Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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domenica 20 marzo 2022

GIuseppe Alabastro. Da I Reggimento Motorizzato al CIL

 

Dal I Reggimento Motorizzato al Corpo Italiano di Liberazione 27 settembre 1943 – 18 aprile 1944

 

Il Corpo Italiano di Liberazione si costituì all’indomani della brillante azione su Monte Marrone come diretta emanazione del I Raggruppamento Motorizzato. Gli Alpini del battaglione Piemonte con la loro azione di occupazione prima e di difesa poi del Monte Marrone, avevano fugato le ultime perplessità degli Alleati sul costituire una forza combattente italiana da impiegare al loro fianco sul fronte italiano.

All’indomani dell’Armistizio, annunciato alla sera dell’8 settembre 1943, il Comando Alleato aveva permesso la costituzione di un reparto italiano combattente di 5000 uomini, con dotazioni ed armi esclusivamente italiane, che fu denominato I Raggruppamento Motorizzato. La data di costituzione fu il 27 settembre 1943 ed il I Raggruppamento Motorizzato si raccolse nella zona di San Pietro Vernotico, in provincia di Lecce, con elementi organici provenienti dalle divisioni “Mantova”, “Legnano”, “Piceno” e del LI Corpo d’Armata; ebbe come Comandante il generale degli Alpini Vincenzo Dapino.

Come evidenziato, vi erano profonde divergenze in seno all’Alto Comando Alleato sull’impiego di unità italiane come unità di combattimento. I Britannici erano dell’avviso che l’Italia sconfitta non doveva assolutamente partecipare alla lotta contro i Tedeschi, ma fornire solo sostegno e forze a supporto della logistica, ovvero fornire marginale supporto militare a sostegno delle unità combattenti alleate. Tale atteggiamento aveva una precisa motivazione: alla fine della guerra, conseguita la vittoria, non si voleva assolutamente che l’Italia potesse reclamare il riconoscimento di qualsivoglia diritto, doveva essere trattata come nazione sconfitta.[1]

Gli Statunitensi erano più pragmatici e realistici: sul fronte italiano occorrevano forze combattenti che al momento non vi erano, in vista della apertura del fronte in Francia, che per loro era il vero fronte di guerra, l’unico in grado di poter permettere di sconfiggere la Germania in tempi brevi. Di conseguenza una partecipazione italiana alla guerra era ben vista, in quanto avrebbe permesso di sottrarre forze statunitensi al fronte italiano per inviarle al fronte francese, come difatti avvenne nella primavera del 1944. Da questa esigenza ha origine l’atteggiamento statunitense di apertura verso l’Italia, che aveva convinto i Britannici ad acconsentire alla formazione di una forza combattente italiana inizialmente di 5000 uomini.

Di pari passo si stavano formando le Divisioni Ausiliare, unità prettamente logistiche che al termine della guerra vedranno impegnati oltre 210.000 soldati Italiani.[2]

I Britannici, a giustificazione del loro atteggiamento, sostenevano che gli Italiani, per una moltitudine di ragioni tra i quali la crisi armistiziale che ne aveva pesantemente minato le motivazioni, non avevano alcuna intenzione di battersi per la causa alleata e quindi, anche a causa degli scarsi mezzi[3], erano da doversi ritenere combattenti non validi ed inaffidabili. Gli Statunitensi scelsero di mettere gli Italiani alla prova: da qui l’entrata in linea del I Raggruppamento Motorizzato a Montelungo l’8 dicembre 1943.

Montelungo rappresenta una svolta dal punto di vista morale, politico e motivazionale, come simbolo del riscatto italiano dopo la crisi armistiziale, in cui un manipolo di prodi volle dimostrare la volontà italiana di combattere la coalizione hitleriana. Sul piano militare fu una sonora quanto dolorosa sconfitta, che in gran parte avvalorava le asserzioni britanniche.

 

L’analisi oggettiva degli avvenimenti avvalora ampiamente gli assunti dei Britannici.

IL 26 novembre 1943, dopo un periodo di assestamento non certo facile, il Raggruppamento fu sottoposto ad un’esercitazione valutativa molto severa, al termine della quale gli Alleati decisero di impiegarlo in linea nel breve giro di qualche settimana.

A questo fine, dal punto di vista ordinativo, il Raggruppamento fu inquadrato nel VI Corpo d’Armata USA ed il 3 novembre 1943 fu messo alle dipendenze della divisione Texas, che aveva i suoi reggimenti - il 141°, il 142° ed il 143° - schierati sulla stretta di Mignano, nell’alto casertano. Il 4 dicembre 1943 il Raggruppamento ricevette l’ordine di portarsi in linea; il giorno successivo, 5 dicembre, il movimento ebbe inizio ed il 6 dicembre le truppe italiane sostituirono le unità statunitensi in prima linea. Il I Raggruppamento Motorizzato rappresentava l’espressione concreta della volontà italiana di contribuire alla sconfitta della coalizione hitleriana.

L’8 dicembre 1943, a tre mesi dalla proclamazione dell’Armistizio, le truppe italiane attaccarono le posizioni tedesche sul costone di Montelungo. L’azione su Montelungo non ebbe successo, nonostante il valore dimostrato dalla truppa; i fattori dell’insuccesso furono molteplici (la scarsità del tempo a disposizione per preparare l’azione, la sottostima da parte Statunitense delle forze tedesche attaccate dagli Italiani, carenza motivazionale in alcuni reparti, falle nel piano operativo italiano, ecc.). Una settimana dopo, con una migliorata organizzazione ed un attento coordinamento degli sforzi con i reparti statunitensi, l’azione fu ripetuta (16 dicembre 1943) ed ebbe successo.

 

La geografia tattica di Monte Lungo risulta priva di elementi di particolare ostacolo, in quanto trattasi di un rilievo montuoso su tre quote disteso in senso longitudinale nella stretta di Mignano (il Mignano Gap per gli Alleati) che immette nella piana di Cassino, distante circa dieci chilometri. Ai lati, verso ovest, trova collocazione un monte che non a caso si chiama Maggiore e ad est si delinea una dorsale dominata in alto da Monte Sammucro e sulla quale, a mezza costa, si adagia il sito urbano di San Pietro Infine. Le caratteristiche della sopra descritta geografia dei luoghi  costituisce elemento dirimente del fallimento nel quale trovò epilogo l’attacco dell’8 dicembre 1943.

Secondo la testimonianza di uno dei protagonisti, Enzo Campanella[4], la situazione del I Raggruppamento Motorizzato non era delle migliori. Scrive Campanella:

 

“Ho dialogato a lungo, conversazioni a non finire, con il gen. Enzo Corselli, mio compagno di corso, pluridecorato e di solide tradizioni militari (suo padre, infatti, era stato Comandante dell’Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena). Egli raccontava che il 6 dicembre alle ore 13.00, sotto una pioggia incessante, mosse al comando della sua 1a compagnia del I Battaglione del 67° Reggimento Fanteria, verso Mignano, gli uomini essendo carichi come somari perché, omnia mecum porto…altro che motorizzati, per trasferirsi alla base di partenza e sferrare l’attacco a Monte Lungo nei giorni successivi. All’arrivo a Mignano (periferia) non potendo consumare neanche il rancio, dopo una marcia estenuante, bagnati fradici, perché la pioggia impediva l’accensione del fuoco per prepararlo!

Con queste premesse – mi diceva ancora l’amico Corselli – sono mancate le possibilità: di organizzazione sulla base di partenza per l’attacco; di ricognizioni nelle direzioni di attacco; degli stessi accordi con l’artiglieria e con gli Alleati che agivano ai due fianchi. Andarono all’attacco con il morale alto, protetti dall’oscurità e, alle prime luci, dalla nebbia. Tali condizioni però causarono la mancanza di collegamento tra i reparti minori sino allo smarrimento delle direzioni di ogni plotone, ogni squadra, dovevano mantenere verso gli obiettivi principali.”[5]

 

La preparazione insufficiente e l’approssimativa organizzazione dell’azione, unitamente alla deficitaria azione concorrente degli statunitensi del 142° Reggimento fanteria della divisione Texas che, contrariamente a quanto garantito, non aveva occupato il Monte Maggiore, ebbero quale conseguenza più grave che i Tedeschi da queste posizioni tempestarono di fuoco il I battaglione del 67° Reggimento fanteria e la 2a compagnia del LI battaglione A.U.C, annientandola.

 

Dopo una breve preparazione di artiglieria, che risultò assolutamente inefficace, fu lanciato l’attacco lungo la costa meridionale di Montelungo, che fino alle ore 9:30 a.m. procedette bene con i reparti Italiani protetti dalla nebbia, i quali riuscirono a raggiungere quota 343 e la quota senza numero. Intorno alle ore dieci, diradatasi a sfavore la nebbia, la situazione divenne via via sempre più critica fino a precipitare.  

Al Comando Italiano era stato assicurato dal Servizio Informazioni statunitense che Monte Maggiore, che fiancheggia Montelungo, fosse già per intero in mano americana. In realtà gli Statunitensi ne controllavano solo la cresta e non avevano eliminato le posizioni tedesche a mezza costa, cosicché con il dissolversi della nebbia da queste posizioni risultò assai agevole battere Montelungo e neutralizzare ogni movimento avversario. Il LI battaglione bersaglieri A.U.C. fu sorpreso completamente allo scoperto e la sua 2a compagnia fu decimata e sconfitta; il battaglione impossibilitato al movimento restò costretto sulle posizioni e solo con il favore della notte riuscì a riguadagnare, con rilevanti perdite, le posizioni di partenza.

In vetta al Montelungo, i Tedeschi che mimetizzati in buche e nascosti in caverne si erano volontariamente fatti oltrepassare dagli Italiani, li sorpresero con un attacco alle spalle.

Enzo Campanella, che riporta la testimonianza del gen. Corselli così descrive questi avvenimenti “(Corselli) in testa alla sua prima compagnia, egli riuscì ad arrivare alla famosa quota 343, ma i Tedeschi, contrattaccando, senza tentennamenti, entrarono nel pieno delle forze attaccanti, mescolandosi agli assalitori e sparando a bruciapelo e da tergo, mentre per gli attaccanti era difficile colpirli anche per il rischio di uccidere altri componenti del reparto.”[6]

 

La lotta si frantumò in corpo a corpo furiosi quanto micidiali e gli Italiani persero la coordinazione degli sforzi e l’unità di comando. Il II battaglione del 67° Reggimento da Monte Maggiore inviato a rincalzo si disunì e fu ripreso alla mano solo nel tardo pomeriggio dell’8 dicembre 1943. Alle ore 13:00 si poté constatare che l’azione era di fatto fallita e l’unica scelta possibile era il ritorno alle basi di partenza.

L’insuccesso era evidente, anche se non mancarono espressioni di valore individuale, che fecero da contrappunto a condotte invero disciplinarmente riprovevoli. Il granatiere Stenio Tofone, protagonista di quegli eventi, croce di guerra al valor militare sul campo, ricorda[7] che i combattimenti a corpo a corpo furono aspri (uccise un tedesco diciannovenne con un calcio alla bocca violento e successiva azione di fuoco) e che un gruppo di oltre 40 suoi commilitoni per sottrarsi al fuoco e trovare una via di scampo, imboccarono un condotto e, gettando armi e divise, si dileguarono per la campagna e non rientrano più nei ranghi.

A ciò va ad aggiungersi il riprovevole comportamento del II battaglione del 67° fanteria, che unitamente ad altri episodi similari, rende la misura della disfatta tattica e delle implicazioni lesive dell’onore militare portate dalla prima azione su Montelungo.

Enzo Campanella così descrive quei momenti

 

“I reparti si lanciarono all’attacco con molto impeto su per il costone di Monte Lungo, riuscendo ad incunearsi nello schieramento tedesco; ma in quella prima giornata, 8 dicembre 1943, vennero a trovarsi in mezzo alla micidiale reazione concentrica avversaria, scaglionata in profondità che non fu possibile neutralizzare a causa ella mancanza di solide intese con i reparti alleati.”

 

Oltre ai Caduti e feriti, a Montelungo si lamenta la perdita di 151 “dispersi”, espressione che secondo Tofone e molti altri combattenti di cui si sono raccolte le testimonianze[8] è da ritenersi eufemistica.

Nella commemorazione fatta a Bergamo nel 1945, il gen. Utili così concludeva:

 

“Gli Italiani erano stati spinti ad incunearsi nel dispositivo nemico mentre le sommità di Monte Maggiore era in saldo possesso dei Tedeschi. I reparti per sottrarsi al fuoco concentrico dei fianchi furono costretti a tornare sulle posizioni di partenza. Segui poi, a distanza di alcuni giorni, la meritata vittoria. L’operazione di Monte Lungo non è un modello di arte militare e nemmeno si potrebbe sostenere che abbia avuto un peso di qualche rilievo sul complesso delle operazioni. Essa impegnò direttamente poco più di mille uomini e di loro quasi la metà non tornò. Per noi che vedemmo ben altri catacombi, il suo significato materiale non trascende il valore di un episodio. Tuttavia, per il valore dell’ideale, il combattimenti di Monte Lungo appartiene non alla cronaca ma alla storia d’Italia e perciò non sarà più dimenticato. Esso permise che si diffondesse nel mondo la notizia che, per la prima volta nella seconda guerra mondiale e già nel 1943 i soldati Italiani si battevano a fianco dei soldati alleati”.[9]

 

Le cause di questa sconfitta non sono solo italiane: agli Italiani si può rimproverare la scarsa preparazione, il fatto di non aver dato sufficientemente peso alle informazioni raccolte, ma agli Statunitensi è da attribuirsi la responsabilità della inveritiera assicurazione che Montelungo fosse difeso da un velo di loro truppe, mentre in realtà era presidiato da robuste formazioni della Herman Goering, una delle più agguerrite divisioni tedesche del fronte di Cassino, nonché la responsabilità per la mancata occupazione delle posizioni di mezza costa di Monte Maggiore, altro fattore determinante del funesto esito dell’azione.

Lo scoramento al Comando Italiano, nel quale era presente anche il Principe Ereditario Umberto fu grande. Il Principe lasciò le posizioni deluso, incapace di dare un minimo di contributo fattivo alla difficile situazione, ennesima dimostrazione di come Casa Savoia sia stata, durante tutto il secondo conflitto mondiale, incapace di incidere sugli avvenimenti, soprattutto nei momenti più difficili.

Contrariamente al Principe Ereditario Umberto, che recandosi a Montelungo come ad una cerimonia, aveva di fatto reso la sua presenza priva di utilità alcuna, il gen. Clark, Comandante della V Armata Americana, permise agli Italiani di riprendersi dalla sconfitta e di avere un’altra occasione di azione.

 

Recatosi al Comando Italiano l’indomani 9 dicembre, Clark assicurò che il Raggruppamento non sarebbe stato ritirato e che sarebbe stato messo nelle condizioni di poter ritentare l’azione. E così avvenne. Questa volta la preparazione fu più accurata. Monte Maggiore fu definitivamente conquistato ed occupato, le posizioni furono meglio riconosciute ed il piano di attacco si rivelò più congeniale alle forze disponibili. L’azione fu iniziata il 16 dicembre 1943 e questa volta ebbe completamente successo, con un numero di perdite esigue.

Il I Raggruppamento Motorizzato aveva avuto il suo battesimo del fuoco, ma la prova fu dura; appariva chiaro che l’unità italiana non poteva rimanere in linea. L’eccessiva sollecitudine con la quale erano stati inviati al fronte reparti privi di un’adeguata preparazione e poco omogenei, aveva avuto quale inevitabile conseguenza il ritiro dal fronte del I Raggruppamento Motorizzato, il quale fu mandato in Puglia a riorganizzarsi.

 

Le settimane successive furono segnate da giorni di incertezze ed indecisione, duranti i quali veniva valutata la possibilità che il Raggruppamento potesse essere ricostruito, ristrutturato e potenziato, in luogo dell’eventualità che su decisione degli Alleati[10] venisse trasformato in unita logistica, così comportando per l’Italia la perdita di ogni possibilità di mandare truppe in linea.

 

Il I Raggruppamento Motorizzato, profondamente segnato da questa esperienza, fu ritirato dalla prima linea per riorganizzarsi. A metà gennaio il gen. Dapino fu sostituito dal gen. Utili, che dovette primariamente risolvere i numerosi  - ed in molti casi gravi - problemi di carattere morale e disciplinare che il Raggruppamento presentava.

Ottenuti elementi organici provenienti dalla Sardegna, Utili riuscì a rendere i suoi reparti omogeneamente preparati ed efficacemente operativi, tanto che il I Raggruppamento Motorizzato fu inquadrato nel Corpo di Spedizione Francese al Comando del gen. Jouen, nella zona delle Mainarde.

Ricevuto come rinforzo il battaglione alpini Piemonte, Utili, nel tentativo costante di ottenere considerazione dagli Alleati, progettava la conquista di Monte Marrone, che con i suoi 1800 metri di altezza costituiva un ottimo osservatorio, non presidiato per l’inverno dai Tedeschi. Transitati pochi giorni prima dall’inquadramento tra i Francesi alle dipendenze del Corpo Polacco in Italia, il Raggruppamento tentò l’impresa.

 

Durante la notte del 31 marzo 1944, il battaglione Piemonte, su tre colonne, riesce a raggiungere la vetta di Monte Marrone e ad organizzarsi a difesa. Non fu un attacco vero e proprio, ma un’occupazione, che però impressionò soprattutto gli Statunitensi, i quali compresero che gli Italiani erano in grado di combattere in montagna, terreno dove invece loro operavano con notevole difficoltà. Respinta con tenacia e sacrificio la reazione tedesca a Monte Marrone nella giornata di Pasqua del 1944 (10 aprile), Utili poteva dimostrare di avere al suo comando un’unità degna di nota, pronta per altri più impegnativi cimenti.

Al fine di evitare che gli Italiani avessero la possibilità di entrare a Roma[11] nel prosieguo delle operazioni, gli Alleati decisero di inviare il I Raggruppamento Motorizzato sul fronte adriatico, senza però considerare la necessità di dover provvedere ad un suo potenziamento.



[1] Come difatti avvenne con la firma del Trattato di Pace, a Parigi, il2 febbraio 1947.

[2] Per le unità Ausiliarie vds: Le Divisioni Ausiliarie nella Guerra di Liberazione – Atti del Convegno di Studi, Lucca, 8,9,10 ottobre 1994, , Roma, Centro Studi e Ricerche sulla Guerra di Liberazione, Scena Illustrata Editrice, 1998.

[3] Churchill aveva stabilito che tutto il materiale bellico italiano (armi, munizioni, equipaggiamenti) doveva essere inviato ai partigiani jugoslavi titini, gli unici che in quel momento (fine 1943) che stavano impegnando a fondo i Tedeschi nei Balcani.

[4] Generale, ha partecipato alle operazioni quale Comandante di compagnia alpini alla frontiera occidentale, con il battaglione Val Cordevole del 7° Reggimento alpini; alla frontiera greco-albanese, con il battaglione Belluno; nei Balcani (Montenegro) con il battaglione Feltre; nello scacchiere mediterraneo con il battaglione Belluno; a Monte Marrone e al forzamento del fiume Musone ed a Jesi con il battaglione Piemonte del Corpo Italiano di Liberazione; a Barbara e a Pergola sino al Candigliano, con il battaglione Monte Granero; sul fronte di Bologna con il battaglione L’Aquila del gruppo di combattimento Legnano. Decorato con 2 Medaglie di Bronzo al Valor Militare ed 1 Croce di Guerra al Valor Militare, e di 4 Croci al Merito di Guerra ed altre onorificenze.

[5] Campanella E., Monte Marrone: Cerniera tra il Primo Raggruppamento Motorizzato ed il Corpo di Liberazione in Boscardi E., Toselli P., Grassi N. (a cura di), Dalle Mainarde al Metauro. Il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) 1944. – Atti del Convegno di Studi, Corinaldo 22.23.24 Giugno 1994, Sala Grande del Comune, Roma, Centro Studi e Ricerche sulla Guerra di Liberazione, Scena Illustrata Editrice, 1996.

[6] Ibidem

[7] Testimonianza resa all’Autore, in presenza di altri testimoni, l’8 Dicembre 2007, e riconfermata, l’8 dicembre 2009 alla presenza del Nipote di nove anni, a Montelungo, sul luogo stesso degli avvenimenti

[8] Vds. la collezione, dal n. 1 al n. 39 della Rivista “Il Secondo Risorgimento d’Italia”, Trimestrale, Roma, 2001 -2011.

[9]  Il discorso del gen. Utili è pienamente condivisibile. Ma si nota che noi Italiani abbiamo il vezzo di celebrare solo sconfitte sul campo (El Alamein, Nicolajewa, durante la ritirata di Russia ecc. in questo caso Montelungo), e questo avrà pure un significato. Nazioni come la Francia e la Gran Bretagna celebrano date di vittorie, con i medesimi significati.

[10] Il gen. Clark lasciava aperte molte possibilità ed alimentava la speranza che il Raggruppamento non fosse disciolto, come da più parti, soprattutto britanniche, si auspicava; inviando questo messaggio al gen. Dapino, Clark scriveva: “Desidero congratularmi cogli Ufficiali ed i Soldati al vostro comando per il successo riportato nel loro attacco di ieri su Monte Lungo e su quota 343. Questa azione dimostra la determinazione dei soldati Italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d’Europa”

[11] In realtà il 7 giugno 1944 un reparto italiano entrò in Roma; sceso dai mezzi, sfilò dal Colosseo per via dei Fori Imperiali, per schierarsi a Piazza Venezia e rendere omaggio al Milite Ignoto, per poi salire al Quirinale, ove si era insediato proprio quel giorno il Luogotenente del Regno, Umberto, per montarvi la guardia. Il reparto era una compagna di formazione del 67° Reggimento Fanteria Legnano comandata dal cap. Pugno, con musica e bandiera del Reggimento., compagnia in forza alla 201a  Divisione Ausiliaria, ma che sei mesi prima aveva combattuto a Montelungo. La bandiera del 67° Reggimento Fanteria Legnano è decorata di Medaglia d’Oro con la seguente motivazione: ”Prima Bandiera italiana da combattimento nella Guerra di Liberazione. Sventolava nella sanguinosa lotta per il possesso di Monte Lungo, fra gesta memorabili di eroismo e di sacrificio, contro avversario agguerrito e dure difficoltà di terreno. Simbolo della dedizione suprema alla resurrezione della patria, garriva vittoriosa, con le avanguardie alleate, sulla via di Roma”. Montelungo 8 dicembre 1943 – Roma 7 giugno 1944.” Cfr. Boscardi E., “E il 7 giugno di sorpresa sfilarono gli Italiani – un episodio della Liberazione di Roma dimenticato dalla storia ufficiale”, in Il Tempo, Roma, 7 giugno 1984; vds. inoltre sempre di Boscardi E., L’entrata delle truppe italiane a Roma, in Dalle Mainarde al Metauro. Il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) 1944. – Atti del Convegno di Studi, Corinaldo 22.23.24 giugno 1994, Sala Grande del Comune, Roma, Centro Studi e Ricerche sulla Guerra di Liberazione, Scena Illustrata Editrice, 1996.

venerdì 18 marzo 2022

Riflessioni Strategiche

 

RIFLESSIONI STRATEGICHE E SOCIOLOGICHE SULLA PANDEMIA

Sergio  Benedetto  Sabetta

 

La pandemia ha accentuato il disperdersi della società, ha sostanzialmente fatto emergere ed evidenziato il suo tessuto, altrimenti non chiaramente visibile, frantumato in mille rivoli.

Ha altresì evidenziato le fragilità economiche e psicologiche del sistema, molto evidenti nei fatti di cronaca e nei comportamenti scolastici, favorito tra al’altro dalla soppressione di un servizio militare non sostituito da alcuna forma obbligatoria di servizio civile per le nuove generazioni.

Per non parlare degli aspetti economico-strategici e dello scenario che ne risulta, con le tensioni nell’Est Europa, lo spostamento dell’asse strategico verso Oriente a seguito dell’alleanza Mosca-Pechino e il conseguente dirottamento di molte risorse strategiche ed energetiche, con conseguente spiazzamento per l’Occidente e aumento dei costi delle forniture.

Gli U.S.A. hanno perso parte della loro capacità di essere leadership mondiale, anche a seguito di una serie di errori strategici, economici e psicologici, nel voler imporre il loro modello a livello globale, in parte rifiutato, con una conseguente persistente opposizione anche terroristica, e dall’altro utilitaristicamente adottato in parte e ritorto in termini di supremazia mondiale.

D’altronde era già successo nel primo dopoguerra della Grande Guerra che ad una bulimica esaltazione degli anni folli era seguita la crisi del 1929, causa non secondaria per la salita al potere del nazismo, premesse per la Seconda Guerra Mondiale.

Da più parti si è osservato che la globalizzazione si è risolta nella volontà di imporre un unico modello culturale, in una omogeneizzazione fondata sulla misurazione economica di tutto l’agire umano e sulla commercializzazione dei modelli culturali, esempio ne è la tendenza a rapportare tutto al modello economico del risarcimento.

1

Alla ritirata degli U.S.A. da molti settori globali, si è contrapposta l’avanzata di nuove potenze, che hanno avuto la capacità di sfruttare i trasferimenti tecnologici favoriti dalla ricerca di sempre nuovi utili nella mobilità di capitali e tecnologie, proprie del modello economico neoliberista degli ultimi tre decenni.

I mezzi di comunicazione, apparentemente liberi, sono nella realtà pienamente integrati nello scontro in atto, fornendo letture parziali dei fatti se non tacendoli.

Come è stato osservato, anche il tanto abusa termine di green nasconde, nella giusta e necessaria ricerca di nuove forme di attività economica meno invasive, non solo la ricerca di utili con il semplice trasferimento della tipologia di inquinamento, ma anche una lotta per la supremazia derivante dall’adozione di nuove tecnologie.

La manipolazione biologica che l’evento di questi ultimi anni ha evidenziato, si affianca ad una lotta per il controllo dello spazio interno tra terra e luna, in quanto chi controllerà lo spazio controllerà la terra, il tutto coperto da una dubbia cooperazione internazionale.

Nell’attività umana vi è un pensiero ciclico, essendo insita nella specie sia la cooperazione che la ricerca di un predominio, tanto all’interno di un gruppo che tra gruppi. Non resta quindi che incanalare tale aggressività, impedendone l’emergere degli aspetti più distruttivi che con l’attuale tecnologia può trasformarsi in autodistruzione.

Come dimostrano gli eventi di questi ultimi decenni, se le guerre guerreggiate sono state territorialmente limitate e spesso a bassa intensità, tanto che per evitare problemi di diritto internazionale e spiacevoli ricadute politiche, sia interne che internazionali, si è ricorso ad organizzazioni paramilitari, dette “Private Military Company”, riedizioni moderne delle antiche compagnie di ventura è anche vero che nell’attuale società supertecnologica e iperconnessa    è sufficiente bloccarne l’energia per renderla impotente, con conseguente diffusione del panico.

Si parla quindi di costruire nuove riserve strategiche e di formare macroaree di globalizzazione o globalizzazioni locali, più sostenibili in termini di sicurezza evitando peraltro gli attriti di una omogeneità imposta, lasciando dialogare le varie culture, selezionando solo quegli aspetti ritenuti più validi e complementari.

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L’Europa in questo scenario è  sia divisa al suo interno, nonostante le dichiarazioni assicuranti, sia dipendente da terzi, in un pericoloso pendolarismo, che tuttavia può permettere adeguatamente supportato una più ampia funzione diplomatica di mediazione.

Altro aspetto è stato il riemergere nei momenti di crisi dell’importanza statuale e la difficoltà tuttavia di mantenerne una unitarietà d’azione, senza sprofondare in contraddizioni operative e messaggi confusi, impedendo nella libera società della comunicazione la sovraesposizione mediatica ed il presenzialismo unito ad un sensazionalismo. D’altronde vi è un parallelismo comunicativo che nella libertà senza adeguati dibattiti e filtri cognitivi genera contraddizioni, incertezze e false notizie, la comunicazione diventa guerra.

Nella costruzione della realtà si possono avere due visioni opposte.

Una economica in cui i fenomeni e gli “oggetti”, compresi gli esseri viventi, hanno un “ruolo”, quali merci, e un prezzo fornito quale mezzo dal bene intermedio e virtuale che è la moneta.

L’altra naturale nella quale i beni da esclusivamente economici, quindi utili allo scambio, riacquistano la funzione di elemento di un ecosistema.

Nella estremizzazione della prima visione vi è l’accumulo, lo scarto e l’inevitabile suddivisione con chiusura all’esterno, premessa necessaria allo scontro anche armato, nella seconda la coscienza di una originaria unitarietà, premessa per una possibile visione collaborativa. (G. Rist, I fantasmi dell’economia, Jaca Book 2012)

NOTA

AA.VV. Lo spazio serve a farci la guerra – Limes, 12/2021

 

 

 

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