Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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martedì 30 dicembre 2008

I Lettori ci scrivono

Riceviamo in Redazione la seguente lettera che pubblichiamo

Egregio Dr. Coltrinari
Ritengo di esserci conosciuti a Caserta, in occasione di un incontro con l’Associazione Internati e Guerra di Liberazione, comunque mi presento:
sono Corvino Giovanni Battista, classe 1922 appartengo a quelli d’Aosta ’41sono stato promosso sottotenente il 15 febbraio 1942. Ho partecipato con il Battaglione “Val Cismon”del 9° Reggimento Alpini della Divisione “Julia”, come comandante di plotone fucilieri alla campagna di Russia, sono stato ferito in combattimento il 28 dicembre 1942 al famoso quadrivio insanguinato di Selenij-Yar. Nel 1952 mi è pervenuta una Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il fatto d’armi del 28 dicembre. L’8 settembre, sempre con il “Val Cismon” ero nell’alta Val d’Isonzo, zona slava. Dopo i vari ripensamenti decisi di scendere al Sud. Ad Ancona fui catturato dai tedeschi e dopo 15 giorni di prigionia nella caserma Cialdini, paventando di essere internato, riuscii a fuggire, e dopo varie peripezie il 13 ottobre attraversai le linee tra Guglionesi e Montenero di Bisaccia (Termoli).
Ripresentatomi al Sud sono stato uno dei primi ufficiali ad appartenere,dopo l’8 settembre, ad un gruppo di Alpini denominato “Reparto Esplorante Alpini” poi divenuto Battaglione “Taurinense” ed infine “Battaglione Piemonte”. Con il Battaglione “Piemonte” sempre come comandante di plotone fucilieri, 3 Compagnia I Plotone ho partecipato alla Guerra di Liberazione. Il 29 maggio 1944 a Madonna del Canneto sono stato decorato di una Medaglia di Bronzo sul campo.
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Ebbene, leggo su “Il Secondo Risorgimento d’Italia” e le varie pubblicazioni sulla guerra di Liberazione, ma devo constatre che in realtà viene dato poco risalto ad avvenimenti di notevole importanza. E’ pur vero che l’8 dicembre 1843, solo dopo 3 mesi dalla resa incondizionata, vi è stato a Montelungo, con il I Raggruppamento Motorizzato, l’inizio ed il battesimo di fuoco della partecipazione italiana alla guerra di Liberazione, tra lo scetticismo degli Anglo-americani, pertanto rimane una data storica, anche se la volontà di riscatto degli italiani era stata dimostrata lo stesso 8 settembre a Porta San Paolo dai Granatieri di Sardegna. La battaglia di Montelungo, come Lei sa, meglio di me; non diede risultati eclatanti per vari motivi ( scarsa preparazione morale e materiale, scarso equipaggiamento, improvvisazione, condizioni atmosferiche proibitive) per cui gli Anglo-americani continuarono ad essere scettici. Dovettero trascorrere oltre 3 mesi perché venisse concessa un’altra prova. Ciò avvenne il 31 marzo 1944, con la conquista, da parte degli Alpini del Battaglione “Piemonte” di Monte Marrone, con azione frontale, ritenuta impossibile dagli Anglo-americani che dagli stessi avversari tedeschi, ma maggiormente stupì la difesa di Monte Marrone dall’attacco dei tedeschi il 9-10 aprile (notte di pasqua).Furono questi gli episodi che convinsero gli Anglo-americani sulla validità e necessità di avere gli Italiani al loro fianco. Infatti il I raggruppamento Motorizzato fu ampliato e denominato Corpo Italiano di Liberazione e dopo il comportamento nell’avanzata sul settore Adriatico fino alla linea Gotica. Il C.I.L. fu ampliato e trasformato in Gruppi da Combattimento, armato ed equipaggiato con materiale inglese ed inserito nella primavera del 1945 fino alla fine del Conflitto.
Io credo perché non mettere in risalto che l’Esercito Italiano, nato a Montelungo ha avutoi il suo consolidamento nelle terre dell’Alto Molise, sulle Mainarde perché le date del 31 marzo e 9 e 10 aprile 1944 non vengono mai citate.
La storia deve sapere tutta la verità, il vero con tributo alla Guerra di Liberazione dell’Italia è stato dato dalle truppe regolari italiane, inserite a Montelungo l’8 dicembre 1943 e consolidatesi nell’alto Molise sulle montagne delle Mainarde, a Mnte Marrone il 31 marzo ed il 9 e 10 aprile 1943. Ritengo che sarebbe doveroso ogni volta che si cita Montelungo 8 dicembre 1943, si affianchi Monte Marrone 31 marzo e 9 e 10 aprile 1944.
Mi scusi per quanto Le ho scritto, sperando di trovarLa d’accordo, nel mentre mi è gradita l’occasione per cordialmente salutarLa.
Foggia 12 luglio 2008.

Non si può non essere d’accordo con quanto scrive Covino. L’una nota che possiamo aggiungere è che la parola “rinato” riferita all’Esercito Italiano a Montelungo, non sembra, a nostro parere, appropriata. Rinascere significa nascere due volte. Per noi vi è una continuità, anche in presenza di una crisi armistiziale come quella dell’8 settembre, per le Forze Armate Italiane che rappresentano la continuità dello Stato. Questo concetto per noi si esplica nell’approccio che abbiamo adottato per la Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti, a cui rimandiamo.
Nel solco di quanto detto e proposto da Corvino, possiamo dire che il calendario Associativo per il 2009 sarà dedicato alla epopea di Monte Marrone e al Battaglione Piemonte. (redazionale)

sabato 13 dicembre 2008

Gli Autieri nell'Esercito Italiano

Gli Autieri sono gli eredi diretti, oggi, di chi, nei secoli passati fino a Napoleone si sono occupati di utilizzare, in vario modo quella grande invenzione che è la ruota e quindi dei trasporti. Con Napoleone, questo grande retaggio che discende dalle Legioni di Roma fini agli eserciti settecenteschi, ha un salto di qualità, passando dal singolo impiego del carriagio ad un complesso omogeneo, ovvero la istituzione del Treno di Artiglieria, voluto per rendere più mobile questa arma. Si formalizzava anche nel campo operativo una organizzazione già esistente negli eserciti europei e nell’Esercito Piemontese di Vittorio Amedeo II, in particolare: il Treno di Provianda ove Provianda discende dal termine tedesco proviand = vettovaglie, ovvero la colonna di rifornimenti che seguiva l’Armata.
Con l’introduzione del Treno, abbiamo nell’ordinamento il Corpo Treno; con la costruzione delle strade ferrate, nella seconda meta del 1800, il passo dalla ferrovia alla strada fu breve.
La mobilità sul campo di battaglia, non è più affidata solamente alle gambe degli uomini ed al traino animale, ma assume una combinazione ed evoluzione tecnologica che, di sfida in sfida, ancora oggi è in essere.
L’invenzione del motore a scoppio e la realizzazione dell’automobile, sul finire del 1800, non poteva rimanere estraneo allo strumento bellico. Preso atto del momento di transizione, uomo e mezzo meccanico, rappresentato dalla bicicletta, che potenzia l’elemento umano come propulsore ma non lo supera, con l’automobile si passò definitivamente al binomio uomo-motore.
Nel 1903 il Ministro della Guerra acquista, in via sperimentale, due Automobili, e le assegna alla Brigata Ferrovieri del Genio, costituendo un “Nucleo di Sottufficiali Macchinisti”, nucleo che, che dopo le eccellenti prove date nelle Manovre del 1905 viene trasformato il Sezione Automobilistica (100 uomini fra ufficiali e truppa).
Nel 1910 il Nucleo da vita al Battaglione Automobilisti del Genio, ordinato su due compagnie, una di stanza a Roma e una di stanza a Torino, alle dirette dipendenze del Comando Supremo.
Sempre nel 1910 vi fu il primo grande acquisto di automobili, per un totale di 450 esemplari. Ormai si era usciti dalla fase di sperimentazione e si era passati alla fase di impiego.
Nella guerra Italo Turca il Battaglione Automobilistico costituì inizialmente il Parco automobilisti di Tripoli, poi quello di Derna e di Bengasi.
Negli anni 1912-1913 si ha un crescente sviluppo della componente automobilistica, più frenata da esigenze di bilancio che da reali situazioni di impiego.
L’Italia entra nella 1° guerra mondiale con una disponibilità complessiva di 400 autovetture, 3400 autocarri, ambulanze ed autobus, 150 trattrici, 1500 motocicli. Una disponibilità accettabile ma che, visto l’evolversi della guerra, diviene subito insufficiente, subendo un processo di obsolescenza sempre più rapido. Oltre alla componente materiale, la stessa sorte tocca alla dottrina ed alle relative istruzioni di impiego. Sul piano strettamente operativo di impiego, passati i primi mesi di guerra, tutti si rendevano conto dell’utilità del Servizio Automobilistico, fugando ogni ulteriore dubbio e sciogliendo le ultime riserve.
I problemi dettati dalle esigenze di guerra sono pressanti: il Comando Supremo, per fronteggiarle, crea la Sezione Automobilistica “ presso l’Intendenza Generale e gli Uffici Servizi presso i Corpi di armata” . Saranno questi i primi organi tecnici automobilistici dell’Esercito Italiano.
Nel luglio del 1916 venivano costituiti i primi “Autogruppi”, ognuno in grado di trasportare un Battaglione di Fanteria. E’ del 16 luglio 1915 il primo Caduto del servizio Automobilistico: per superare il ponte di Pietris, sull’Isonzo, distrutto, si passò a guado, sotto l’osservazione di osservatori nemici posti su palloni frenati. Al ritorno la colonna, che aveva assolto il compito di rifornire le prime linee ripassò accanto al ponte di Pietris e fu fatta segno ad un nutrito fuoco di artiglieria, che colpì a morte l’autiere Emilio Vanetto da Padova.
E veniamo alla battaglia degli Altipiani, o come definita dal nemico, la Spedizione Punitiva. Questa grande offensiva nemica stava per consegnare il suo obiettivo, ovvero giungere in pianura attraverso l’altipiano di Asiago, alle spalle della fronte Giulia. La reazione del Comando Supremo, per sventare questo pericolo, fu pronta: utilizzando l’autoparco di riserva, in 4 giorni, utilizzando 974 autocarr,i furono trasportati 15432 uomini del XIV e del X Corpo d’Armata e relativi equipaggiamenti dal fronte isontino e carnico agli Altipiani, superando distanze di 200-250 Km e con punte di 350 Km. I conduttori si trovavano nella condizione di rimanere al volante dei loro autocarri per oltre 48 ore consecutive, facendo la spola fra la Carnia e gli Altipiani.
L’offensiva nemica fu fermata e questa rimane una delle più belle pagine degli Autieri.
Il Corpo Automobilistico, con il procedere della guerra, cresce di anno in anno con il dilatarsi degli incarichi e dei compiti. Sul finire del 1916 comprendeva già 800 Ufficiali e 20.000 tra Sottufficiali e truppa; nel 1917 1500 ufficiali e 60.000 autieri, con un parco automezzi di 1450 autovetture, 15.700 autocarri, 850 trattrici, 5000 motocicli.
Caporetto non fu disastroso, come si potrebbe immaginare, per il Corpo, rispetto agli altri Corpi logistici: andarono perduti, sui 15700 autocarri in dotazione “solo 3000 autorcarri” ed un terzo delle trattrici; questo salvataggio dei mezzi fu uno dei fattori della ripresa e di resistenza, anche per il fatto che gli organi di sostegno del Servizio Automobilistico erano tutti, prima dell’offensiva, posti al di qua del Piave.
Nel 1918 il Corpo fu potenziato ancora: nonostante le perdite, si hanno 20000 autovetture, 21500 autocarri, 900 trattrici e 5400 motocicli. Il Corpo comprendeva 2500 Ufficiali e 100.000 uomini di truppa.
La battaglia del Solstizio nel giugno del 1918, durante la quale gli austro-ungarici furono definitivamente respinti e quella di Vittorio Veneto ebbero esito favorevole anche per l’impegno degli autieri, e fu la vittoria.
E a questa vittoria contribuirono anche i reparti automobilistici impegnati in Albania e Montenegro, che operarono in quelle zone impervie ponendo le premesse della presenza italiana nell’altra sponda dell’Adriatico e delle gesta del secondo conflitto Mondiale
La prima guerra mondiale,quindi, fu la consacrazione dell’automobile, come la II Guerra Mondiale fu per il mezzo aereo e la figura dell’autiere entro nel retaggio della tradizione militare italiana.
Il Corpo ne uscì potenziato e moltiplicato, sia uomini che mezzi, con un retaggio di valore, onore e sacrificio oltre che di dedizione di tutto rispetto.


Il dopoguerra, negli anni venti, fu complesso, pieno di contraddizioni, conflitti e tensioni. Si doveva passare da una economia di guerra a una economia che permettesse alla Nazione di godere dei frutti di tanti sacrifici. Le soluzioni adottate non furono all’altezza delle aspettative e molte illusioni caddero. L’Esercito subì questa situazione e gli “ordinamenti” si seguirono uno dietro l’altro, ove le innovazioni, spesso, furono più deleterie di quanto esisteva. Fino al 1925 vi furono cambiamenti repentini, non assorbiti dalla forza armata, ma assimilati non senza contrasti e conflitti.
Poi tutto si stabilizzò e dal 1925 per gli anni seguenti si andò verso una più attenta attività ordinativa.
Nel 1926 si ha l’istituzione del “Servizio Amministrativo Militare”; nel 1930 la costituzione del Ispettorato del Servizio Automobilistico.
Le Regie Patenti datate 13 luglio 1933 assegnarono il motto al Corpo, attribuito a Gabriele D’Annunzio, “FERVET ROTAE – FERVET ANIMI”
Il 27 dicembre 1935, con il Decreto legge n. 2171, vi è la costituzione del Corpo Automobilistico, con ruolo autonomo, a cui poi nel marzo del 1936, seguì l’assegnazione del fregio e delle mostrine.
Con questo ordinamento si affrontò il ciclo delle guerre di rafforzamento della posizione di grande Potenza dell’Italia: Spagna, Etiopia, Albania, nonché il mantenimento e l’occupazione e il controllo dei territori coloniali in Libia e in Somalia. Il corpo fu sempre presente, assicurando il Servizio pur nella sempre precarietà della situazione contingente.
La seconda Guerra Mondiale fu affrontata con lo spirito di sempre : devozione e presenza. La campagna delle Alpi occidentali fu per gli autieri breve, ma dura. I risultati, per il corto periodo della campagna, dal 17 giugno al 24 data dell’armistizio con la Francia (dal 10 al 17 giugno Mussolini aveva ordinato di rimanere sulla difensiva) non furono eclatanti. Le fotografie e l’iconografia dell’epoca, peraltro, riportano lunghe fila di automezzi incolonnati per impervie strade di montagna, con un tempo invernale ancorché si operasse nel mese di giugno, segno delle condizioni difficili in cui gli Autieri erano chiamati ad operare.

In Africa Orientale la dichiarazione di guerra aggiunge una preoccupazione in più. E’ noto che la conquista di Addis Abeba, il 5 maggio 1936, non significò la fine della guerra a Negus. Finita la guerra, in Etiopia, per gli italiani iniziò una guerriglia che dal 1936 al 1941 procurò oltre 7000 morti e migliaia di feriti, contro i 700 della guerra stessa. Una situazione simile si sta svolgendo sotto i nostri occhi in questi giorni ed anche oggi, come allora, gli autieri sono i più esposti alla guerriglia, ai colpi di mano, alle imboscate.
La mancanza di controllo del territorio costò la vita a tantissimi autieri costretti a percorre strade insicure e adatte ad ogni tipo di imboscata. L’Impero, e l’A.O.I, è indifendibile per mancanza di collegamento con la madre patria. L’epilogo, eroico si ha nel maggio del 1941 con la resa del Duca di Aosta sull’Amba Alagi.

In Libia, nel settembre del 1940 si lancia la offensiva contro Sidi El Barrani. E’ l’inizio delle offensive e delle controffensive in Africa Settentrionale, in cui rifulse tutto il valore degli autieri. Nel deserto la vera forza operativa erano le ruote per arrivare al combattimento e poi il cingolo per risolverlo a proprio favore. E gli autieri furono sempre i protagonisti, riuscendo a trarre il massimo profitto dai mezzi in dotazione, mezzi che, seppure scarsi, in mano di uomini decisi spesso suscitarono l’ammirazione dello stesso nemico.
La battaglia di El Alamein segnò l’inizio dell’ultima ritirata, conclusasi in Tunisia ove nel maggio, con la rese delle truppe al comando del gen. Messe terminò la nostra avventura africana. Una avventura che vide gli autieri sempre protagonisti. Sintesi di questa partecipazione una fotografia conservata all’Ufficio Storico dello SME: si vede una colonna di autocarri, carichi di preziosi rifornimenti. La didascalia recita: “autocolonna che è partita e non è mai più ritornata”. Questa foto con la didascalia è stata recentemente pubblicata a corredo della storia degli Autieri in Africa. Vi si aggiunge alla didascalia: “A quale episodio si riferisce? Di quante altre autocolonne si può dare della stessa definizione? “ Ecco la sintesi in queste didascalie del sacrificio, della dedizione degli Autieri in Africa.
Altro fronte che non si può dimenticare, la Russia. Non solo per la tragica ritirata, ma per tutto quello che si è svolto prima dal luglio 1941 al novembre 1943. Sono le immense distese della pianura russa che videro l’impegno degli Autieri, che sono costretti all’utilizzo di materiale vario, spesso di requisizione, speditivi: nonostante tutto il compito fu assolto. Poi l’offensiva invernale nemica travolse tutto e tutti e rimase solo il ricordo e le polemiche di quella tragedia, polemiche incentrate sul fatto che in quelle immense distese non si poteva andare con i normali criteri, ma con una componente motorizzata di altissimo spessore. Omaggio indiretto agli Autieri ed alla loro funzione.
Con la guerra portata sul suolo metropolitano, la campagna in Sicilia, la caduta del governo Mussolini, l’armistizio in quella tragica e rovente estate del 1943, arriva anche per gli Autieri il momento delle scelte: che cosa fare all’indomani dell’armistizio: è l’inizio della guerra di liberazione.
Guerra, quella di liberazione, in cui gli italiani, tutti, lottarono per un futuro migliore, che si può articolare in cinque fronti: quello del sud, con il pronto riscatto di Montelungo poi il C.I.L. ed i Gruppi di Combattimento, quello del nord con il fronte delle formazioni partigiane, quello dell’internamento in Germania, ovvero la resistenza del reticolato con oltre 600.000 militari italiani internati, quello delle unità italiane all’estero, in Albania, in Grecia, in Jugoslavia in cui i soldati italiani si unirono alla formazioni locali di resistenza, e per tutti basta ricordare Cefalonia, ed infine quello, sempre dimenticato, della prigionia di guerra in cui i nostri soldati, divenuti cooperatori, contribuirono allo sforzo bellico contro la coalizione hitleriana.
Tutti fronti che sono componenti della guerra di liberazione e che rappresentano la matrice della nostra repubblica, in cui furono sempre presenti, in posizione di rilievo, gli Autieri.

Un episodio fra gli innumerevoli che si possano citare. Albania 1943. All’indomani dell’Armistizio , il 104° Autoreparto di stanza a Durazzo dovette decidere: o eseguire gli ordini di portarsi a Bitolj per successiva destinazione ovvero l’internamento in Germania, oppure prendere una decisione difficile: salire in montagna ed unirsi ai partigiani e iniziare a combattere i tedeschi, con tutto quello che significava. Il comandante del 104° Autoreparto, ten. Col. Mosconi decise di salire in montagna ed unirsi al Comando Italiano Truppe alla Montagna, al comando del gen. Azzi, ove erano già il ten. col. Zignani, il col. Raucci ed altri ufficiali.
Un episodio che raccontato oggi può anche sembrare banale, ma che dimostra che al momento delle scelte gli Autieri seppero trovare quella strada, la più difficile, che portò, dopo sacrifici, rinunce e lotte alla libertà, di cui noi oggi, loro eredi, ne godiamo ampiamente.

Il dopoguerra è sotto i nostri occhi: l’impegno nelle calamità naturali: l’Alluvione del Polesine, il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze del 1966, in cui la Caserma Perrotti divenne il centro di tutte le attività per il soccorso agli alluvionati, il terremoto del Friuli del 1976, il Terremoto dell’Irpinia, la diga di Tesero, la Valtellina. Tutte calamità naturali che videro gli autieri presenti.
Come presenti sono nelle missioni di pace: Libano, Somalia, Mozambico, Bosnia, Albania, Kosovo, ed ora Irak ed Asfganistan. Ormai la spina dorsale, non solo logistica, di queste missioni è data dagli autieri, che la recente trasformazione ordinativa ha elevato a rango di Arma combattente.
Gli ordinamenti, dal treno di provianda all’autocolonna, al reggimento trasporti e di manovra cambiano, ma lo spirito dell’Autiere resta, come fattore determinate del raggiungimento del successo.

martedì 9 dicembre 2008

GUERRA E PACE NEL XXI SECOLO

Antonio Pelliccia

Ancora una volta è soffiato impetuoso il vento di guerra che ha indotto filosofi, scienziati, psicologi e teologi a interrogarsi nuovamente sull’origine di questo fenomeno sociale che B. Croce definì una febbre che periodicamente scorre nelle vene degli uomini, inducendoli a lottare per sopraffarsi l’un l’altro e per uccidersi.[1]
Tra i maggiori, James Hillman sostiene che la guerra è una sfida per la psicologia, forse la prima delle sfide a cui la psicologia deve rispondere. Nel suo libro si era posto lo scopo di “scoprire i miti, la filosofia e la teologia della psiche profonda della guerra”..[2]Ma la sua sconsolante conclusione è stata che “la guerra appartiene alla nostra anima come verità archetipica del cosmo. E’ un’opera umana e un orrore inumano e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere. Possiamo aprire gli occhi su questa terribile verità e, prendendone coscienza, dedicare tutta la nostra appassionata intensità a minare la messa in moto della guerra…” [3]
Venticinque anni fa anch’io mi dedicai allo studio dell’essenza della guerra, perché ero convinto che esso fosse fondamentale e necessario per la ricerca dei nuovi orientamenti dottrinali[4]che volevo
intraprendere. Un’indagine provocata principalmente dall’osservazione che la lotta nell’aria, dal punto di vista teorico, aveva incontrato formidabili ostacoli al suo sviluppo: non ultimo l’incapacità della dottrina di guerra aerea di adeguarsi con la stessa rapidità alla vertiginosa evoluzione dell’aviazione militare.
Nell’accingermi a questo interessante e difficile lavoro, non trascurai le molte cause, individuate da Gaston Bouthoul,[5]che s’oppongono all’inda
gine scientifica del fenomeno bellico. Ne cito le due più importanti: la pseudo evidenza della guerra, dovuta al fatto che tutti presumiamo di conoscerla e l’illusionismo giuridico, vale a dire l’illusione che Diritto Internazionale, Trattati e Convenzioni possano evitarla.
Le principali teorie che esaminai non m’illuminarono molto sulla sua essenza anzi, la contraddittorietà e l’esasperazione della tecnica impiegata dagli “strateghi scientifici” nei loro ragionamenti, scrissi, mi sembrarono dispute tra professori di logica. Convinti d’aver sostituito gli strateghi militari e di possedere conoscenze e rigore
intellettuale che questi non avrebbero, gli analisti civili avevano
finito, infatti, per combattersi a vicenda per la supremazia della logica classica o di quella matematica.
La mia indagine mi fece concludere che la risposta alla domanda sulla natura del fenomeno bellico andasse ricercata nella moderna interpretazione del pensiero filosofico di Clausewitz. Tale, infatti, lo considerò Benedetto Croce il quale scrisse che “Solo la unilaterale e povera cultura degli ordinari studiosi di filosofia, il loro inintelligente specialismo, per così dire, del costume loro li tengono indifferenti e lontani da libri come questo del Clausewitz, che essi stimano di argomento a loro estraneo e inferiore, laddove in effetto contengono indagini che entrano, e in modo assai concreto, nel vivo di taluni problemi filosofici…”[6]In particolare, dopo un approfondito studio della sua filosofia della guerra, e in seguito a lunga meditazione sulle ragioni che l’avevano indotto a enunciare la nota concezione dualistica del fenomeno, mi convinsi che la risposta era proprio nella risoluzione di quel dualismo: guerra assoluta e guerra reale. Cosa che feci ispirato dalle seguenti parole dello stesso Clausewitz: “Se la guerra fosse una manifestazione completa, indisturbata, assoluta di forza,quale dovremmo dedurla dalla pura astrazione allora, dall’istante in cui la politica le ha dato vita, si sostituirebbe a essa come qualcosa di assolutamente indipendente, l’eliminerebbe, seguendo soltanto le proprie intrinseche leggi, come l’esplosione d’una mina non più suscettibile d’essere guidata dopo che è stato appiccato il fuoco alla miccia”.[7]Queste parole, la differenza che Croce fa tra “violenza” e “forza”(l’una “distruggitrice” e l’altra “costruttrice”) e altre considerazioni mi fecero pervenire alla conclusione che la guerra assoluta è un fenomeno prettamente teorico che, con l’attuale elevato grado di civiltà dei popoli, difficilmente accadrà (con la riserva posta dallo stesso Clausewitz della sempre possibile ascesa agli estremi indipendentemente dalla volontà umana). Posso perciò sostenere che è possibile prendere in considerazione la dissociazione della violenza dal fatto empirico della guerra e considerarla unica logica che consenta l’applicazione della razionalità clausewitziana e che contenga gli elementi etici che permettono il controllo di un eventuale conflitto armato. Quello, soprattutto, che il danno al nemico deve trovare il limite logico e morale “nell’esclusione di quel danno che colpisce ciò che è sacro del pari per il nostro nemico e per noi, ciò che, perdendosi, diminuisce lui e noi, e anzi noi più di lui, quando della perdita siamo stati gli autori e su noi ne prendiamo l’odio e l’onta”.[8] Al riguardo Luigi Russo sostiene, similmente, che la lotta deve svolgersi entro i limiti del contenuto etico di cui un popolo è capace e di cui una nazione s’investe, per la sua educazione, civiltà e potenza. Se si varcano quei limiti si viola anche il momento dell’utilità politica della lotta. Non solo, ma accade che “i trionfi valgono sconfitte quando il loro frutto consiste in lamenti e nello sconfinato odio del mondo”.[9] Questi concetti sono validi soprattutto oggi che il progresso delle armi e dei mezzi bellici, nonostante la loro maggiore letalità, consente di tornare alla guerra tra forze armate e non tra nazioni senza limiti alla violenza, com’era stato teorizzato da Giulio Douhet e da Erich Ludendorff[10]e com’è avvenuto nella seconda guerra mondiale e, prima ancora, in quella d’Etiopia e di Spagna.




Russo considera la guerra un fenomeno intrinseco alla realtà umana, una categoria metafisica per cui tutta la vita è lotta, come lotta perenne con se stesso è la vita dell’individuo. Fuori della lotta, secondo lui, non c’è che l’eraclitea putredine, la dissoluzione, la morte. La rinunzia pseudo-cristiana a lottare, nella vita individuale, si risolve nell’inerzia e nella morte morale dell’individuo che è peggiore di quella fisica. Per le nazioni si risolve nel suicidio spirituale che può portarle a diventare pura espressione geografica. [11] Alla concezione crociana si aggiunge quella di Sigmund Freud: “la guerra è dovuta alle inesorabili tendenze distruttive che ciascuno di noi si porta dietro dalla nascita…alle pulsioni di morte,[12].” Il famoso psicoanalista espose questa tesi anche in una lettera in risposta a quella che Albert Einstein gli aveva inviato nel 1931 e nella quale gli aveva chiesto se ci fosse un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra. Nello stesso tempo lo scienziato, di fronte“all’amara costatazione dell’inestirpabilità dei loro istinti aggressivi”, aveva suggerito una soluzione organizzativa di tipo coercitivo come, per esempio, l’istituzione di un organismo politico soprannazionale delegato a risolvere i conflitti tra gli Stati.[13] Freud riconobbe che questa soluzione potesse essere capace di prevenire le guerre a patto, però, che quell’organismo, a differenza della Società delle Nazioni, fosse dotato di una propria e adeguata forza militare capace d’imporre le proprie decisioni. Del pari convenne con Einstein che non “c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini”[14]e concluse con una nota ottimistica, con la speranza “utopistica” che un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti catastrofici di un altro conflitto armato avrebbero posto fine alle guerre nel futuro. Le guerre degli anni Trenta-Quaranta dimostrarono che quella speranza era stata effettivamente utopistica.
Su queste teorie s’innesta il pacifismo che, secondo Russo, nel XIX Secolo si è gonfiato ambiziosamente a religione, a nuova filosofia dei popoli e si è acuito in seguito alle guerre. E’ una pretesa che, aggiunge, oltre a far diventare il pacifismo falso e assurdo, lo deforma quando pretende di eliminare la categoria metafisica della guerra.[15]E’ velleitario quando si appella alla natura pacifica dell’uomo che, come abbiamo visto prima, pacifico non è; è falso quando è mosso da fini politici.
Un noto giornalista, recentemente, ha scritto che “la pace è il difficile equilibrio fra divergenti e antagonistiche idee di convivenza e di sicurezza”,[16]presenti nelle relazioni internazionali. La guerra, perciò, sarebbe provocata dalla rottura di quell’equilibrio e sarebbe un modo unilaterale e violento di realizzarne un altro. Secondo lui la diplomazia dovrebbe essere lo strumento di pacifica composizione delle controversie internazionali.
Per “fortuna” lo sviluppo delle armi e la paura per gli effetti calamitosi di una guerra nucleare hanno reso ancor più irrazionale il ricorso alla forza e hanno provocato il ripudio della guerra sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, sottoscritto da quasi tutte le nazioni. Proposito che, purtroppo, non è stato rispettato in molte occasioni in varie parti del mondo, convalidando così le tesi pessimistiche di Freud e di Croce. Oggi s’odono gli stessi discorsi e i medesimi appelli per la pace del passato. Giovanni Paolo II ricordò che la Carta dell’ONU ripudia la guerra come strumento della politica e tuttavia Egli l’ammise “come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni…”[17]
Secondo Primavera Fisogni [18]quello dell’appello al dialogo è uno strano fenomeno: “Più si esorta al confronto, più ci si rende conto della difficoltà di tradurre quell’enunciato denso di aspettative e promesse in un evento che possa davvero favorire il confronto sociale, da un lato, e contenere i conflitti dall’altro, ponendosi come atto politico autenticamente efficace.”[19]
In vista della estrema possibilità ammessa dal Papa, le forze armate delle nazioni occidentali stanno adeguando le loro dottrine ai nuovi scenari di guerra e ai nuovi, sempre più sofisticati e potenti sistemi d’arma. La meccanizzazione, l’automazione e lo sviluppo dei mezzi aerei e spaziali hanno, tra l’altro, impresso alla guerra un dinamismo e una continuità operativa impensabile fino a qualche anno fa. Non vi sono più le pause forzate dovute all’oscurità, alle condizioni atmosferiche, all’esaurimento delle scorte di materiali essenziali che hanno caratterizzato i conflitti militari del passato. Il radar, i sistemi di visione notturna, i satelliti, gli elaboratori elettronici e il trasporto aereo le hanno eliminate e hanno inaugurato una vera e propria guerra tecnologica. Nello stesso tempo
consentiranno di colpire con estrema precisione obiettivi militari e di porre così limiti alla violenza. Le abbiamo ricordate queste novità appunto perché hanno fatto cadere anche le ragioni tecniche con le quali nel passato si giustificava l’impossibilità di distinguere i combattenti dai non combattenti.
Centocinquanta anni fa, l’ho ricordato più volte nel passato,[20]Giuseppe Collina preconizzò che l’Aeronautica sarebbe stata lo strumento idoneo per una nuova organizzazione sociale che avrebbe prodotto un’epoca di pace, di libertà, di dignità e di grandezza universale per tutta l’umanità. Secondo lui essa porterà alla riduzione degli eserciti e delle flotte, perché sarà una forza che dall’alto dominerà tutte le altre e sarà l’espressione della potenza militare di una nazione e il fattore principale di dissuasione degli Stati con mire aggressive. Nello stesso tempo sarà la dimostrazione della volontà di pace di una nazione e dei suoi propositi di difesa, perché uno Stato che non ha mire aggressive evita di munirsi di poderosi eserciti che sono gli unici idonei alla conquista territoriale. Infine l’Aeronautica “esterminerà dal mondo quel portento infernale chiamato guerra”.[21] Collina previde il gigantesco processo di sviluppo dell’uomo di pari passo o a causa di quello della scienza e della tecnologia e predisse che esso avrebbe determinato la realizzazione del vecchio sogno dell’Europa Unita e dell’unione poi di tutti i popoli sotto un unico governo che, solo, garantirebbe la pace.
La prima previsione si è avverata, anche se non ancora compiutamente; la seconda temiamo sia un’altra speranza utopistica.
[1] B. Croce, Ultimi Saggi, Laterza 1963
[2] J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi 2004
[3] Ibidem
[4] A.Pelliccia, Il Dominio dello Spazio, Ateneo & Bizzarri, Roma 1979
[5] G. Bouthoul, Le Guerre, Longanesi 1961
[6] B. Croce, Op. Cit.
[7] C. Clausewitz von, Della Guerra, Oscar Mondadori, 1978
[8] B. Croce, La Storia come pensiero e come azione, Laterza 1934, pag. 242
[9] L. Russo, Vita e disciplina militare, Le Monnier, Firenze 1934, pag.11
[10] G. Douhet, Il Dominio dell’Aria, SGA, Firenze 1935, E. Ludendorff, La Guerra Totale, Monaco 1936
[11] Idem, pag. 12
[12] S. Freud, Perché la Guerra? Bollati Boringheri, Torino 2001
[13] Idem, pag. 13
[14] Idem, pag.76
[15] L. Russo, op. Cit. pag. 12
[16] P. Ostellino, “Le vie della pace(senza pacifisti)”, Corriere della Sera 15/2/03
[17] Discorso al Corpo Diplomatico del 13/01/03
[18] P.Fisogni, Incontro al dialogo, Franco Angeli, 2006
[19] Ibidem. L’autrice fa rifeimento al progetto dell’ONU “Dialogue among civilisation” promosso dal Segretario Generale Kofi Annan
[20] A. Pelliccia, “Un patriota milanese precursore del potere aereo”, Rivista Aeronautica N° 10/ 1973
[21] G. Collina, La Laostenia, Firenze 1858

sabato 6 dicembre 2008

65° Anniversario a Montelungo

Convegno di Studi in occasione della data anniversaria della battaglia di Montelungo 8 dicembre 1943. Tema: Da Montelungo a Monte Marrone: la rinascita
Domenica 7 Dicembre 2008 ore 9,30, Palazzo Municipale di Mignano Montelungo

Dopo il Saluto di benvenuto del Sig. Sindaco di Mignano Montelungo, che verrà tenuto nella sala Principale del Municipio di Montelungo. si solgeranno le seguenti relazioni

Il Dr. Alberto Marenga presenta il Calendario Associativo 2009: Il Battaglione Piemonte. E’ tradizione della Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione presentare il calendario associativo a Montelungo. E’ una tradizione che è stata iniziata l’8 dicembre 2000. Quest’anno il Calendario è dedicato agli Alpini del battaglione Piemonte ed alla sua impresa su Monte Marrone, che significò la definitiva conquista della fiducia degli Alleati per i soldati Italiani dopo le sfortunate giornate di Montelungo ed i problemi ordinativi e disciplinari che seguirono

L'Ing. Giorgio Prinzi: Montelungo: I siti e i blog: la battaglia in rete. La relazione indicherà la possibilità di avere delle indicazioni per conoscere come la Battaglia di Montelungo è riporta in rete.

L’Amm. Giuliano Manzari svolgerà una relazione su “ La partecipazione della Marina e dell’Aeronautica alla rinascita”. Nei tempi difficile che erano gli ultimi mesi del 1943 per l’Italia e le sue Forze Armate, elementi della marina e dell’arenautica divennero semplici fanti ed alcuni di loro li troviamo a combatte sulle falde di Montelungo

Il Gen. Dr. Gianfranco Gasperini:con la sua relazione ricostruisce gli avvenimenti tecnico tattico del I Raggruppamento Motorizzato e poi il Corpo Italiano di Liberazione svolsero “ Da Montelungo a Monte Marrone”. E’ il filo rosso che conduce a comprendere come si ebbe la rinascita delle nostre Forze Armate, fra luci ed ombre che oggi, nel momento del ricordo, occorre comprendere nella effettiva realtà

Il Gen. Dr. Massimo Coltrinari parlerà della La Battaglia di Montelungo dal punto di vista degli Alleati. Un angolo di vista estremamente importante, in cui l’atteggiamento inglese era fortemente influenzato dallo spirito di punizione che l’armistizio dell’8 settembre aveva ulteriormente accentuato. Gli inglesi speravano in un rovesciamento delle alleanze tale che il fronte italiano potesse giungere sulle Alpi o almeno sugli Appennini. Come si svolsero le cose nella crisi armistiziali fu una delusione che accentuò il loro rancore. Significative al riguardo le testimonianze dell’allora cap. Cicogna Mozzoni . Atteggiamento mitigato da quello americano, che nonostante tutto volevano darci una mano ad uscire dalla situazione così negativa in cui eravamo andati a cacciarci frutto di una guerra di 39 mesi in cui collezionammo solo sconfitti e disprezzo di alleati e nemici e che proprio a Montelungo inviamo a riscattare
Le conclusioni saranno tratte dal Sindaco di Montelungo
Palazzo Municipale di Mignano Montelungo, Ore 9,30 Domenica 7 Dicembre 2008

mercoledì 3 dicembre 2008

La Grande Guerra a Siena

Segnalo agli interessati il seguente incontro di studi:
Lontano dal fronte. Memorie e studi della Grande Guerra, oggi
(Siena 4-5 dicembre 2008)
Complesso Museale Santa Maria della Scalaorganizzato da Soprintendenza per il patrimonio storico-artistico ed etnoantropologico - Siena
/ Comune di Siena - Archivio storico / Università degli studi di Siena - Facoltà di Lettere e Filosofia - Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militarigrazie anche al Comitato speciale per la tutela del patrimonio storico della Prima Guerra Mondiale della Direzione generale per i beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologiciNicola Labanca(presidente del Centro) (Nicola La Banca