 



Le forze tedesche.       


Le forze tedesche che difendevano Ancona erano inquadrate nella 10a Armata tedesca al comando del gen. Heinrich von Vietinghoff, responsabile della difesa del settore adriatico dall’Appennino al mare, che dipendeva dal Gruppo di Armate “C” al comando del feldmaresciallo Albert Kesserling, le quali nell’arco di tempo che va dal 1 al 20 luglio, erano contrapposte al II Corpo d’Armata Polacco ed al Corpo Italiano di Liberazione. La Forza Organica a disposizione dei Tedeschi era sufficiente solo per azioni difensive di breve durata, così da consentire la messa in atto di momentanee battute d’arresto, ma non in grado di operare delle reazioni dinamiche neanche di brevissima portata. 

La forza impiegata nel settore adriatico era composta da due divisioni, la 278a e la 71a Divisione, e comprendeva tre reggimenti granatieri, un battaglione fucilieri, un reggimenti di artiglieria, un gruppo controcarro, un battaglione Genio, un gruppo trasmissioni, un battaglione complementi e servizi divisionali. In realtà, dopo i combattimenti di Montecassino, la 71a Divisione dispone di una sola unità intatta, il reggimento di artiglieria, mentre i tre reggimenti granatieri della 278a Divisione sono ridotti alla forza di un solo battaglione per reggimento. 

Il dispositivo tedesco contava un totale di 25.055 uomini di cui 12342 uomini per la 278a Divisione e 12713 uomini per la 71a Divisione. Queste sono cifre che si desumono dalla forza teorica delle tabelle organiche; in realtà la forza combattente era stimata, su fonti polacche, pari a circa 5000 uomini. 

Non vi sono reparti ed unità della Repubblica Sociale Italiana combattenti in prima linea a difesa di Ancona, per l’espresso veto dell’Alto Comando tedesco.



Le forze Italiane.


Le forze italiane erano composte dal Corpo Italiano di Liberazione, da soldati italiani inquadrati nel Corpo Polacco (Brigata Maiella e 111a Compagnia Protezione Ponti) e dalle forze partigiane.

Il Corpo Italiano di Liberazione ebbe diversi sviluppi organici. Oggetto di interesse ed analisi nel presente studio è l’ordinamento del 20 giugno 1944, adottato all’indomani del passaggio di dipendenza dai Britannici ai Polacchi. Questo ordinamento , che rimarrà sostanzialmente in vigore fino allo scioglimento del Corpo Italiano di Liberazione nel settembre 1944, prevedeva:

un Comando con vari Uffici ed includeva il Comando Artiglieria ed il Comando Genio. Alle dirette dipendenze vi erano:

a) tramite il Comando artiglieria:

                11° Reggimento artiglieria, su

                     .I gruppo da 105/28

                     .II gruppo da 100/22

                     .III gruppo da 75/10

                     .IV gruppo da 75/18

                     .gruppo controcarro da 57/50

                     .gruppo dal 149/19     

            . Tramite Comando genio C.I.L.

                     … 51a compagnia artieri

                     … 51a compagnia collegamenti


b) tramite il Comando Genio

           LI battaglione misto genio 

      c)    Servizi


Unita:

2a Divisione Nembo su:

  Comando

     . 183° Reggimento fanteria su  XV e XVI battaglione 

    . 184° Reggimento fanteria su  XIII e  XIV battaglione 

    . 184° Reggimento artiglieria su: I gruppo da 75/27, II

               gruppo da 100/22

    . 184a batteria da 20 mm

    . CLXXXIV battaglione guastatori

    . 184a compagnia motociclisti

    . 184a compagnia mortai da 81mm

    . 184a compagnia minatori artieri

     . 184a compagnia collegamenti

     . servizi divisionali

I Brigata di Fanteria

    . Comando

            . 4° Reggimento bersaglieri su: XXIX e XXXIII

                   battaglione 

            . 3° Reggimento alpini su:  battaglione “Piemonte” e

                   Battaglione “Monte Granero” 

            . 185° Reparto Arditi paracadutisti “Nembo”

            . IV gruppo someggiato da 75/13

II Brigata di Fanteria

            . Comando

            . 68° Reggimento fanteria su: I e  II battaglione 

            .  Battaglione Regia Marina “Bafile”  

            . IX Reparto d’assalto

            . V gruppo someggiato da 75/13


Si trattava nella sostanza di un complesso di forze composto da brigate miste nelle quali il rapporto tra l’elemento di manovra costituito dalla fanteria e l’elemento di fuoco pesante costituito dall’artiglieria, risultava tutto sbilanciato a favore della fanteria. 

La prevalenza della manovra sul fuoco si delinea, invero, come punto di forza alla vigilia di impegni operativi caratterizzati dalla necessità di avere ritmi celeri di avanzata.

Nella realtà si prendeva in considerazione la carenza di artiglieria in cui si disponeva di 10 gruppi a fronte dei 14 battaglioni di fanteria; in virtù di questo si era deciso di accentrare alle dirette dipendenze ben sei gruppi, dei dieci disponibili. Al diretto appoggio dei 15 battaglioni di fanteria vi erano, quindi, solo quattro gruppi di artiglieria. Nel corso delle operazioni per Ancona, in base alla situazione contingente, furono assegnati alla fanteria due dei sei gruppi tenuti alla mano dal Comando del Corpo Italiano di Liberazione, equilibrando in parte la situazione.


 La Brigata Maiella, come in parte detto, formata da patrioti abruzzesi al comando dell’avv. Ettore Troilo consisteva in circa 400 uomini con armamento da fanteria; solo nell’agosto 1944 sarà potenziata e portata organicamente al doppio, con circa 800-1000 uomini. Durante le operazioni nelle Marche incorporava elementi e formazioni di patrioti via via incontrati, così che il suo ordinamento variava a seconda delle circostanze. 

Nel Corpo Polacco operava anche la 111a Compagnia Protezione Ponti inquadrata nel Raggruppamento Commando, composta esclusivamente da soldati italiani con sottufficiali polacchi, al comando di ufficiali polacchi. Questa compagnia, con compito di esplorazione, ricognizione e ‘commando’, aveva una consistenza di 63 italiani, 13 sottufficiali e 4 ufficiali che , per i loro compiti operavano in nuclei più o meno consistenti a seconda dei compiti da assolvere.


Nello specifico, dal punto di vista della entità della forza combattente, le formazioni partigiane che operarono dell’anconetano nel luglio 1944, erano sull’ordine del mezzo migliaio.

Operava nelle Marche la Divisione Partigiana Marche, da cui dipendevano varie brigate individuate nella zona assegnata.

Nell’ascolano era fallito il tentativo del CLN di raggruppare in un unico comando tutte le bande e non si giunse mai ad un comando unificato. Le bande restarono autonome l’una rispetto all’altra con alcune che avevano attivato qualche aggancio su base personale, come il distaccamento “Batà” che faceva riferimento alle Brigate Garibaldi. Una brigata Garibaldi Ascoli Piceno su quattro battaglioni, come più volte auspicato, doveva comprendere tutte le bande, ma ciò rimase solo sulla carta .

Nella zona di Fiastra operava la Brigata “Spartaco”, al comando del maggiore spe del genio Aeronautico Antonio Ferri strutturata su quattro battaglioni , con una banda autonoma la “Gian Mario Fazzini” al comando di don Nicola Ralli. Altre fonti  indicano la brigata “Spartaco” composta da sette battaglioni, in cui sono inseriti un battaglione itinerante di slavi, comandato da Gioko Davidovic, il battaglione “Fazzini” di Rilli, che fu sempre autonomo ed il “Nicolò” di Pantanetti.

 Nell’anconetano operava la V Brigata Garibaldi C, al comando del ten. col. Corradi, che risultava su tre battaglioni: I battaglione “Mario” comandato da Mario Depangher, II battaglione “Pippo”, comandato da Isidoro Privitera, con i distaccamenti , quello storico, come l”Alvaro”, il “Ferro” o di nuova costituzione come il “Riccio”, III battaglione, comandato dall’ing. Diego Boldrini.

Nel pesarese operava la Brigata Garibaldi Pesaro composta da cinque battaglioni; vari distaccamenti e formazioni autonome operavano inoltre nell’alto e medio pesarese;¸ nei mesi a venire si formarono altresì altre formazioni su nuclei autonomi già esistenti.

Come già evidenziato , risulta estremamente difficile tradurre in uno schema ordinativo e tabellare le modalità operative, i collegamenti, le azioni stesse e la composizione e complessità della Resistenza, a cui si partecipava su base volontaria e che era soggetta a fluttuazioni ed avvicendamenti secondo il procedere degli eventi.

Ne risulta che è difficile quantizzare le entità fra le forze partigiane, essendo queste estremamente interconnesse.

Ai nostri fini, sotto il profilo strettamente operativo - seppur certamente riduttivo per i sopra detti motivi - le forze partigiane coinvolte nei combattimenti del luglio 1944 nella zona di Ancona, si considerano attestate sulle 400-500 unità, dato da non     strumentalizzare e da prendere con tutte le precauzioni del caso.    


lunedì 18 luglio 2022

Giuseppe Alabastro. Prima e Seconda Battaglia per Ancona

 


”.

 

Nel momento in cui il gen. Anders, il 17 giugno 1944, si recò al Quartier Generale del Corpo Italiano di Liberazione, messo alle sue dipendenze proprio a far data da tale giorno, oltre a portare i suoi saluti, spiegò ai Comandanti Italiani i suoi intendimenti operativi.

Le forze al suo comando dovevano avanzare in direzione nord, verso Ascoli Piceno ed Ancona ed il loro compito era quello di inseguire il nemico e raggiungere Ancona. Per assolvere a ciò si dovevano muovere su due direttrici: la prima, costituita dalla strada statale 16 Adriatica, la quale sarebbe stata seguita dalle truppe polacche con l’incarico di puntare su Ancona; l’altra direttrice, sulla sinistra del fronte di avanzata, costituita dalle rotabili Chieti-Teramo-Ascoli-Macerata, sarebbe stata seguita dal Corpo Italiano di Liberazione, con l’incarico di proteggere il fianco sinistro del Corpo Polacco ed occupare le varie località via via incontrate.

 

Si trattava sostanzialmente di un grande inseguimento in cui il nemico avrebbe alternato battute d’arresto, eventuali reazioni dinamiche e ripiegamenti subitanei, onde evitare l’annientamento delle forze impegnate.

In questo incontro i Comandanti Italiani dedussero che non vi era un piano preciso e dettagliato per ogni singolo aspetto tattico. Erano stati determinati orientamenti di massima, via via da integrarsi con ordini appositi, in relazione alla situazione del momento.

Questo si attuò tra il 17 giugno e la fine del mese, quando l’avanzata sulla dorsale adriatica si svolse come era stato previsto: il nemico non riteneva di opporre resistenza prolungata in un dato luogo e si comportava come ipotizzato.

Questa situazione durò fino al ripiegamento dal Chienti ed all’arretramento sulle posizioni del Musone da parte dei Tedeschi, linea scelta dal di loro Comando per iniziare a cambiare atteggiamento tattico, ovvero resistere con più forze e più a lungo sulle posizioni. La ragione di ciò era facilmente intuibile: occorreva difendere Ancona ed il suo polo (aeroporto, nodo stradale con Roma, raffineria e porto) il più a lungo possibile.

Giunti sul Musone, i Polacchi impiegarono nuovamente la strategia già precedentemente adottata: andare avanti, attaccare i tedeschi lunga la via di facilitazione più breve e raggiungere l’obiettivo. Sono i giorni che vanno dal 1 al 6 luglio, quando investono successivamente prima Loreto e poi Castelfidardo e giungono in Osimo, in cui ancora viene attuato il concetto d’azione elaborato qualche settimana prima. Anders e il suo Stato Maggiore comprendono a questo punto che in tale modo Ancona non sarà conquistata senza un dispendio di forze eccessivo. Non risulta possibile, infatti, impiegare in linea di fila le tre divisioni disponibili, con una addirittura scaglionata in profondità per oltre 150 chilometri. Occorre raggrupparle ed impiegarle contemporaneamente su un solo obiettivo. Anders considera terminata questa fase il 9 luglio, data di quella che per il Corpo Polacco è la battaglia preliminare per Ancona o battaglia di Loreto, in cui non viene minimamente considerato il Corpo Italiano di Liberazione.

Inizia, quindi, quella che poi, sempre secondo i Polacchi, fu una seconda fase , caratterizzata da un concetto d’azione totalmente diverso.

Il piano predisposto dal gen. Anders per quella che poi venne chiamata la “Seconda Battaglia di Ancona” nasce dalla constatazione che i Tedeschi si aspettavano una replica dell’attacco portato durante la Prima Battaglia di Ancona, ovvero lungo la direttrice marittima, lungo la statale 16 Adriatica. Era la via più breve e più facile per conquistare Ancona. In particolare il nemico si aspettava un attacco della 3a Divisione Carpatica, ovvero il classico attacco “a botta dritta”.

Facendo leva su questa convinzione del nemico e mettendo in essere azioni tali da confermare questa convinzione, il gen. Anders decise che l’attacco principale avrebbe dovuto essere portato dall’ala sinistra dello schieramento del II Corpo d’Armata, e  che la 3a Divisione Carpatica avrebbe dovuto contestualmente svolgere azione di fissaggio ed inganno delle forze tedesche contrapposte, svolgendo una manovra diversiva rispetto a quella principale.

Osservato il terreno ed i movimenti del nemico si riconobbe nel Monte della Crescia, ad ovest di Osimo, il perno della difesa tedesca. A questo punto il piano elaborato prevedeva che lo sforzo principale del II Corpo d’Armata Polacco fosse esercitato proprio in direzione del Monte della Crescia, sulla direttrice Monte della Crescia-Polverigi-Agugliano con due attacchi pressoché simultanei: uno affidato alla fanteria appoggiata da carri armati che doveva partire da Villa Simonetti verso il Monte della Crescia ed uno condotto da carri armati che doveva partire da Santa Margherita-Regione Montoro e dirigersi verso Casenuove-Croce San Vincenzo.

Dopo la conquista del Monte della Crescia, che dominava tutto il terreno della battaglia e operato lo sfondamento dei mezzi corazzati, il Corpo d’Armata Polacco avrebbe dovuto proseguire sulle direttrice, Offagna-Cassero-Castelferretti, per raggiungere Torrette, arrivando al mare e Castelferreti-Falconara-Chiaravalle, chiudendo ogni via di fuga la guarnigione tedesca di Ancona.

 Al tempo stesso, parallelamente alle operazioni in corso di svolgimento, doveva essere messa in atto la manovra diversiva ed ingannatrice da parte della 3a divisione Carpatica, volta a far credere ai Tedeschi che l’attacco principale sarebbe avvenuto lungo la strada statale 16 Adriatica a sud di Ancona e lungo le strade costiere, con azioni anche di vasta portata.

Alla 3a Divisione Carpatica era altresì affidato il compito accessorio di constatare l’inizio del movimento di ritirata da parte dei Tedeschi, per successivamente procedere a pressarli da vicino d’iniziativa, inseguendoli fino a conseguirne l’annientamento.

Il concetto di azione per conquistare Ancona era dunque quello di impegnare i Tedeschi sulla destra dello schieramento con una diversione, manovrandoli a fondo sulla sinistra in una ristretta area dal terreno collinoso, caratterizzata da una viabilità non eccellente, in modo da sorprenderli e, tagliando loro le linee di ripiegamento, intrappolarli in una sacca. Per i Tedeschi Ancona doveva divenire una sorta di piccola Stalingrado.

Il Corpo Italiano di Liberazione aveva il compito di assicurare la protezione del fianco sinistro dello schieramento e quindi permettere di sviluppare lo sforzo principale, assecondare l’azione delle formazioni polacche e svolgere azione attiva, forzando il fiume Musone e conquistando prima Rustico e poi con convergenza verso ovest Santa Maria Nuova e, nel prosieguo delle operazioni, raggiungere l’Esino e conquistare Jesi.

I compiti assegnati alle unità dipendenti sulla base di questo piano risultarono i seguenti.

Il II Corpo d’Armata Polacco doveva conquistare il Porto di Ancona, l’aeroporto e la raffineria di Falconara, inteso questo polo come “città di Ancona”, il cui possesso era indispensabile per rifornire le truppe alleate da impegnarsi nell’offensiva contro i Tedeschi che si stavano attestando su quella che poi sarà definita la linea gotica. E’ importante sottolineare che il compito del Corpo d’Armata Polacco non si limitava solo alla conquista di Ancona, ma anche alla conquista della raffineria di Falconara e dell’aeroporto di Jesi.

Dalla sopra delineata strategia si evince come il compito del Corpo Italiano di Liberazione non sia stato affatto secondario: la conquista di Jesi, infatti, mette in sicurezza sia la raffineria che l’aeroporto di Falconara, conquistati dai Polacchi. Palese risultava l’estrema necessità di procedere alla presa del polo di Ancona, al fine di affiancare - se non finanche sostituire - la capacità logistica dei porti di Bari e di Taranto, ormai troppo distanti.

Questo compito è fissato in modo lapidario e chiaro nel piano d’operazione n. 5.

Il II Corpo d’Armata Polacco deve conquistare la città di Ancona ed annientare la 278a Divisione tedesca.[1]

Compiti dei reparti del II Corpo erano:

. La 5a divisione Kresowa e la II Brigata corazzata polacca avrebbero dovuto condurre l’attacco principale.

. La 3a divisione Carpatica, rinforzata da alcuni battaglioni delle altre divisioni, avrebbe dovuto condurre lo sforzo secondario eseguendo una manovra diversiva e dimostrativa sul lato destro dello schieramento.

. L’artiglieria dell’intero Corpo d’Armata Polacco e del Corpo Italiano di Liberazione doveva inizialmente concentrare la maggior parte del fuoco sulla direttrice di avanzata della 5a Divisione fino alla conquista del Monte della Crescia e successivamente in appoggio all’avanzata della II brigata Corazzata.

. Il Corpo Italiano di Liberazione doveva forzare il Musone, conquistare la posizione di Rustico, coprire il fianco sinistro delle formazioni polacche impegnate nella manovra di aggiramento e, al raggiungimento dell’obiettivo, compiere forti puntate nella direzione di Santa Maria Nuova e Casa Cappanera.



[1] Come vedremo, il II Corpo d’Armata Polacco riesce a conquistare il Polo di Ancona, ma non riesce a distruggere la 278a divisione tedesca, che riesce a salvare gran parte del personale e del materiale. Questo parziale insuccesso i Polacchi, con parole molto dure lo addebitano al Corpo Italiano di Liberazione ed al suo Comandante.

domenica 10 luglio 2022

Periodico Nazionale del Nastro Azzurro


 Il periodico può essere richiesto alla segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org


 Info;www.istitutonastroazzurro.org

venerdì 8 luglio 2022

GIUSEPPE ALABASTRO. La battaglia di Filottrano vista da lontano

 

I giorni dell’illusione. 7 luglio - 9 luglio 1944

Sabato 8 luglio 1944  inizia per il Corpo Italiano di Liberazione quella serie di combattimenti che poi si chiameranno “Battaglia di Filottrano”. Il generale Utili alla sera del 6 luglio, dopo che elementi del XV battaglione avevano raggiunto quota 189  a sud est di Filottrano, si rese conto che le posizioni di Filottrano erano presidiate in forze dai Tedeschi, in quanto le medesime costituivano un eccellente appiglio tattico. Il centro del paese, costruito con mura singolarmente massicce, dominava ogni possibile via di accesso; inoltre due postazioni avanzate sullo sperone di Tornasano e su quello delle Grazie, permettevano ai Tedeschi di organizzare la difesa convenientemente in profondità. Era necessario conquistare Filottrano nel quadro generale delle operazioni tendenti alla occupazione di Ancona, ovvero si trattava, secondo Utili, di disarticolare un sistema di resistenze ritardatrici che si appoggiavano alla linea dei grossi abitati dominanti di qua del Musone. Appare quanto mai ovvio, che senza la conquista di Filottrano, l’azione aggirante che il Corpo Polacco attuerà dalla mattina del 17 luglio, partendo da posizioni antistanti Casenuove di Osimo, non sarebbe stata possibile.

Il concetto operativo di Utili, dopo che era stato accertato che era troppo difficile attaccare da sud lungo lo sperone dell’Imbrecciato, prevedeva che il 183° Reggimento fanteria, con il XV battaglione in primo scaglione, ed il XVI battaglione in secondo scaglione, avrebbero attaccato da est, a cavallo della rotabile Villanova-Filottrano; nel contempo il XIII battaglione avrebbe svolto azione sussidiaria da sud, lungo la direttrice Macerata-Filottrano. La riserva divisionale sarebbe stata assicurata dal CLXXXIV battaglione guastatori e dal XIV battaglione, che sarebbe giunto autocarrato la mattina del 7 luglio. Per l’artiglieria il sostegno di fuoco sarebbe stato assicurato dai due gruppi del 184° Reggimento artiglieria, dai tre gruppi dell’11° Reggimento artiglieria e dal Gruppo da 149, con un totale di quindici batterie, che però presentavano dotazioni scarse di munizionamento. Cinque gruppi polacchi, di cui tre di artiglieria pesante e due di artiglieria da campagna avrebbero concorso al fuoco italiano. Era previsto il sostegno di alcuni carri “Sherman” della divisione Kresowa. Quello che il gen. Utili non sapeva, e nemmeno i Polacchi che davano Filottrano occupata da scarse forze tedesche, era che il nemico il 7 luglio aveva fatto affluire a Filottrano un battaglione di fanteria, così che la consistenza delle forze tedesche era di due battaglioni di fanteria, tre carri armati, cinque autoblindo ed un numero consistente seppur rimasto imprecisato, di pezzi controcarro da 75/40.

Le forze contrapposte erano, quindi, cinque battaglioni italiani di fanteria, di cui due che avevano recentemente subito notevoli perdite e due giunti affrettatamente nelle ultime ore, contro due battaglioni Tedeschi, con un rapporto di 2,5:1 per la fanteria, un rapporto non sufficiente, ma accettabile per un attacco. A parziale sostegno vi era  la netta superiorità in artiglieria, ove operavano 9 gruppi di artiglieria, polacca ed italiana. L’azione in ogni caso era affidata alla fanteria.

Il giorno 8 luglio con inizio alle ore 6:00, per la durata di circa un’ora, l’artiglieria iniziò un fuoco di preparazione. Alle ore 7:00 i Paracadutisti attaccarono da est.[1]

Il generale Utili così sintetizza l’azione:

 

“Per tre ore gli uomini rimasero sotto il fuoco avanzando faticosamente. Alle 11 avevano raggiunto i margini orientali dell’abitato. Il combattimento si trasformava in lotta di casa in casa per snidare i nuclei nemici. Verso le 15 i Tedeschi contrattaccarono appoggiati da semoventi. Il battaglione avanzato fluttuò lievemente; la 45a compagnia rimaneva a caposaldo nel fabbricato dell’ospedale. Più tardi, erano quasi le 19, due compagnie di paracadutisti impetuosamente tornarono con l’appoggio di “Scherman” polacchi. Ripresero il contatto con la 45a compagnia. A tarda sera, quando, quasi ormai nelle oscurità, mezzi blindati nemici nuovamente vennero innanzi, non si ritenne opportuno mantenere gli obiettivi raggiunti. I paracadutisti lasciarono l’abitato. Al mattino sarebbero ritornati. Ma nella notte i Tedeschi abbandonarono il paese dirigendosi verso ovest sotto la protezione di intenso fuoco di artiglieria. All’alba del giorno 9 le pattuglie della “Nembo” si spingevano tra le case; trovavano debole resistenza di qualche arma automatica ritardatrice. Su Filottrano saliva il tricolore”.[2]

 

Per tutta la giornata dell’8 luglio si susseguirono, violenti, i combattimenti, che videro valore e determinazione da entrambe le parti[3], le quali tuttavia subirono consistenti perdite: gli Italiani, cioè la “Nembo” ebbe oltre 300 tra Caduti e feriti; si ebbero tra gli Ufficiali cinque morti e numerosi feriti. Le perdite furono alte perché i Paracadutisti dovettero avanzare sotto il tiro concentrato delle artiglierie e dei mortai su contrafforti scoperti ove ogni movimento veniva seguito. Numerosi, inoltre, furono i corpo a corpo. Anche i Tedeschi ebbero ingenti perdite, con oltre il 50% dei presenti tra Caduti e dispersi. Lo stesso gen. Hoppe, come vedremo, lo ammette senza riserve.

Il 12 luglio il gen. Utili, nella sua relazione sulla battaglia di Filottrano, tra l’altro, scrive:

 

“I risultati raggiunti sono al di là di ogni aspettativa, grazie all’eroico comportamento dei paracadutisti della “Nembo” che si sono battuti con lo spirito dei giorni migliori infliggendo al nemico perdite gravissime e superando ogni limite di sacrificio. Gli Alleati sono rimasti entusiasti di quanto è stato fatto dai nostri magnifici soldati che meritano di essere additati alla riconoscenza di tutti gli Italiani” [4]

 

La battaglia di Filottrano, che vide i Polacchi cavallereschi spettatori, diede credibilità al Comando ed al Corpo Italiano di Liberazione. Fra compagni d’arme, gli Italiani dimostrarono che sapevano fare le cose seriamente e che rischiavano lì dove si doveva rischiare, morivano ed ottenevano risultati concreti, dimostrandosi alleati di cui ci si poteva fidare. Ora il Corpo Italiano di Liberazione poteva ben inserirsi con merito e con riconosciuta capacità nei piani Polacchi.

Nelle sue memorie il gen. Hoppe riporta l’azione degli Italiani a Filottrano in modo molto asciutto, senza fare alcun cenno della presenza dei soldati Italiani. L’8 luglio si attesta essere un'altra giornata in cui si combatte strenuamente ed in cui il Comando polacco vuole forzare le posizioni a destra dello schieramento tedesco, incentrate su Filottrano. In questi combattimenti, è il commento di Hoppe, il II battaglione del 994° reggimento granatieri subisce notevolissime perdite, riuscendo però a mantenere in generale le posizioni. La mancanza di riserve e soprattutto la esiguità del personale sulle posizioni, costringe il Comando tedesco a prendere la stessa decisione già presa due giorni prima, dopo i combattimenti per tenere Osimo. Per evitare l’annientamento totale, si decide di rettificare la linea del fronte, arretrandola dietro il Musone, abbandonando Filottrano.

Hoppe traccia, alla sera dell’8 luglio 1944, un quadro generale delle operazioni iniziate il 1 luglio. La sua 278a Divisione aveva superato la prova a cui era stata sottoposta riuscendo a sostenere l’urto del II Corpo Polacco al comando del generale Anders, costituito da truppe fresche e riposate. Il Corpo d’Armata Polacco aveva attaccato con l’appoggio di notevoli forze aeree con la 3a e la 5a divisione  ed almeno una brigata corazzata forte di oltre 200 carri armati. Hoppe sottolinea che erano stati distrutti 49 carri armati e 5 autoblindo, oltre a vari veicoli; 31 carri armati erano stati distrutti da elementi Tedeschi in combattimenti ravvicinati con Panzerfaust e Ofenrohr.

Allineandosi con i nemici che combatteva - Britannici ed in minor parte Polacchi -, anche il tedesco Hoppe non dedica alcuna considerazione agli Italiani del Corpo Italiano di Liberazione. Egli si comporta come se il II Corpo Polacco fosse composto solo da Polacchi ed i 25.000 Italiani che operavano sulla sinistra del Corpo agli ordini di Anders, Comandante del Corpo d’Armata, non esistessero. Eppure nelle giornate del 7-8  luglio, gli Italiani avevano distrutto il suo II battaglione del 994° Reggimento a Filottrano senza forze corazzate e costretto a far retrocedere l’ala destra dello schieramento tedesco dietro il Musone. Non mette nel bilancio che i Polacchi, con il loro attacco, avevano conquistato Loreto, Castelfidardo e Osimo, mentre gli Italiani, pur senza i carri armati essenziali in questi scontri, avevano conquistato Filottrano. Non è lo spirito nazionalistico che spinge a sottolineare questo aspetto, ma sostanzialmente solo note di carattere oggettivo. Una corretta ed imparziale valutazione dei fatti succedutisi sul terreno non può non prenderla in considerazione. Nel 1944 gli Italiani erano “traditori” per i Tedeschi, dei “vinti” per i Britannici e dei “compagni di ventura” o “di sventura” per i Polacchi, anch’ essi  abbandonati dai Franco-Britannici nel 1939 e non certo ben trattati dal grande alleato Sovietico, dissanguati a Monte Cassino, ove pagarono i tantissimi errori del Comando Alleato. Da qui deriva l’atteggiamento di sufficienza con punte di disprezzo per gli Italiani in primo luogo da parte dei Tedeschi ed in secondo da parte dei Britannici, nonché comprensione dai Polacchi. Senza anticipare conclusioni, è bene iniziare a sottolineare questi aspetti.

Ad Osimo la popolazione, allora forse come oggi, è distante anni luce da queste tematiche. La Guerra non è finita con la liberazione di Osimo e il dramma continua. Il diario di Francesca Bonci ne è un fedele specchio:

 

“8 luglio 1944. Siamo tutt’ora sotto il fuoco delle cannonate tedesche! Continuiamo a vivere la tragedia iniziata otto giorni orsono. A noi stessi pare di vivere un brutto sogno. Risentiamo della mancanza di acqua. Dobbiamo andarla a prendere, nei momenti che si sembrano calmi, nei pozzi giù da Barbalarga o da Fiorenzi su al Duomo. Si pensi al sacrificio di questi viaggi fatti con il cuore in gola!

I morti ed i feriti aumentano sempre. Per quest’ultimi più gravi, avviene il trasporto in altri ospedali di Recanati, Loreto e Portorecanati. Oltre al persistente pericolo, manca il posto, perché come detto precedentemente, alcuni padiglioni del nostro Ospedale sono inabitabili, è non è più sufficiente il personale a curare tutta questa gente!

Oltre a noi, nella cantina rifugio della sig.ra Gisella c’è la famiglia del dott. Ubaldo Cardinali e quella della sorella prof.ssa Adinolfi, la loro abitazione al Borgo San Giacomo completamente inabitabile. La signora del dott. Cardinali è ricoverata all’ospedale con febbre tifoidee. In tutti siamo 17 persone, in più c’è Rirì il cagnolino, però qualche notte siamo stati anche in 20 perché sono venuti gli inquilini sfollati della sig.ra Gisella che al giorno stanno dai parenti. Siamo accampati peggio degli zingari! I nostri letti sono formati da una rete, diverse sdraie, seggiole alte e basse, sgabelli, tini capovolti orizzontalmente, con una quantità di cuscini, coperte di tutti i generi, borse, sciarpe e cappotti. L’umidità è tremenda specie quando dobbiamo andare in grotta che per laggiù non è sufficiente quanto abbiamo in dosso. Per come ci vediamo tutti infagottati da capo a piedi, sembra che tiri… la bora o che siamo a 30 gradi sotto zero…e pensare che nelle stanze ed all’aria aperta si soffoca dal caldo. Noi gioventù femminile e maschile ci siamo adattati nei tini. Infatti abbiamo già i nostri posti destinati. Lucidio in un tino, Carlo Adinolfi, Fabio e Peppino in altri tini, io con Lina e Liliana Adinolfi sopra un coperchio da tino che a sua volta sta sopra un trono di quercia. Però i nostri giacigli non sono duri, perché come sopra detto abbiamo i materassi, coperte e cuscini. L’unica cosa penosa e che non possiamo allungarci per mancanza di lunghezza dei nostri talami..e quindi dobbiamo stare sempre con le gambe grucce chi ne soffre di più è Liliana che è molto alta e in certi momenti dice “Non ne posso più”. Gli altri chi sulla rete, chi sulle sdraie, chi sulle seggiole con le teste a penzoloni sobbalzando ad ogni colpo che tira, coperti e fasciati specie in testa  da sembrare tanti cammellieri nel deserto.. La scena e quella di un ammasso di roba e di esseri umani, più vicini a derelitti, che a persone moderne del secolo ventesimo. Certo che chi ha gridato alla guerra, ora sta in luoghi tutt’ora sicuri e non subisce disagi, privazioni e spaventi come noi e altri dove è passata e passa la bufera! In questo groviglio di cose e di sentimenti, c’è qualche volta la scenetta amena, causata naturalmente dalla gioventù. Notti or sono al bambino Fabio è successo un piccolo incidente… I frizzi e le risate a lui dirette, con la calda raccomandazione di non farci morire.. affogati ci hanno fatto trascorrere una decina di minuti di buon umore! Qualche scappellotto vola, brontolii sottovoce, discussioni di arrivi e partenze di cannonate.. (… ma non senti che questa è partita? Ma no che questa è arrivata! Ma ancora non capisci che quelle che arrivano si annunciano con il fischio?) (sibilo che penetra nelle carni come ferro rovente) e così tra una risatina, un salto di paura, ed orazioni al Signore, passano lentamente le ore! Più belli, però siamo alla mattina! Ben in ordine, pettinati, puliti specie sul viso che l’abbiamo tutto di nero causato dal fumo dell’acetilene o dalla striminzita candeluccia autarchica.”

 

Per il Comando Polacco, domenica 9 luglio si conclude la prima battaglia per Ancona. Il gen. Anders, nelle sue memorie fa un primo bilancio delle azioni svoltesi dal 1 al 9 luglio 1944: la 3a Divisione Carpatica rafforzata dalla II Brigata corazzata e dal Reggimento Lancieri di Carpazia, dopo una serie di violenti combattimenti riuscì a raggiungere agevolmente e conquistare Loreto e poi, scesa in pianura e risalita la vecchia strada postale fino alle Crocette, con una convergenza ad ovest, ad occupare Castelfidardo, per impegnare a fondo le difese tedesche attestatesi ad Osimo, che il 6 luglio fu conquistata per abbandono delle forze tedesche minacciate di annientamento.

Sulla sinistra la 5a Divisione di fanteria Kresowa riuscì ad occupare le posizioni nella zona compresa tra il fiume Fiumicello e il Musone; quest’ultimo fu superato in vari punti e furono create delle teste di ponte, che servirono poi come base di partenza per le successive operazioni. Secondo la valutazione di Anders l’irregolarità del terreno, prevalentemente collinoso, determinò il frantumarsi degli scontri che si risolsero a livello battaglione, non potendo il Corpo Polacco utilizzare tutta la sua potenzialità, soprattutto con le forze di rottura rappresentate dai carri armati. La determinazione tedesca a resistere e la potenza polacca determinarono la violenza dei combattimenti, che furono molto aspri, e spesso le posizioni cambiavano varie volte di mano nel corso della giornata. In queste circostanze si ebbero difficoltà nell’ alimentazione logistica, in particolar modo relativamente alle munizioni e meno ai carburanti, dovute sia all’elevato consumo che alla distanza dei centri logistici di rifornimento. Anders cita le azioni del Corpo Italiano di Liberazione e, correttamente, considera le forze italiane come parte integrante del suo Corpo d’Armata, esprimendo quella considerazione per gli Italiani sopra riportata.

 I reparti avanzati del Corpo Italiano di Liberazione, in modo graduale, furono chiamati in linea e si inserirono nell’ala sinistra dello schieramento, sostituendo reparti della 5a Divisione Kresowa, su posizioni conquistate dai Polacchi. Partendo da queste basi gli Italiani lanciarono un attacco verso Filottrano, limitato al paese, che fu conquistato dopo violenti combattimenti e sorpassato dopo che i Tedeschi, come ad Osimo, preferirono ritirarsi piuttosto che resistere su posizioni correndo il rischio di essere annientati.

Nelle fonti polacche[5] non si dà molta rilevanza alla battaglia di Filottrano. Nel “Rapporto” si legge:

Poiché le nostre truppe erano esauste per i combattimenti ed il Corpo Italiano di Liberazione non aveva preso parte ad alcuno scontro maggiore, il compito di prendere questa città (Filottrano n.d.a.) di spingersi verso il fiume e di dare qui il cambio alla VI Brigata “Lwow” fu affidato al Gruppo Italiano “Nembo”, formato da cinque battaglioni. L’attacco contro Filottrano da parte di questo Gruppo sostenuto da vicino dall’artiglieria della 5a Divisione Kresowa e da alcuni carri armati del 4° Reggimento corazzato, cominciò l’8 luglio ed andò incontro a mutevole fortuna. Al crepuscolo vennero conquistati alcuni edifici ed un cimitero, ma furono abbandonati dalle unità italiane. Nelle prime ore del 9 luglio fu confermato che il nemico si era ritirato dalla città. Il Gruppo “Nembo” che nel frattempo era stato raggiunto dalla II Brigata italiana e dal Quartier Generale del Corpo Italiano, cominciò ad avanzare lentamente ed il 10 luglio raggiunse il fiume Musone dove rilevò la VI Brigata “Lwow” ed anche un battaglione della V Brigata “Wilno” a sud del fiume. Il 9 luglio il 12° Reggimento esplorante “Lancieri di Podolia” passò sotto il comando del Corpo Italiano allo scopo di proteggere il fianco sinistro[6]

 

Al termine di queste operazioni, il fronte aveva un’estensione di circa sessanta chilometri. Per i Polacchi, quindi, la battaglia si concluse la sera del 9 luglio  e, secondo la valutazione di Anders, una volta riordinate e ammassate le truppe si erano create le condizioni per l’assalto finale ad Ancona.

In realtà i Polacchi non raggiunsero l’obiettivo che si erano prefissati, in quanto conquistata Osimo, si pensava che tutto il fronte tedesco crollasse. In realtà, invece, le pur duramente impegnate forze tedesche, con opportune rettifiche del fronte ed evitando di essere annientate, riuscirono a tenere il fronte come da ordini del LI Corpo d’Armata Alpino, attraverso momentanee battute di arresto e rettifica di posizioni all’indietro, ancorché in assenza di reazioni dinamiche.

A questo punto ci si chiede perchè Anders non attese qualche giorno per fare affluire il Corpo Italiano di Liberazione ed attaccare con una massa di fanteria superiore. I rapporti di forza, con l’entrata in linea del Corpo Italiano di Liberazione, sarebbero stati di 68.000 uomini per gli alleati contro 5.000 Tedeschi, il rapporto dell’attaccante diveniva 15 ad 1, anziché quello di  8 ad 1. Proprio questo ultimo dato potrebbe aver indotto il Comandante Polacco a ritenere sufficienti le forze disponibili per una rapida conquista di Ancona, cosa che non si realizzò.

Il Comando Polacco fin dal suo inizio non redige un piano dettagliato e particolareggiato per la conquista di Ancona in due fasi. Tutte le iniziative del Corpo Polacco nelle Marche hanno come ultimo obiettivo la conquista del Porto di Ancona. In queste iniziative il Corpo Italiano di Liberazione è ritenuto una forza secondaria che deve guardare il fianco sinistro ed in zone ove i Tedeschi quasi non sono un pericolo. Superato il Potenza ed irrigiditesi le resistenze tedesche, probabilmente sarebbe stato opportuno rivedere il concetto d’azione formulato un mese prima. E’ facile concludere identificando nella scarsità di uomini e di materiali, in relazione ai compiti ed alla resistenza tedesca, le cause che hanno determinato il mancato conseguimento dell’obiettivo di quella che si suole chiamare la prima battaglia di Ancona.[7]

Il generale Hoppe si poteva ritenere soddisfatto dell’andamento delle operazioni, nonostante tutti i problemi fossero ancora sul tappeto. Si era allestita la linea “Albert II”, intermedia, conseguente allo svolgersi degli avvenimenti tra il 1 ed il 6 luglio. Si era constatato che, dopo l’abbandono di Osimo, il perno centrale della difesa tedesca doveva essere arretrato; non fu trovata una migliore soluzione che incentrarlo su quota 360, (Monte della Crescia) costituito da colline dominanti ed ottima osservazione e tiro; ma questo non poteva compensare le posizioni presso Casenuove e sulla strada tra Loreto e Ancona, troppo pianeggianti e favorevolissime all’impiego di forze corazzate.

Si procedette subito ad effettuare una ricognizione per imbastire una linea di difesa intermedia che andava da Santa Maria Nuova, arrivava ad Agugliano sino a quota 276, due chilometri ad oriente di Gallignano e si collegava all’anello difensivo di Ancona. Questa linea ricevette il nome di linea “Hildegard.”

Con la cessione forzata dovuta all’azione del Corpo Italiano di Liberazione delle posizioni di Filottrano, il fronte tedesco ora non si sviluppava oltre i venti chilometri da difendere: il compito, peraltro, era ancora troppo pesante in relazione alle forze disponibili; la 278a Divisione era esausta: Hoppe fu costretto a mettere a riposo il I battaglione del 993° Reggimento, destinandolo alla riserva divisionale, che si aggiungeva in questo compito al I battaglione del 992 Reggimento granatieri. Il primo si era dissanguato nella difesa di Filottrano contro gli Italiani, il secondo si era dissanguato nella difesa di Osimo, contro i Polacchi.

Lo schieramento non ebbe nessun mutamento e rimase quello disposto il 6 luglio. Interessante notare che la 242a Brigata cannoni d’assalto veniva inviata con una batteria nei pressi di Rustico, due chilometri ad occidente di Polverigi, mentre altre due batterie venivano messe in posizione nei dintorni di Offagna. Si dovettero integrare i residui mezzi plotoni della 1a compagnia del 278° gruppo controcarro divisionale e le compagne controcarro reggimentali, che nel corso dei combattimenti avevano perduto la metà dei loro pezzi.

Hoppe indica anche le perdite, che furono quanto mai rilevanti: oltre 1800 uomini fra Caduti, feriti e dispersi. Di questi, metà erano o Russi o “Volksdeutsche”, cioè Tedeschi di recente annessione al Reich.

 

In Osimo si comincia a respirare. Si ha una prima ripresa della normale vita sociale: la Messa all’aperto celebrata dal Cappellano Militare Polacco, in una giornata estiva di pieno sole ed all’aria aperta, dopo tante ore e giorni passate nel buio e nell’umidità insalubre delle cantine e dei rifugi fu quasi un avvenimento. Ma anche questa breve pausa doveva terminare presto. Il Comando Polacco dovette constatare che ad Osimo operavano degli agenti a favore del nemico; durante la notte risultarono tranciati dei fili di comunicazione; subito vengono date disposizioni per il coprifuoco e per un severo controllo della circolazione delle persone. La presenza di elementi ostili, come detto, di collaboratori, opportunisti e spie a vario titolo è evidente anche per altri motivi, tra i quali la maggiore precisione del tiro delle batterie tedesche su obiettivi difficilmente individuabili.

 Secondo una testimonianza raccolta[8], una di queste spie, da tutti individuata, vivrà indisturbata ad Osimo fino agli anni ottanta, circondata questa persona dal disprezzo di tutti gli abitanti, a qualsiasi credo politico essi appartenessero.

 

Il diario di Francesca Bonci riporta questa situazione, quasi una doccia scozzese in un atmosfera di pesante impatto psichico-fisico:

 

“9 luglio 1944. La giornata è incominciata relativamente calma. Qualche granata tanto per non perdere l’abitudine..ma sino a mezzogiorno si è respirato. Questa mattina nel piazzale sotto le mura di Boccanera è stata celebrata la S. Messa del Cappellano Militare Polacco alle quale hanno partecipato una gran quantità di militari e civili. Che festa! A noi ci ha fatto una bellissima impressione! Sarà forse perché non abbiamo mai assistito alla S. Messa al campo, oppure la gioia di respirare aria buona piena di sole, dopo tanti giorni di oscurità, sentire quei canti mistici dei soldati, la grande devozione dei medesimi, un complesso di cose che ci ha veramente commosse. Invece nel nostro rione San Bertolomeo, la S. Messa è stata celebrata nel rifugio della Contessa Caccini Fiorenzi. Nonché laggiù abbiamo provato altre sensazioni mistiche! L’altarino ben in ordine e con una certa distinzione, illuminato da due sole candele che appena rischiaravano la grotta, dava quel senso di pace e di riposo alla nostra anima da non desiderare altro!

 

Invece il pomeriggio è stato burrascoso. Il Comando Polacco ha messo il coprifuoco. Nessuno può circolare. Sentinelle sono ad ogni angolo di via. Questo è avvenuto perché il Comando si è accorto che dei civili hanno tagliato i fili del loro telefono e pensano che in Osimo ci siamo delle spie a favore dei Tedeschi. Certo quest’ultimi ci hanno fatto passare delle brutte ore, dopo che siamo stati occupati dai Polacchi, e pensare che tutti abbiamo avuto l’illusione che dopo presi non saremmo stati più tormentati!.

 

 

 



[1] Utili U., Ragazzi in piedi!.... La ripresa dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre, Milano, Mursia, 1979

[2] Utili U., Ragazzi in piedi!.... La ripresa dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre, cit., pag. 202

[3] Santarelli G., La battaglia di Filottrano, Filottrano, Cassa Rurale ed Artigiana, 1986.

 

[4]  Utili U., Ragazzi in piedi!.... La ripresa dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre, cit., pag. 203

[5] Campana G. (a cura di) , Rapporto sulle operazioni del II Corpo Polacco nel settore adriatico. Giugno-settembre 1944. La guerra nelle Marche: le battaglie di Ancona, di Loreto, del Metauro, della Linea Gotica in un documento del Public Record Office britannico, Ancona, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, 1999

[6] Ibidem

[7] Vds. precedente nota in cui viene spiegata la riflessione che ha portato a suddividere la Battaglia di Ancona in cinque fasi.

[8] Testimonianza raccolta da una fonte che preferisce rimanere non citata. Osimo, 31 gennaio 2014.