Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

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Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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giovedì 31 dicembre 2020

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martedì 22 dicembre 2020

sabato 19 dicembre 2020

1944. La guerra di Liberazione all'estero. La Grecia Continentale III parte

 


Un altro aspetto della Guerra di Liberazione in Grecia fu la vicenda di numerosi soldati italiani che scelsero di non salire in montagna a combattere con i partigiani greci, oppure lavorare presso i contadini o girovagare per le campagne tendendo a raggiungere un porto per cercare di ritornare il Italia. Molti scelsero di nascondersi e confondersi fra la popolazione delle principali città greche, soprattutto Atene. All’inizio del 1944, accanto alle formazioni resistenziali greche, in cui operavano molto soldati italiani, sorsero due organizzazioni che, oltre a mettere in atto atti di sabotaggio e raccogliere informazioni, avevano come scopo l’assistenza ed il sostegno dei soldati italiani non aderenti Erano la O.L.I, Organizzazione Liberale Italiana, vicina all’ELAS fondata dal cap. Sebastiano Costantini, dal ten. Dei carabinieri Demetrio Crupi e dal ten. Vittorio Vicari Tra le tante azioni meritorie è da ricordare che il ten. Crupi riportò in Italia cucita sotto la fodera del soprabito, la bandiera del 3° Reggimento fanteria “Piemonte”, avita in custodia dal col. Pozzuoli che transitava per Atene diretto verso un campo di concentramento in Germania. Con le stesse finalità operò la C.O.I. Centro Organizzazione Italiana fondata ad Atene dal col. Giuseppe De Angelis. Questa organizzazione il 14 ottobre 1944 in occasione dell’ingresso delle truppe alleate ad Atene, sfilò per le vie della capitale accanto a formazioni di “andartes”.

 

La vicenda del richiamo del gen Infante in Italia è l’anticipo del clima che si instaurerà in Grecia nell’ambito della guerra civile tra le formazioni di sinistra e le formazioni monarchiche. Entrambe alimentano l’odio verso l’italiano aggressore ed occupatore, e questo odio è una delle componenti della guerra civile dimostrando che i responsabili greci non sono in grado di superare le tragedie proponendo soluzioni conciliative che avrebbero evitato ulteriori contrasti. Il gen Infante, come tanti altri ufficiali italiani era perseguito come “criminali di guerra”, anche se si erano dimostrati decisi fautori della lotta al tedesco. Infante, anche per ammissione degli stessi esponenti della Missione Militare Alleata in Grecia. Accompagnato dal cap. Philip Infante intraprese un lungo viaggio di oltre 200 chilometri per raggiungerà piedi l’Albania e di lì, il 5 febbraio 1944 per mezzo di un peschereccio battente bandiera americana raggiunse Brindisi. Ben presto fu nominato sottocapo di Stato Maggiore del Comando Supremo e dopo la liberazione di Roma fu nominato Primo Aiutante di Campo del Luogotenente Generale poi Re Umberto I. Infante, di sentimenti monarchici convinti, non abbandonò mai i soldati rimasti in Grecia. E fu grazie a lui che giunsero nel corso del 1944 e 1945 aiuti consistenti tramite le missioni militari alleate.

 

 La situazione in Grecia divenne quanto mai difficile con la ritirata tedesca. Nel settembre 1944 iniziò la evacuazione degli ospedali e delle strutture logistiche e del personale amministrativo tedesco da Atene e dalle altre città greche. Non fu una ritirata decente; anzi sembrò più una fuga frettolosa, quasi ignominiosa che colpi sia le truppe combattenti tedesche che la popolazione greca. Segni di disgregazione erano sotto gli occhi di tutti, a cominciare dai soldati austriaci che facevano ogni sforzo per dimostrare che loro non erano tedeschi. Il 12 ottobre 1944 fu il giorno tanto sognato dai greci: i tedeschi sgombrarono Atene, il 13 i paracadutisti britannici occuparono l’aeroporto di Megara, il 14 occuparono Atene. Iniziarono tre giorni di grande festa. Al termine iniziarono i problemi. In breve giunsero dall’Egitto il Governo provvisorio ed il Re e tutti i funzionari che si erano rifugiati all’estero. La situazione era grave. Vi era apparsa di nuovo la fame, che non poteva essere contrastata dagli aiuti alleati. Iniziarono non solo ad Atene ma in tutto il paese le vedette, guidate dall’ELAS che si era messo alla caccia dei “quisling” greci; iniziavano i primi massacri, le epurazioni gli arresti arbitrari. Il porto di Velos divenne la meta di tantissimi italiani, che cercavano l’imbarco in Italia. In breve raggiunsero le migliaia; una relazione britannica riporta che dopo un mese dalle montagne della Tessaglia erano giunti a Velos circa 8500 italiani, che necessitavano di tutto ed erano alloggiati in quello che fu definito “il magazzino americano”. Gli imbarchi per l’Italia si susseguivano in base al naviglio disponibile, ma non sufficienti per trasportare tutti i presenti. Il 1944 si chiude in Grecia con una nuova ondata di paura e di disagi per i rimanenti italiani rimasti: i greci erano sprofondato in una paurosa guerra civile

 

 I precedenti articoli sono stati pubblicati in data 4 e 12 dicembre 2020

sabato 12 dicembre 2020

1944 La guerra di liberazione all'estero. Grecia. II Parte

 

 


Dei 170.000 soldati italiani in Grecia nel settembre 1943, circa 140.00o furono catturati dai tedeschi ed inviati in Germania. I 30.000 che riuscirono a sottrarsi alla cattura, una buona metà era composta dalla Divsione Pinerolo, l’altra metà aveva trovato nascondiglio nelle città, o presso i contadini nelle campagne, ed una aliquota girovagava per le campagne tentando di avvicinarsi alle coste dello Jonio per cercare un qualsiasi mezzo per raggiungere l’Italia

 

Al soldato italiano in quanto tale non si perdonava l’aggressione del 1940 e la successiva occupazione. Nessun greco aveva dimenticato la campagna dell’inverno del 1940 e 1941 quando l’esercito greco tenne testa a quello italiano fino al maggio del 1941, il valore espresso, l’orgoglio di resistere, e crollare non per mano italiana ma tedesca. L’occupazione fu anche peggiore in quanto oltre al solito corollario di incendi, fucilazione di ostaggi, rappresaglie eccidi, imperversò il mercato nero per carenza endemica di viveri che prostò il popolo greco. Tutto questo nel 1944 non era stato dimenticato. Anche se adesso il soldato italiano combatteva il tedesco per il greco era sempre un nemico. Da una parte occorre dire che la popolazione in quanto tale all’indomani dell’armistizio mostrò sentimenti umani e cercò di superare la comune sventura nei limiti consentiti dalle ristrettezze generali; il partigiano combattente, che era inasprito per una serie di lotte, rischi, fughe, sofferenze non riusciva a dimenticare; l’odio si era cristallizzato. Questo fece si che in Grecia non si costituì una unita partigiana italiana combattente, ad eccezione del T.I.M.O, di cui diremo come in Albania il Battaglione “Gramsci” o in Jugoslavia le divisioni “Italia” e Garibaldi”. Il disarmo degli italiani da parte dell’ELAS è il portato di tutti questi sentimenti

Il 1944 in Grecia era per gli Italiani quanto mai gravido di incertezze e di incognite.

Il T.I.M.O (Truppe Italiane nella Macedonia Orientale), posto alle dipendenze della 1° Divsione dell’ELAS, inizialmente era composto da circa 4000 militari, per poi scendere a circa 3000 unità. Era comandato dal maggiore Giuseppe Ramondo ed era ordinato su quattro battaglioni, ed ognuno di essi aveva mantenuto la sua struttura organizza del regio Esercito.

 

Scrive Giraudi:

Alla luce delle chiare testimonianze che abbiamo riportato si comprende perchè l’ELAS della Macedonia occidentale si sia sempre opposta alla decisione di disperdere gli italiani presso i civili, motivando tale opposizione con inesistenti motivi di sicurezza. Gli italiani servivano indiscutibilmente sul piano militare sia come partecipazione diretta ai combattimenti sia come supporto per i diversi servizi, né potevano rappresentare un grosso pericolo, venendo armati solo nelle circostanze volute dai greci.”[1]

 

Il T.I.M.O. riuscì a sopravvivere in quanto era vettovagliato dalla Missione Militare Alleata, altrimenti la sua esistenza sarebbe stata messa quotidianamente in forse. Oltre alle condizioni di vettovagliamento che erano precarie, anche le condizioni igienico-sanitarie erano pessime nella Macedonia Occidentale.

Nella primavera 1944 scoppio una epidemia di tifo esantematico. Solo nel campo di Duccicò morirono quattrocento soldati italiani; l’epidemia infurio per tutta la primavere e l’estate; poi fu seguita da un’altra ancora più dolorosa, la avitaminosi che dava luogo a dolorose cancrene che spesso portavano ad amputazioni eseguite in modo doloroso e stravaganze per mancanza di attrezzature sanitarie e medicinali Nella tarda primavera del 1944 con l’inizio dell’estate queste epidemie sembravano attenuarsi  quando si palesò un’latra grave minaccia  che sfocio nell’ennesima tragedia. I tedeschi, per via dell’andamento della guerra, stavano seriamente pensando nel luglio 1944 di evacuare la Grecia. Quindi era necessario mantenere aperte le vie di ritirata. Questa esigenza diede avvio alla operazione “Sparviero”. Di fronte alla offensiva tedesca le possibilità erano poche per i soldati italiani: o consegnarsi ai tedeschi, e questa fu scelta da pochissimi elementi, oppure raggiungere le bande partigiane operanti anche fuori della Macedonia occidentale, infime, quella che fu la soluzione adottata dalla maggior parte dei soldati ritirarsi sulle cime del Monte Smolikas, o mimitizzarsi nel folto dei boschi nella speranza di non essere scoperti. I rastrellamenti tedeschi distrussero tutti gli insediamenti ove era traccia della presenza di soldati italiani; distrussero o requisirono i magazzini viveri e di vestiario che incontrarono in pratica fecero tabula rasa di ogni struttura che poteva dare ricovero. Ritirati i tedeschi, i soldati italiani che ritornarono, trovarono tutto distrutto tanto che si cominciò a disperare per il futuro. Un altro inverno in quelle condizioni era impossibile passarlo. Per fortuna, dopo notizie più o meno confermate, si ebbe la certezza della ritirata tedesca. Ai primi di novembre pochi giorni dopo la constatazione che i tedeschi si stavano ritirando, gli uomini del T.I.M.O., sia quelli armati che quelli disarmati iniziarono il cammino di ritorno in patria avviandosi verso la pianura tessala ed il porto di Velos. 

 

 Giraudi traccia un ampio quadro delle formazioni di livello plotone/compagnia o minori che operarono nelle fila della resistenza greca. Oltre alla banda dei 18, ed al Gruppo dei 16, meritano di essere ricordati altri gruppi che operarono con elementi partigiani come la batteria someggiata da 75/13 del cap. Riccardi e del ten. Gattola, che combattè aggregata alla 13a Divsione ELAS fino al disarmo., il gruppo del s.ten Giacomo Baduini che riuscì ad aggregare oltre 200 uomini armati ed ad aggregarsi ad una formazione dell’ELAS. [2]

 

I soldati italiani in Grecia non aderenti, andavano incontro ad una sorte che in tanti casi era dettata dal caso o da circostanze fortuite, e meritano di essere ricordati. Come la vicenda delle due Medaglie d’Oro, il s.ten. della Guardia di finanza Attilio Corrubia ed al tenente medico col. della Marina Militare. Il s.ten. Corrubia era comandante del 1° plotone della 1a compagnia finanzieri di stanza nel Peloponneso; all’indomani della proclamazione dell’armistizio riuscì a raggiungere col suo plotone  una unità della resistenza greca, il battaglione “Elias” nei pressi di Kalavrita con il quale combattè fino al dicembre 1943, quando per la forte pressione tedesca, il battaglione fu sciolto  ed i militari italiani vennero inviati sulle montagne e suddivisi in diversi paesi oppure sparsi nella campagna presso i contadini. Corrubia fu indirizzato dove era in essere l’infermeria partigiana del battaglione “Elias” dislocato presso Arfarà Abele. Qui incontrò il tenente medico Giuli Venticinque, anche lui datosi alla macchia nei giorni dell’armistizio, sbancando dalla nave su cui era imbarcato per non aderire. Il 19 gennaio 1944 durante un rastrellamento, i tedeschi, probabilmente informati da una spia del luogo, circondarono in forze la casa ove era posta l’infermeria e catturarono i due ufficiali italiani e quattro greci. Portati a Aghion i due ufficiali italiani furono sottoposti a torture nella speranza di avere dati e notizie sulle formazioni partigiane. Il 23 gennaio, dopo il risoluto atteggiamento dei due italiani che non rilevarono nessun dato, li impiccarono nella piazza del paese. Il comportamento tenuto dai due Martiri suscitò l’ammirazione sia della popolazione che dei tedeschi.

 Un altro aspetto della Guerra di Liberazione combattuta fuori dal territorio italiano merita di essere sottolineato. In Grecia le forze partigiane erano composte sia da formazioni comuniste che da formazioni monarchiche, queste sostenute dagli alleati. Verso la meta del 1944 si delineava con crescenze intensità la possibilità che all’indomani della ritirata tedesca il fronte della resistenza, prima antitaliani, poi antitaliano e tedesco, poi solo antitedesco no mantenesse la propria unità e sfociasse in una vera e propria guerra fra greci. Le diverso formazioni spesso arrivarono anche nella tarda primavera del 1944 a scontrarsi. In queste formazioni contrapposte vi militavano dolati italiani che erano saliti in montagna. Quindi vi era la concreta possibilità che gli italiani combattessero tra loro per una causa a cui erano estranei. Onde evitare questa situazione la soluzione più adotta era quella di trasferire o far raggiungere altre formazioni greche in aree ove ancora non era iniziata la guerra civile greca, oppure vi erano solo formazioni di una determinata parte ed assenti quella dell’altra. Un ulteriore aggravio per i soldati italiani questo collasso del fronte della resistenza greca; in Italia, per inciso, il fronte della resistenza rimase unito e, tranne l’episodio di Porzus dovuto ad iniziative individuali, no in vi furono scontri fra formazioni di diverso colore politico in seno alla resistenza italiana. Parlare di guerra civile in Italia, se si tiene presente la situazione greca appare quanto mai azzardato.

( la prima parte è stata pubblica in data 5 dicembre, la terza parte sarà pubblicata in data 19 dicembre 2020)

[1] Giraudi G., La resistenza dei Militari Italiani all’estero. Grecia continentale e Isole dello Jonio, cit., pag224

[2] Giraudi G., La resistenza dei Militari Italiani all’estero. Grecia continentale e Isole dello Jonio, cit., pag. 248

 

sabato 5 dicembre 2020

1944 La guerra di liberazione all'estero Grecia Continentale I parte

 


4.5 Grecia continentale.

Nella Grecia continentale la sorte dei soldati italiani non è benigna. Dopo la triste vicenda della volontà greca di procedere al disarmo della Divisione Pinerolo, in cui superstiti furono raccolti nei campi di concentramento di Grevernà, Neraida e Karpenision.  Questi campi non avevano nulla da invidiare ai lager tedeschi, in quanto mancavano di tutto, sia in termini di viveri, di medicinali di vestiario, ove la mortalità raggiunse cifre considerevoli Dopo aver passato un inverno fra stenti e fame in condizioni allucinanti, i soldati italiani nella primavera del 1944 erano ridotti a larve umane. Per poter dare un certo aiuto a questi soldati, che nella sostanza erano, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania del 13 ottobre 1943, degli cobelligeranti se non alleati, la Missione militare alleata incaricò un ufficiale inglese, il maggiore Philipp Warrel della direzione e gestione dei campi stessi. Warell si rilevò un benemerito in quanto riuscì con la sua opera a salvare migliaia di prigionieri italiani. Riuscì’ ad avere denaro tanto che potè corrispondere al mese ad ogni soldato una sterlina e mezzo per poter acquistare per lo meno il necessario per sopravvivere. Ottenne anche di dislocare molti soldati presso le famiglie contadine che, in cambio di lavoro, corrispondessero vitto ed alloggio. La situazione era veramente grave, anche per l’azione tedesca che si sviluppava sia attraverso rastrellamenti violenti, dove non venivano risparmiati né feriti né moribondi, sia attraverso lusinghe ed promesse affinchè i soldati italiani scendessero dia monti dai loro nascondigli e si consegnassero ai presidi tedeschi.

 Il dramma dei soldati italiani nella Grecia continentale nasce dal fatto che i greci erano profondamente divisi ed il movimento partigiano era visceralmente frazionato e frammentato e le fazioni si facevano tra loro una guerra atroce e crudele, spesso senza senso. Ai greci interessava inizialmente non che il soldato italiano li aiutassero a sconfiggere i tedeschi occupatori, come accadeva in Albania ed in Jugoslavia, ma le armi, le munizioni, l’equipaggiamento e ogni bene utile; una volta disarmato e spogliato di tutto il soldato italiano diventava un peso inutile, oggetto solo di rancore per l’aggressione del 1940 e la relativa occupazione. Una situazione triste per questo paese le cui divisioni portarono ancora più lutti della guerra perduta e della occupazione italotedesca.

 

Anche per  tutto il 1944 al soldato italiano, in queste circostanze, si presentava che all’inizio era abbastanza favorevole: se armati potevano costituire una propria banda ribelle, sempre però integrata o in collegamento con una formazione greca dell’ELAS (Esercito popolare di liberazione greco) di ispirazione comunista, oppure dell’EDES, (Unione Nazionale greca democratica) di ispirazione monarchica, oppure singolarmente o in piccolissimi gruppi immessi nelle formazioni ribelli; se disarmati potevano aggregarsi alle formazioni partigiane come ausiliari svolgendo numerosi incarichi, oppure raggiungere la campagna e vivere come braccianti presso famiglie contadine in cambio di vitto ed alloggio. Nel 1944 le possibilità di scelta si erano alquanto ridotte e tutto dipendeva dalle circostanze, che, per via della frammentazione politica greca divenivano sempre più difficili. Via via che la lotta tra i greci si inaspriva, era sempre più difficile per gli italiani trovare la possibilità di combattere i tedeschi. Era prassi in tutte le unità greche sia comuniste che monarchiche di non costituire bande o reparti di soli italiani al comando di ufficiali italiani; si preferiva sempre suddividerli fra le proprie bande allo scopo di utilizzare meglio le loro professionalità militari. Un particolare aspetto poi è da considerare per i carabinieri, i finanzieri e le camicie nere. Era costante da parte dei greci cercarli in quanto erano fortemente animati dai rancori accumulati durante l’occupazione ed erano alla ricerca di vendette che spesso avevano motivazioni più presunte che reali. I nostri militari ebbero l’accortezza di lasciare quasi immediatamente le zone dove potevano essere riconosciuti; quei pochi malcapitati che incapparono nella furia della popolazione greca andarono incontro ad una atroce fine.


Massimo coltrinari


( seconda parte il 12 dicembre 2020)