Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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mercoledì 20 marzo 2024

Giovanni Riccardo Baldelli. La Difesa del territorio nazionale e della Sicilia. 1943 I parte

 

Con la resa dell’Armata italo-tedesca in Nord Africa e la perdita del territorio libico appariva oramai evidente che la prossima mossa alleata sarebbe stata l’invasione del territorio italiano.

Al momento della fine delle operazioni in Tunisia il Regio Esercito può ancora contare su una consistente massa di personale circa 3 milioni di uomini e almeno 140.000 Ufficiali. Le Divisioni in organico sono un’ottantina di cui trentatré schierate nei Balcani e nove in Francia. Oltre alle Divisioni Costiere che verranno trattate successivamente, vi sono in quel momento anche nove Divisioni in riorganizzazione reduci dal fronte russo.[1]

La nomina del Generale Vittorio Ambrosio alla carica di CASMGE, avvenuta il 1° febbraio 1943, rappresentava una naturale evoluzione dell’incarico affidatogli, visto che lo stesso Ufficiale già dal gennaio 1942 deteneva la carica di CASMRE. Il nuovo CASMGE doveva affrontare una nuova problematica di carattere strategico, visto che non vi era più la necessità di alimentare teatri operativi lontani dalla Madrepatria (Africa Settentrionale e Orientale, Balcani e Russia), ma si sarebbero dovuti affrontare, prima o poi, gli alleati nel bacino del Mediterraneo. Ambrosio, infatti, riteneva impossibile uno sbarco alleato nei Balcani, poco probabile nelle isole joniche, a Rodi e Creta, ma più che fattibile in Sicilia e in Sardegna.[2]

Pertanto, nell’ottica di contrastare la possibile minaccia, Ambrosio emanò tra marzo e luglio del 1943 le direttive che anche Rochat definisce appropriate:

[…]…unità di comando interforze, razionalizzazione del traffico, potenziamento dei collegamenti, accumulo di rifornimenti, sfollamento delle città, coordinamento fra fuoco antiaereo e azione della caccia, approntamento di una forte difesa costiera, riserve autocarrate per contrattacchi immediati. […][3]

In una situazione oramai compromessa l’azione di Ambrosio verteva più che altro nel dare ordini al Regio Esercito e fornire delle direttive alle altre forze armate che si ritenevano, in virtù della loro specificità, indipendenti e scevre da condizionamenti. Altro fattore da considerare è che Ambrosio non aveva nessun peso relativo sulla produzione bellica, in quanto, oltre a chiedere la priorità di acquisizione per gli aerei, il naviglio leggero, l’artiglieria contraerei, l’artiglieria controcarri, i mezzi blindati e corazzati, non aveva alcuna specifica autorità per effettuare un intervento diretto sulle commesse. Unico risultato conseguito dal CASMGE pro-tempore fu quello di aver costituito il 10 giugno 1943, anche se purtroppo in ritardo dopo tre anni dall’inizio delle ostilità, il Comitato per l’esplorazione strategica, che finalmente poteva coordinare l’impiego congiunto delle forze italiane e tedesche.[4]

Benché avesse subito perdite enormi in termini di vite umane e materiali, il Regio Esercito rimaneva nel 1943 uno degli eserciti con maggiore consistenza numerica al mondo, visto che la forza alle armi superava, come già sottolineato in precedenza, 3 milioni di uomini. Addirittura, si stimava che la forza potesse raggiungere anche i 4 milioni di effettivi. Al personale si aggiungevano circa 292.600 quadrupedi ed almeno, secondo l’ultimo censimento effettuato ad aprile del 1943, 130.000 veicoli nelle varie tipologie (blindati, corazzati, automezzi, motocicli e rimorchi).

Quantità di tutto rispetto, specialmente per quanto atteneva alle armi contraerei, se si pensa che sempre ad aprile del 1943 secondo l’Ispettorato dell’Arma di fanteria erano in linea:

-      340.000 pistole;

-      3.150.000 fucili;

-      14.000 MAB (Moschetti Automatici Beretta);

-      480 fuciloni anticarro;

-      46.000 fucili mitragliatori;

-      39.000 mitragliatrici;

-      9.700 mortai da 45;

-      5.600 mortai da 81;

-      2.400 cannoni controcarri da 47/32.

Se si pensa poi che l’esercito tedesco dopo l’8 settembre del 1943 riuscirà a depredare dalle unità italiane (ad eccezione dei reparti schierati in Sardegna, Corsica e in buona parte dell’Italia Meridionale) il seguente materiale:

-      2.800.000 bombe a mano;

-      1.200.000 fucili;

-      14.000 mitra;

-      480 fuciloni anticarro;

-      circa 40.000 mitragliatrici;

-      1.100 cannoni controcarri;

-      1.100 cannoni contraerei;

-      8.700 mortai;

-      più di 900 mezzi blindati e corazzati;

-      5.500 pezzi di artiglieria da campagna e da posizione;

-      1.700.000 granate di artiglieria;

-      900.000 tonnellate di munizionamento per armi leggere,

non vi è dubbio che il Regio Esercito costituisse ancora, nonostante le oggettive difficoltà economiche, morali e logistiche, una forza di tutto rispetto.[5]

Le unità del Regio Esercito, alla luce degli sconvolgimenti operativi derivanti dalle sconfitte subite nei vari scacchieri operativi, erano state sottoposte nel 1943, in alcuni casi ad un riassetto organico che aveva visto:

-      la ricostituzione del Gruppo Armate Est;

-      la costituzione del Comando Forze Armate della Sardegna, su due Corpi d’Armata;

-      la costituzione del Comando Forze Armate della Corsica, su un Corpo d’Armata;

-      la costituzione di tre Corpi d’Armata, di cui uno Motocorazzato;

-      la costituzione di una Divisione Corazzata e quattro Divisioni Costiere.[6]

Nell’estate del 1943 il Regio Esercito poteva quindi ancora contare su:

-      due Comandi Gruppo Armate:

·        l’Est per le truppe stanziate nei Balcani;

·        il Sud per le unità destinate alla difesa della Madrepatria;

-      sette Comandi di Armata:

·        la 2a in Jugoslavia

·        la 4a in Francia;

·        la 5a, la 7a e l’8a;

·        la 9a in Albania;

·        l’11a in Grecia;

-      tre Comandi delle Forze Armate della Sardegna, della Corsica e dell’Egeo;

-      ventisei Comandi Corpo d’Armata;

-      ottanta Divisioni di cui:

·        trentasei di fanteria;

·        tre autotrasportabili;

·        otto Divisioni di fanteria tipo A.S. 41;

·        una Divisione di fanteria tipo A.S. 42;

·        una motorizzata;

·        sei alpine;

·        due corazzate;

·        una Divisione paracadutisti;

·        tre Divisioni Celeri;

·        diciannove Divisioni Costiere.

A queste Grandi Unità, oltre agli enti e i comandi territoriali, si aggiungevano poi i reparti della Milizia e quelli delle forze di polizia.

Al 1° agosto del 1943 solamente cinque Divisioni risultavano ad organici completi e con circa il 90-100% del personale assegnato:

-      la Divisione Motorizzata “Piave” (10a);

-      la Divisione Motorizzata “Brennero” (11a);

-      la Divisione di fanteria “Piacenza” (103a);

-      la Divisione “Granatieri di Sardegna” (21a);

-      la Divisione di cavalleria corazzata “Ariete” II (135a).[7]

A queste unità in ottimo stato di efficienza e con dotazioni moderne (semoventi da 75/18, da 75/32 e 105/28; cannoni autoportati da 90/53 e obici da 149/19[8]), si aggiungevano quarantasei Divisioni con almeno l’80% del personale, il 50/70% dei quadrupedi e circa il 50% dei veicoli.

Tuttavia, a questa situazione, che potrebbe apparire di primo acchito quasi adeguata, si contrapponeva una errata distribuzione dei materiali d’armamento visto che:

-      diversi reparti minori ben equipaggiati erano sparsi a pioggia anche in scacchieri di secondaria importanza;

-      un terzo circa della disponibilità dei veicoli blindati e corazzati era assegnato a reparti non operativi (depositi, reparti complementi, unità addestrative), in quanto destinati ad essere impiegati in caso di turbamenti dell’ordine pubblico.[9]

Che il Regio Esercito fosse ancora orientato a un utilizzo quale forza di intervento per il mantenimento dell’ordine pubblico al posto dei corpi di polizia, è testimoniato da ciò che avvenne all’indomani della votazione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, con il quale Mussolini veniva rimosso dalla carica di capo del governo. In tale occasione, il Regio Esercito riprese il suo ruolo di garante dell’ordine interno, visto che polizia e carabinieri, da soli, non potevano garantire la tenuta del fronte interno. La forza armata seppe reggere bene alla prova in quanto fu in grado di preservare in efficienza la struttura degli enti territoriali e il mantenimento degli organi istituzionali ed amministrativi.

L’aver saputo neutralizzare le forze fasciste, riuscendo a mantenere una riserva centrale di grandi unità, in grado di tenere sotto controllo le grandi città ed assumersi le responsabilità dell’ordine pubblico dopo il 25 luglio restano, secondo Massobrio e Rochat, l’unica operazione condotta con efficienza e pieno successo in tutto il Secondo Conflitto Mondiale.[10]

Certamente, a nostro avviso, il giudizio sembra impietoso e non rende merito ad altre operazioni condotte con una certa efficienza dal Regio Esercito nel corso del conflitto, anche se, ad ogni modo, i 77 manifestanti uccisi tra il 27 e il 30 luglio del 1943, le migliaia di arresti e condanne dei tribunali militari, dimostrano la durezza dell’intervento.[11]

Nel frattempo, il territorio nazionale, con l’inizio dell’Operazione Husky, era stato già invaso dalle truppe anglo-americane, che il 9 luglio del 1943 erano sbarcate nel sud della Sicilia. Per contrastare le forze alleate, il Regio Esercito poteva fare affidamento solamente su quattro Divisioni di fanteria non di prima scelta, ad eccezione, forse, della “Livorno” che disponeva di automezzi per l’autotrasporto delle unità dipendenti, mentre le altre tre ne avevano a disposizione per un solo Battaglione (Ordine di Battaglia della 6a Armata a luglio 1943 al Documento 65). La difesa dell’isola era affidata a circa 260.000 uomini (175.000 italiani e 28.000 tedeschi) con 500 pezzi di artiglieria, 100 carri armati italiani (compresi i vetusti FIAT 3000) e 140 tedeschi. I numeri potrebbero trarre in inganno, in quanto si trattava, in molti casi, di pezzi antiquati a cui si sommava: una conclamata carenza di idonee armi controcarri, di una disponibilità adeguata di mine anticarro, di una valida organizzazione dei trasporti, di una logistica efficiente e una deficitaria situazione nel settore delle telecomunicazioni. A questo si aggiungevano inoltre altri fattori sociali e morali propri della comunità militare ed ambientali, quali:

-      la qualità:

·        dei comandanti di livello Brigata e superiore, non adeguatamente formati alle nuove metodologie di combattimento;

·        dei Capi di Stato Maggiore delle Grandi Unità;

·        dei quadri, che per la maggior parte provenivano dalla riserva o dagli Ufficiali di complemento, per lo più anziani, privi di esperienza in combattimento, senza un’adeguata preparazione professionale e privi di punti di riferimento (colleghi più esperti), dai quali poter attingere eventuali consigli o ammaestramenti;

·        della truppa:

·       per lo più costituita da classi anziane, mentre molti giovani avevano ottenuto l’esonero;

·       con una percentuale di circa il 70% di personale autoctono;

-      le condizioni delle aree in cui erano dislocati i reparti, soventemente presso zone malariche e a stretto contatto con la popolazione civile;

-      l’impossibilità di concedere turni di riposo al personale che si trovava a coprire turnazioni di servizio pesantissime, a causa della malaria che stava decimando i reparti;

-      l’impossibilità di svolgere un buon addestramento.

In sintesi, le Grandi Unità non erano in grado di adempiere al gravoso compito di difesa dell’isola, vista la scarsa capacità combattiva delle truppe e la scarsa coesione dei reparti.[12]

Era quindi impossibile, al di là delle considerazioni sull’ordinamento dei reparti presenti (Divisione binaria o non), poter condurre operazioni difensive con un certo grado di efficacia. Non sarebbero bastate strutture ordinative Divisionali basate su tre/quattro Reggimenti fanteria con moderni veicoli corazzati, blindati e automezzi per il trasporto delle truppe e dei servizi: mancava soprattutto la qualità delle truppe a disposizione; forse ormai troppo stanche e sfiduciate da un ventennio di promesse. Non bastava la presenza di pochi semoventi da 75/18 e da 90/53, alcune batterie dei nuovi obici da 149/19[13]a ribaltare l’esito delle operazioni, ancorché la “Livorno”, in alcuni frangenti, avesse messo in difficoltà le forze alleate combattendo con perizia e con onore.

La disponibilità delle poche artiglierie moderne a disposizione e di unità del livello compagnia di motociclisti e motomitraglieri, di Battaglioni semoventi da 47/32 e di reparti autotrasportati, portò alla costituzione di Gruppi Mobili che accrebbero le potenzialità di manovra dei Corpi d’Armata e delle Divisioni, ancorché privi di valide unità carri in grado di contrastare quelli in dotazione alle forze avversarie.

In particolare, questi Gruppi Mobili voluti dal Comandante del XVI Corpo d’Armata, il Generale Carlo Rossi, erano così strutturati:[14]

-      gruppo “A”, su:

·        comando Battaglione carri L;

·        una compagnia carri R/35;

·        una compagnia semoventi da 47/32;

·        una compagnia costiera mobile;

·        una batteria da 75/27 T.M.;

·        una sezione contraerei da 20/65 mod.35;

-      gruppo “B”, su:

·        comando Battaglione semoventi;

·        una compagnia carri R/35;

·        una compagnia semoventi da 47/32;

·        due compagnie costiere mobili;

·        una batteria da 75/27 T.M.;

·        un plotone motociclisti;

·        una sezione contraerei da 20/65 mod.35;

-      gruppo “C”, su:

·        comando Battaglione carri;

·        una compagnia carri R/35;

·        una compagnia cannoni controcarri da 47/32;

·        una compagnia costiera mobile;

-      gruppo “D”, su:

·        comando Battaglione carri;

·        una compagnia su 16 carri R/35;

·        una compagnia motomitraglieri con 18 fucili mitragliatori;

·        una compagnia cannoni controcarri da 47/32 da 6 pezzi;

·        una compagnia del 76° Reggimento fanteria “Napoli”;

·        una batteria da 75/18 mod. 35 T.M. del 54° Reggimento artiglieria “Napoli”;

·        una sezione contraerei da 20/65 mod. 35 del 54° Reggimento artiglieria “Napoli”;

-      gruppo “E”, su:

·        una compagnia carri R/35;

·        una compagnia cannoni controcarri da 47/32;

·        una compagnia costiera;

·        una compagnia motociclisti;

·        una batteria da 75/18 mod. 35 T.M. del 54° Reggimento artiglieria “Napoli”;

·        una sezione contraerei da 20/65 mod. 35 del 25° Reggimento artiglieriaAssietta”;

-      gruppo “F”, su:

·        una compagnia carri R/35;

·        una compagnia cannoni controcarri da 47/32;

·        una compagnia costiera;

·        una compagnia mitraglieri;

·        una batteria da 75/27 T.M.;

-      gruppo “S”, su:

·        Comando Battaglione CC.NN.;

·        una compagnia cannoni controcarri da 47/32;

·        un plotone carri R/35;

·        una batteria da 75/18 mod. 35 T.M. del 25° Reggimento artiglieriaAssietta”;

-      gruppo “H”, su:

·        una compagnia cannoni controcarri da 47/32;

·        una compagnia carri FIAT 3000;

·        un plotone mortai della Divisione “Napoli”;

·        una batteria da 75/18 mod. 35 T.M. del 54° Reggimento artiglieria “Napoli”.[15]

Negli ultimi giorni del luglio del 1943, viste le perdite subite dalle delle Divisioni italiane (80% la “Napoli”, 60% la “Livorno”, 30% l’”Assietta” e 20% nell’”Aosta”), a cui si aggiungeva un impressionante tasso di diserzioni, il comandante della 6a Armata fu costretto a sciogliere il XVI Corpo d’Armata le cui unità passarono alle dipendenze del XIV Panzerkorps. Di conseguenza, il 31 luglio del 1943 lo SMRE autorizzò il comandante della 6a Armata a disporre il trasferimento in Calabria del Comando XII Corpo d’Armata, del Comando Divisione di fanteria “Aosta” (28a) e del Comando della fanteria della Divisione “Assietta” (26a). Il nuovo ordinamento entrò in vigore il 2 agosto successivo e una settimana dopo, il 9 agosto, lo SMRE sanzionò anche il trasferimento in Calabria del Comando 6a Armata. Fu pertanto disposto il trasferimento delle truppe italiane al di là dello stretto di Messina. L’operazione consentì il trasferimento in Calabria, tra il 3 e il 16 agosto del 1943, di circa 62.000 italiani, 50 pezzi di artiglieria e 300 automezzi. I tedeschi, invece, che definirono il trasferimento con il nome di Operazione Lehrgang, riuscirono tra il 12 e il 17 agosto a sgomberare dalla Sicilia circa 40.000 uomini, 10.000 automezzi 17 carri armati, 94 pezzi di artiglieria e mezzi da sbarco.[16]

Si concludeva dunque, per il Regio Esercito, la campagna per la difesa della Sicilia che aveva ancora una volta portato a galla l’errato ordinamento delle unità tattiche già palesate durante la campagna di Francia, in Grecia, in Russia e nei Balcani. I provvedimenti attuati con l’introduzione della Divisione tipo A.S. 42, volti a rimediare agli errori concettuali commessi, non furono efficaci. L’istituzione dei Gruppi Mobili in qualche modo accrebbe la manovra tattica a livello Corpo d’Armata e delle Divisioni, benché queste Grandi Unità fossero prive di carri armati idonei a sostenere un combattimento con le paritetiche unità alleate. La campagna permise ai comandanti dell’Armata, dei due Corpi d’Armata e delle quattro Divisioni, nonostante i limiti oggettivi dovuti alla qualità delle truppe a disposizione, di attenersi essenzialmente ai concetti della manovra delle forze e del fuoco, tralasciando quei rigidi schemi dottrinali e ordinativi fissati dalle gerarchie.[17]

Il fatto stesso di avere compreso che un particolare scacchiere operativo come quello siciliano, caratterizzato da un terreno fortemente compartimentato, non avrebbe consentito in ogni caso l’impiego delle Divisioni in formazioni rigide e schierate secondo gli schemi dottrinali, rappresenta una novità anche se tardiva. L’aver costituito dei Gruppi Mobili, benché privi di mezzi corazzati e blindati adeguati, è un aspetto da non trascurare. Forse gli ammaestramenti e il fatto di cooperare con le forze tedesche, che adottavano costantemente il concetto dell’Auftragstaktik[18] in luogo della Befehlstaktik[19], avrebbero potuto giovare o almeno favorito in qualche modo sulle opportunità di costituire dei Gruppi Tattici dotati di una sufficiente mobilità e potenza di fuoco.

La decisione di modificare gli organici delle Divisioni in Gruppi Mobili, o meglio Gruppi Tattici, potrebbe essere scaturita dall’aver mutuato tattiche e procedimenti d’impiego dell’alleato? Non possiamo confermarlo con certezza.

A noi pare, invece, che nel caos istituzionale di quelle giornate i comandi periferici avessero agito d’iniziativa, apportando modifiche ordinative alle unità dipendenti secondo:

-      le reali disponibilità di reparti efficienti e pronti al combattimento;

-      la tipologia di terreno su cui avrebbero operato;

-      le effettive disponibilità logistiche.

C’è da sottolineare, infine, che i concetti utilizzati dai tedeschi ed espressi poc’anzi, si riferivano più che altro ai minimi livelli ordinativi.

In tale quadro, a nostro giudizio, l’ipotetica configurazione di un ipotetico gruppo mobile tattico avrebbe dovuto essere strutturata nel seguente modo:

-      comando, auspicabilmente motorizzato o meglio blindato, dotato di apparati di comunicazioni radio per i collegamenti con il comando superiore, quelli dipendenti ed in grado di richiedere il supporto aereo;

-      compagnia/squadrone esplorante, su tre plotoni con almeno 10/12 autoblindo armate di cannone/mitragliera (AB 41);

-      una compagnia motociclisti su due plotoni motociclisti e uno motomitraglieri, per il supporto all’unità esplorante e come guida/scorta colonne, con il personale armato di MAB;

-      una compagnia corazzata su:

×        due plotoni carri armati da 5 carri medi ciascuno;

×        un plotone semoventi da 75/18 su 5 mezzi;

-      due/tre compagnie fucilieri autoportate/motorizzate[20] con dotazione di mitra Beretta fino a livello capo squadra e capo nucleo;

-      compagnia cannoni controcarri motorizzata/autoportata su: due plotoni con cannoni controcarri da 47/32, auspicabilmente dotati di granate (4 pezzi ciascuno) e un plotone da 75/32 (3 pezzi);

-      una compagnia mortai da 81 su tre plotoni da 3 armi ciascuno;

-      due batterie da 75/18 mod. 35 motorizzate da 6 pezzi ciascuna;

-      una batteria da 105/28 motorizzata da 6 pezzi (od anche una batteria di obici da 149/19, anziché farla oziare in Provenza);

-      due batterie contraerei da 20/65 mod.35 motorizzate (su autocarro);

-      un plotone genio artieri;

-      un plotone genio guastatori rinforzata con almeno una/due squadre lanciafiamme;

-      elementi dei servizi.

Alla cronica mancanza di carri armati idonei, artiglierie e strutture ordinative adeguate al compito e al momento storico che si stava affrontando, una menzione particolare, in senso negativo, deve essere riservata alle unità costiere in quanto inadeguate per armamento, inquadramento e pochezza degli apprestamenti difensivi.[21]

Una situazione che contrastava invece con quanto ritenuto dal Comando dell’Armata e dei due Corpi d’Armata dislocati in Sicilia, che invece sopravvalutarono le capacità difensive delle unità costiere. Un errore concettuale che, come sottolinea Stefani, non rimase senza conseguenze morali e pratiche.[22]

C’è infine da evidenziare il fatto che nel momento in cui bisognava difendere il territorio nazionale solamente trentadue delle ottanta Divisioni che erano inserite nel quadro di battaglia del Regio Esercito, erano stanziate in Italia. Di queste trentadue ben undici erano costiere e quindi ancorate su posizioni statiche e prive di qualsivoglia tipologia di mezzi mobili e sedici erano di fanteria, alpine o celeri, di cui nove in ricostituzione in quanto reduci dal fronte russo.[23]

 



[1]     Lucio CEVA, Storia delle Forze Armate in Italia, op. cit., p. 332

[2]     Giorgio ROCHAT, Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939, op. cit., pp. 408-409

[3]     Ivi, p. 409

[4]     Giorgio ROCHAT, Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939, op. cit., pp. 408-409

[5]     Filippo CAPPELLANO e Nicola PIGNATO, Il Regio Esercito alla vigilia dell’8 settembre 1943, op. cit., pp. 6-7

[6]     Ivi, pp. 7-8

[7]     Nel Documento 64 è indicata la situazione delle Grandi Unità italiane alla data dell’8 settembre 1943

[8]     Fin dal 1929 l’Ispettorato di Artiglieria del Regio Esercito aveva emesso delle specifiche per l’approvvigionamento di un obice e di un cannone per l’impiego da parte delle unità di artiglieria di Corpo d’Armata. Vennero quindi presentati dei progetti nel 1934-1935 e vennero consegnati da due ditte concorrenti al progetto due prototipi. Venne scelto il modello della OTO che fu omologato. Nel 1937 dopo diverse modifiche che ritardarono i programmi di consegna si arrivò alla versione mod. 41. Prima dell’armistizio del settembre 1943 furono allestiti non meno di 320 complessi, tanto che a giugno dello stesso anno i pezzi risultavano assegnati a 20 Gruppi e altri 7 in previsione di essere costituiti presso i vari Depositi delle unità dell’Arma di Artiglieria

L’obice aveva ottime prestazioni, del tutto paragonabili a quelle di un altro pezzo in uso presso l’esercito statunitense. È rimasto in servizio per molto tempo anche nel dopoguerra venendo radiato nel 1974.

Il Gruppo di artiglieria da 149/19, secondo le Formazioni ridotte emesse con la Circolare n. 54440 del dicembre 1942 dell’Ufficio Ordinamento e Mobilitazione dello SMRE, stabilivano che l’unità si ordinasse su:

-      un Comando Gruppo;

-      tre batterie da 149/19.

Ogni batteria si articolava su:

-      comando batteria con: un Ufficiale, un Sottufficiale specializzato per il tiro, cinque autieri, ventisei artiglieri, due scritturali e disegnatori, tre marconisti, quattro specializzati per il tiro, otto specializzati per le trasmissioni, due autocarri leggeri, un motociclo e quattro biciclette;

-      linea pezzi con: tre Ufficiali, un Sottufficiale capo pezzo, sette autieri, quarantanove artiglieri, quattro obici da 149/19, sei trattori TM 40 (due dei quali addetti al trasporto munizioni con rimorchio M41), una bicicletta e due mitragliatrici;

-      autocarreggio con: un Sottufficiale di contabilità, sette artiglieri, otto autieri (di cui uno con incarico meccanico-motorista), cinque autocarri medi (quattro portamunizioni e uno per il trasporto bagagli), un autocarro leggero trasporto viveri, una bicicletta.

Caratteristiche Principali:

-      Lunghezza della bocca da fuoco:                                 3,034 m

-      Peso della bocca da fuoco.                                             1.610 kg

-      Peso del pezzo in batteria:                                            6.260 kg

-      Settore di tiro:

×        Orizzontale:                                                               360°;

×        Verticale:                                                                   -3°, +60°;

-      Peso granata da 149/19:                                                  42,5 KG

-      Velocità iniziale:                                                             597 m/s

-      Gittata max:                                                                     14.200 m;

Filippo CAPPELLANO, Le artiglierie italiane nella Seconda Guerra Mondiale, op. cit., pp. 122-126

[9]     Filippo CAPPELLANO e Nicola PIGNATO, Il Regio Esercito alla vigilia dell’8 settembre 1943, pp. 7-8

[10]    Giorgio ROCHAT e Pietro MASSOBRIO, Breve storia dell’Esercito Italiano dal 1861 al 1943, op. cit., pp. 296-297

[11]    Giorgio ROCHAT, Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939, op. cit., p. 409

[12]    Mario MONTANARI, Politica e strategia in cento anni di guerre italiane, Volume III - Il periodo fascista, Tomo II - La Seconda Guerra Mondiale, op. cit., pp. 820-822

[13]    Nel luglio del 1943 erano dislocati cinque Gruppi da 149/19. Meglio sarebbe stato se i due Gruppi autocannoni da 90/53 e i sei Gruppi da 149/19 dislocati in Provenza, in uno scacchiere lontano da quello in cui si stava giocando la difesa del territorio nazionale fossero stati dislocati nell’isola o in Italia meridionale. A questi si aggiungevano i 100 cannoni controcarri tedeschi da 75/34 mod 97/38 che, anziché essere riuniti in Gruppi organici ed assegnati alle Divisioni di stanza in Sicilia o a difesa della capitale italiana, vennero letteralmente sprecati utilizzandoli in postazioni singole fisse, nei caposaldi protetti della difesa costiera e di quella territoriale.

Filippo CAPPELLANO, L’Esercito Italiano nel 1943- Parte 1a. Evoluzione tattica 1935-1943 e situazione nell’ultimo anno di guerra in Storia Militare Dossier, n. 5 novembre – dicembre 2012, anno I, Albertelli Edizioni Speciali, Parma 2012, p. 5

Filippo CAPPELLANO, Le artiglierie italiane nella Seconda Guerra Mondiale, op. cit., p. 124

[14]    Filippo STEFANI, La Storia della dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano. Volume II. Tomo 2°, op. cit., p. 792

[15]    Filippo STEFANI, La Storia della dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano. Volume II. Tomo 2°, op. cit., nota 18 pp. 798-799

[16]    Mario MONTANARI, Politica e strategia in cento anni di guerre italiane, Volume III - Il periodo fascista, Tomo II - La Seconda Guerra Mondiale, op. cit., pp. 835-836

[17]    Filippo STEFANI, La Storia della dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano. Volume II. Tomo 2°, op. cit., nota 18 pp. 791-792

[18]    Tattica dell’incarico, utilizzata dall’esercito tedesco. Con questa tattica veniva esaltata l’intelligenza del soldato. Viene assegnato un compito ad un’unità e si lascia all’esecutore piena libertà di attuare le tattiche e i procedimenti da lui ritenuti più opportuni. Pertanto, l’esecutore si sentirà direttamente responsabile delle azioni che gli sono portate dall’intelligenza, dall’intraprendenza e dalle proprie capacità.

      Amedeo MONTEMAGGI, Clausewitz sulla Linea Gotica, Angelini Editore, Imola 2008, p. 24

[19]    Tattica dell’ordine, utilizzata dall’esercito britannico. Il compito che viene assegnato deve essere portato a termine, senza che l’esecutore possa in qualche modo modificarlo, anche se la sua intraprendenza e il suo senso di iniziativa potrebbero adattarsi alla situazione operativa contingente.

      Amedeo MONTEMAGGI, Clausewitz sulla Linea Gotica, op. cit., p. 24

[20]    L’ideale sarebbe stato avere a disposizione mezzi blindati trasporto truppa a similitudine di quanto progettato dalla Viberti per lo sbarco su Malta. Nel caso di specie, si trattava di un veicolo blindato, a quattro ruote motrici e sterzanti, impostato sul telaio del trattore TL/37, in grado di trasportare 8 uomini più il conduttore, su cui poteva essere installata una mitragliatrice Breda 38.

Cfr. Brizio PIGNACCA, Ruote in divisa. Un secolo di veicoli militari italiani, Giorgio Nada Editore, Vimodrone (MI) 1989, p. 106

[21]    Mario MONTANARI, Politica e strategia in cento anni di guerre italiane, Volume III - Il periodo fascista, Tomo II - La Seconda Guerra Mondiale, op. cit., pp. 835-836

[22]    Filippo STEFANI, La Storia della dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano. Volume II. Tomo 2°, op. cit., nota 18 p. 792

[23]    Filippo CAPPELLANO e Nicola PIGNATO, Il Regio Esercito alla vigilia dell’8 settembre 1943, op. cit., p. 9