Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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lunedì 24 novembre 2008

Lutto in Associazione

E' Morto Lorenzo Lodi

Oggi, 24 novembre 2008 alle ore 12,05, presso la propria abitazione, confortato dai figli Marco e Luca è venuto a mancare nostro Lorenzo Lodi, combattente nel Gruppo di Combattimento Friuli, medaglia di bronzo a quota 92.

Vero combattente antinazista e antifascista, autore della rinascita della Sezione di Roma si era speso negli ultimi anni per vitalizzare la Sezione di Roma della Guerra di Liberazione con l'intento che la memoria e la democrazia sia sempre difesa e sostenuta.
La Direzione, la Redazione, e tutti i Collaboratori della Rivista "Il Secondo Risorgineto d'Italia" esprimono le proprie condoglianze alla Famiglia, ricordando in Lorenzo Lodi un vero amico e un sincero democratico.

Soldati Italiani sulla Linea Gotica



Convegno a Firenze 23 OTTOBRE 2008

Intervento
Massimo Coltrinari

Il quesito che ha posto il gen. Poli, ovvero rispondere alla domanda: perché i tedeschi si sono difesi su un simulacro di linee difensive nell’alta pianura romagnola e non nella valle del Po o sulle Alpi, trova il suo primo fondamento di risposta in alcune considerazioni che si possono fare analizzando il comportamento della Germania nella gestione della crisi armistiziali Italia del settembre 1943.
La Germania era ben conscia che l’Italia, nella primavera del 1943 non aveva i mezzi per continuare la lotta ed il fascismo, sia come regime che come movimento, aveva, come ben nota lo Zangrandi, aveva esaurito ogni sua energia. Fu un crollo prima che materiale psicologico e motivazionale. Nessuno in Italia era più in grado, anche volendo, di sostenere Mussolini e questo è dimostrato dall’azione dei gerarchi, che poi divennero i “traditori” del 25 luglio ed alcuni fucilati a Verona l’11 gennaio 1944, da un Tribunale Speciale della Repubblica Sociale Italiana. I piani tedeschi per assorbire l’uscita dell’Italia della guerra erano pronti da tempo. Hitler e l’OKW avevano già preordinato questa uscita creando due comandi, quello di Rimmel nella Italia settentrionale e quello di Kesserling nell’Italia meridionale, considerando persa in partenza l’Itala Centro meridionale tanto che fin dall’agosto avevano ridotto i rifornimenti ed i complementi alla 10a Armata del generale Vietinghoff. La difesa avanzata del fronte meridionale della Germania era sugli Appennini, mentre quella vera e propria doveva svolgersi sulle Alpi, da sempre il baluardo meridionale del mondo germanico. Lo stesso comportamento di Rommel nei giorni postarmistiziali, e di tantissimi altri tedeschi in Italia, era orientato a questo. Tutto era preordinato, ma come al solito i piani non corrisposero alla realtà
La Germania fu sorpresa dalle modalità dell’uscita dell’Italia, anche lei si fece trovare impreparata nei dettagli e nel contingente ad affrontare la situazione. In questa incertezza, ebbe gioco in modo oltre il preventivato l’azione del maresciallo Kesserling, che si trovo ad agire d’iniziativa senza il controllo dell’OKW e di Hitler. La prima mossa fu quella di bloccare la via di Fiumicino e il progetto Reale di raggiungere la Sardegna. Poi vi è tutta la vicenda della fuga a Pescar-Brindisi, da parte del vertice governativo-militare italiano, aspetto questo estremamente controverso in cui non si vuole entrare, che diede a Kesserling il grande vantaggio di agire senza l’opposizione delle forze armate italiane. Che le forze italiane non si opposero ai tedeschi non avendo ordini dall’alto è un dato oggettivo e questo lo si ebbe per 48 ore. Badoglio, giunti a Brindisi emana alle ore 11 del 11 settembre 1943 da Radio Bari. Vi furono episodi isolati, grandi moralmente, eccezionali per la prospettiva futura e per la dignità di noi italiani, ma Kesserling ebbe modo di non solo conseguire il risultato che si era promesso, ovvero quello di recuperare e salvare il maggior numero dei soldati tedeschi stanziati nella Italia centro meridionale. Ma riuscì anche ad ottenere di più, ovvero quello di contrastare e contrattaccare le forze alleante che stavano sbarcando in continente.
Kesserling occorre ricordarlo, riuscì a ritardare l’avanzata dell’8a Armata britannica, fino quando necessario per portare in salvo la 15ma Divisione Granatieri Corazzati e la 16ma Divisione Corazzata che l’8 settembre 1943 si trovavano in Calabria; ad impadronirsi quasi senza colpo ferire di Roma, ed ad assicurare il possesso per 8 mesi: a contenere la testa di ponte di Salerno per il tempo necessario a costituire una posizione difensiva continua dall’Adriatico al Tirreno, la linea Reinhardt, che nel settore occidentale s’impegnava sulla stretta di Mignano. Proprio in uno dei convegni organizzati dalla Associazione combattenti della Guerra di Liberazione, da parte del gen. Boscardi si sostenne la tesi, ben documentata, che se non ci fossero stati i combattimenti di Porta San Paolo le divisioni tedesche impegnate dagli Italiani a Roma sicuramente sarebbero giunte in tempo a Salerno e influire positivamente sull’andamento dello sbarco dal punto di vista tedesco.
Ancora maggiore sarebbero stati i risultati positivi qualora Hitler e l’OKW non avessero rifiutato al maresciallo Kesserling le due divisioni richieste fin dal mese di agosto. Queste divisioni avrebbero potuto giungere in forze in molto meno di sei giorni. Ma all’indomani dell’annuncio dell’armistizio con l’Italia già l’8a Armata stava avvicinandosi a Potenza e la 7a divisione corazzata (britannica) e la 3a divisione (statunitense) la testa di sbarco. La battaglia per la testa di ponte sarebbe durata più a lungo ma nella sostanza, a Salerno, il risultato non sarebbe, con l’intervento di queste due divisioni da terra, probabilmente cambiato. La differenza si sarebbe fatta sentire poco più tardi. Kesserling avrebbe potuto resistere a sud di Napoli ed essere in grado di tenere quell’importante porto e gli aeroporti di Foggia finché l’inverno non fosse intervenuto in suo soccorso. Sempre nel campo delle probabilità, quello che sarebbe stato e non fu, con la resistenza di Kesserling a sud di Napoli, i capi di stato maggiore britannici avrebbero perduto la causa e gli statunitensi avrebbero preso il definitivo sopravvento nelle decisioni. La decisione di Kesserling di ritirarsi sul Volturno attirò gli alleati come una calamita e creò quella situazione che il gen. Marschall aveva sempre temuto. Sarebbero stati i tedeschi a tenere impegnate il maggior numero di divisioni alleate e non viceversa.
Questo, sommato agli errori tattici dei Comandi Alleati, quali la scelta sbagliata delle località di sbarco, la punta della Calabria e la zona di Salerno, troppo a sud per aggirare le possibili difese tedesche, (uno sbarco a nord di Roma, ancorché fuori dalla copertura aerea, in presenza di una scarsa presenza aerea tedesca, era un rischio calcolato che poteva essere corso), e dalla mancata realizzazione della sorpresa, che condussero una campagna lenta frammentaria ed indecisa, permise a Kesserling di tenere il più possibile a sud di Roma, e non di Napoli, il fronte tedesco. Sempre un successo.
Le difese dell’Appennino tosco-romagnolo, che dovevano essere investite e tenute per un breve periodo nel settembre- ottobre 1943, furono raggiunge dagli Alleati solo a settembre-ottobre 1944, 12 mesi dopo del preventivato e , con il sopraggiungere dell’inverno, non furono superate.
Nel quadro generale della campagna d’Italia, quindi, queste difese rappresentano il migliore rapporto tra costo ed efficacia. Se da una parte esse assorbirono 10 divisioni che potevano essere utilizzate sul fronte occidentale e affittire le difese del vallo atlantico, dall’altra furono il minor presso da pagare per tenere gli alleati lontani dalla Germania, in attesa che la decisone sull’esito della guerra si palesasse sul fronte orientale.

Le difese sull’Appennino tosco-emiliano tennero e sarebbero state più produttive se Hitler non avesse insisto nella sua fissazione della difesa ad oltranza e della manovra di arresto.
Quando Kesserling cedette il comando a Vietinghoff il 9 marzo 1945 era chiaro che gli alleati stavano per sferrare una offensiva su larga scala.Vietinghoff non era Kesserling e non godeva delle simpatie presso Hitler come il maresciallo. Non ebbe la forza di convincere Hitler ad autorizzarlo a passare dalla manovra di arresto alla manovra in ritirata, da fiume a fiume e negò anche l’arretramento sul PO, proposto il 14 aprile, che segnò la fine della difesa tedesca in Italia. Quanto il 20 aprile 1945 questa autorizzazione giunse era ormai troppo tardi.
Quindi alla domanda posta dal generale Poli: perché i tedeschi si sono difesi sull’Appennino tosco-emiliano e non sul Po o sulle Alpi, si può rispondere in un modo che quanto detto ne traccia già le linee guida: I tedeschi si sono difesi in Italia già dall’8 settembre il più a sud possibile, consci che la Germania doveva avere il tempo per vincere la guerra in Russia,. Perché era lì che la guerra si decideva.
Ogni linea in Italia era una linea di difesa di arresto temporaneo e in qualche caso con la possibilità di reazioni dinamiche, tutte brillantemente sfruttate. Se Kesserling fosse rimasto in Italia ed agito per manovrare in ritirata sicuramente le forze tedesche avrebbero passato il Po in modo più o meno ordinato e si sarebbero attestate sulle Alpi, ove le avrebbero raggiunti la notizia della resa, su posizioni organizzate a difesa.
La campagna dei tedeschi in Italia, quindi conclusasi con la capitolazione, fu sotto il profilo tecnico-militare un vero saggio di bravura difensiva. Non si può dire altrettanto della campagna d’Itala dei Comandi Alleati, che come già accennato la condussero tra errori e incapacità.
La campagna d’Italia fu la cartina di tornasole del dissidio tra Statunitensi e Britannici. I primi volevano, ed ottennero, di adottare una strategia diretta, ovvero concentrare tutte le forze sul fronte francese, da aprire al più presto, e puntare il più velocemente su Berlino e porre fine alla guerra; i secondi cultori della strategia indiretta volevano attaccare si dalla Francia ma anche dall’Italia, per puntare su Vienna e raggiungere il cuore d’Europa nel più breve tempo possibile. Il risultato di una campagna condotta male e con risultati scarsi e deludenti.
A chi giovò maggiormente, ai tedeschi o agli Alleati?. Per la Germania la campagna era stata una necessità assoluta. L’abbandono dell’Italia avrebbe consentito piena libertà di movimento agli Alleati sia in direzione della Francia che in quella dell’Austria e dei Balcani ed avrebbe offerto loro la disponibilità di basi aeree ravvicinate per bombardare la Germania meridionale e l’Austria e minacciare le vie di rifornimento e gli arroccamenti fra la fronte occidentale e quella orientale.
Per gli Alleati la campagna d’Italia fu una libera scelta per perseguire fini strategici rimasti, però, sulla carta. La tattica usata dagli alleati fu del tutto inadeguata, nonostante che non mancassero loro forze e mezzi aerei, navali ed anfibi per dare vita a manovre ampie e profonde che eludessero o riducessero gli sforzi frontali. Sul piano tecnico-militare, perciò, mentre i tedeschi raggiunsero nel corso dell’intera campagna il massimo risultato conseguibili in quella situazione, gli Alleati non ottennero quanto virtualmente avrebbero potuto e offrirono,tutto sommato, un saggio scadente , non già del valore dei loro soldati, ma della loro abilità manovriera. Ma portavano la Libertà e la Democrazia, ed ovunque furono accolti come liberatori. Commisero errori strategici e tattici addirittura grossolani, e conclusero vittoriosamente la campagna solo per la loro schiacciante superiorità materiale. Ma avevano dalla loro il nuovo, il futuro, il fatto che combattevano contro il regime del genocidio, e questo diede loro tutto l’appoggio della popolazione in cui operavano, quella italiana.
Questi gli aspetti della Campagna d’Italia da parte di Eserciti estranei a noi italiani, Campagna d’Italia che occorre sempre differenziare dalla guerra di Liberazione, che intendiamo come secondo risorgimento d’Italia nell'approccio che abbiamo adottato[1].


Dato infine che questo è un convegno dedicato ai soldati italiani sulla linea gotica occorre a questa relazione fare una postilla, che va oltre la domanda posta dal gen. POLI. Un convegno dedicato ai militari Italiani sulla linea gotica non può dimenticare quei soldati italiani che come prigionieri cooperatori erano inquadrati nelle Unità da combattimento britanniche e statunitensi, nella ISU e nelle BTU. L’esempio della testa di ponte di Anzio è troppo noto. Se si parla di gruppi di Combattimento, di salmerie da combattimento, di tutto e di più, occorre rammentare anche questi soldati che, occorre ricordare erano sotto giurisdizione alleata e non italiana, ma che al momento della fine della guerra, nella smobilitazione alleata, senza soluzione di continuità ritornarono sotto giurisdizione Italia e furono coloro che, ricevendo tutto il materiale che gli alleati ci lasciarono diedero vita alle Forze Armate del dopoguerra. La loro azione meriterebbe una maggiore attenzione almeno da parte nostra.



[1] Coltrinari M., La Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti 1943-1945, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008.

martedì 11 novembre 2008

Ventiduesimo numero de "Il Secondo Risorgimento"

E' uscito il n. 3 de "Il Seconod Risorgimento d'Italia": Versione integrale del numero è disponibile su "www.seconodrisorgimento.it"/rivista/indici. Riportiamo di seguito il sommario
Il Secondo Risorgimento d’Italia N. 3 - 2008

SOMMARIO

FONTI, TESTI E DOCUMENTI
Giovanni E. Camboni, Dilemmi e non della Regia Marina 3-8 settembre 1943
Stelio Tofone, Montelungo 1943. Una pagina di storia del movimento di liberazione
Marco Marzollo, Sarajevo. 11 febbraio 1944-25 luglio 1945

Nota redazionale
La ragione del Convegno “Azioni Significative della Guerra di Liberazione su Cinque Fronti”
è da ritrovarsi nella constatazione, più volte ribadita dal Gen. Poli, che gli Italiani non conoscono la Guerra di Liberazione del 1943-1945. La ricordano i vecchi che l’hanno fatta ma sono
rimasti in pochi, non coloro che non l’hanno fatta, e non è stata né ricordata dalla scuola, né
dalla letteratura, né dalla pubblica informazione che rifiutano la memoria di quegli anni. Le
motivazioni di questa lenta discesa verso l’oblio non molte, ma una forse ha inciso in modo
più significativo. L’atteggiamento di una parte della Sinistra italiana, in special modo il Partito Comunista e tutto il portato intellettuale che ispirava, di volersi impossessare esclusivamente della resistenza e della Guerra di Liberazione, escludendo tutti gli altri italiani che l’avevano fatta (cattolici, socialisti, azionisti, moderati, liberali, monarchici, per non dire delle
categorie, intellettuali, militari, impiegati, borghesi, privilegiando solo operai) ha fatto si che,
al momento del crollo del muro di Berlino e della URSS e la fine di tutti i partiti comunisti,
compreso quello italiano, fece accomunare in questo loro fallimento anche la Guerra di Liberazione e la Resistenza. L’equazione Partito Comunista = Resistenza = Guerra di Liberazione,
ha portato all’altra equazione Fallimento del partito Comunista = Fallimento della Resistenza = Fallimento della Guerra di Liberazione.
Da queste equazioni nasce l’oblio in cui gli anni mirabili del 1943-1945 sono stati non solo dimenticati ma oggetto di smaniosi e indiscriminanti attacchi di tutte quelle forze sconfitte nel
1945 e richiusesi su se stesse dopo la constatazione di un fallimento disastroso dopo ventidue
anni di regime. Un fallimento che ha le solide radici in dieci anni di guerre portate a solo scopo imperialistico, spesso ciabattone, a popoli che nulla avevano contro quello Italiano, ad una
guerra mondiale dichiarata per puro spirito opportunistico, condotta così male che, oltre al
disprezzo del nemico, riuscimmo ad avere anche quello del nostro principale alleato, la Germania, e degli altri alleati minori; una guerra in cui non riuscimmo a vincere una sola battaglia, in nessuno dei teatri operativi in cui operammo. Li dove vincemmo, lo fu per merito del
nostro Alleato. Una guerra che è ricordata solo attraverso l’esaltazione del valore del nostro
Soldato, della sua abnegazione e della dedizione alla Patria: Mancò la Fortuna, non il Valore
è un motto scritto dai bersaglieri in un cippo a 111 Km da Alessandria: sagge parole che sintetizzano tutta la nostra partecipazione alla guerra mondiale, basata esclusivamente sulla fortuna, sugli astri, sul caso e, per quello che può contare in un confronto fra Potenze per la supremazia del Mondo, sul valore delle proprie truppe, e non sulla capacità industriale, sulla
preparazione professionale dei Quadri e dei vertici Militari, sulle dottrine d’avanguardia, insomma su tutto quello che contraddistingue una Potenza in guerra, da un paese qualunque.
La conclusione di 39 mesi di una guerra condotta in questa maniera non poteva che essere
disastrosa. E lo fu. La crisi armistiziale rappresenta una ferita aperta ancora nella nostra coscienza nazionale e proprio la Guerra di Liberazione è la risposta a tanto disastro, una risposta unitaria, non di parte. Noi la intendiamo una guerra su cinque fronti (quello del sud, del
movimento partigiano del nord, dell’internamento in Germania, quello delle vicende dei nostri soldati all’estero inseriti nei movimenti di resistenza locali, e quello dei prigionieri che
parteciparono e collaborarono) la cui matrice è la volontà di non accettare il tedesco, le sue
idee, di non avere nulla a che fare con il regime del Genocidio, il nazista, ma solo combattendolo. Nel 1943 l’Italia era divisa in due; non era più uno Stato; si può parlare di “debellatio”,
di cancellazione della sovranità nazionale: questo il grande risultato che un regime, quello
mussoliniano, ma è meglio chiamarlo “staraciano” per i suoi aspetti cialtroneschi che, sposando alcuni aspetti deteriori di noi italiani ha inciso e sta incidendo in profondità nel nostro tessuto nazionale. Un risultato che ancora oggi non viene riconosciuto ed accettato da tutte quelle forze che attaccano la Guerra di Liberazione, forze che hanno sempre in bocca la parola
“Patria”, ma che, alla prova dei fatti, antepongono i loro personali e corporativistici interessi,
a quelli generali, negando quel progresso sociale e materiale a cui ogni popolo, nella sua totalità, deve aspirare.
Come la conclusione della Prima Guerra Mondiale e l’ordine del Mondo da essa scaturito è la
base per comprendere, dopo la parentesi dei regimi nazifascista e comunista, aberrazione e
conseguenza delle tragedie della grande Guerra, i problemi di oggi e i disequilibri esistenti
tra opposte culture, così per l’Italia la Guerra di Liberazione, gli anni mirabili del 19431945, sono, la culla della nostra Repubblica e la matrice della nostra attuale situazione. Conoscere quegli anni significa conoscere le situazioni di oggi; non conoscerli, significa l’avanzarsi di tanti imbonitori che raccontano le loro favole per perseguire i loro interessi. Proprio
la volontà di conoscere quegli anni è alla base dell’iniziativa di organizzare un Convegno dedicato al concetto di Guerra di Liberazione su cinque fronti, convegno che tenutosi nel novembre 2007 è pienamente riuscito. Sulla scia di questo, si è creduto opportuno dedicare due
numeri della Rivista, il n. 3 ed il n. 4, proprio a contributi che, per forza di cose, non è stato
possibile presentare al convegno. In questo numero in copertina, presentiamo la foto di due
giovanissimi Ufficiali del nostro Esercito, ancora impegnati nel loro ciclo formativo di base,
che hanno presentato i loro lavori al convegno: una foto estremamente emblematica, che
ognuno può comprendere nei suoi più profondi significati, e tre contributi, che tratteggiamo
azioni significative della Guerra di Liberazione. Un particolare cenno si vuole fare a Stelio
Tofone, combattente di Montelungo, che si impegnò in anni non certo facili, a presentare nella sua totalità una pagina, quella della rinascita dell’Esercito Italiano, non certo semplice da
ricostruire e divulgare.

Il presente numero della Rivista esce con il contributo integrale dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze

In Copertina: Il S.Ten. Domenico Santoro ed il Ten. Andrea Figaro, vincitori del Premio 2006 messo a concorso
dalla Fondazione “Le Forze Armate nella Guerra di Liberazione 1943-1945, espongono i loro lavori al Convegno
“Azioni Significative della Guerra di Liberazione su Cinque Fronti” nel salone dei Dugento a Firenze

IV di Copertina: Locandina del convegno “Azioni Significative della Guerra di Liberazione su Cinque
Fronti” tenutosi a Firenze il 9 Novembre 2007