Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

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Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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martedì 28 giugno 2016

i 50 anni dell'IAI

IAI50
Nel mondo che cambia, resta prezioso
Michele Valensise
21/06/2016
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Il cinquantesimo compleanno dell'Istituto affari internazionali è una bella occasione per riflettere sulla politica estera italiana, sulla sua rilevanza, in particolare nel quadro europeo, e sulla percezione che ne abbiamo avuto negli ultimi decenni e poi nell'attuale fase, così carica di tensioni e interrogativi.

Gli addetti ai lavori in passato hanno lamentato sistematicamente una scarsa attenzione degli organi di informazione e quindi dell'opinione pubblica per la politica internazionale. Spesso abbiamo criticato la visione angusta, strettamente nazionale, di fenomeni ed eventi esteri che pure ci toccavano direttamente, mentre le complesse alchimie della politica interna italiana monopolizzavano la scena mediatica.

Erano gli anni in cui nei nostri telegiornali, prima di ascoltare una notizia dall'estero, eravamo costretti a inghiottire disciplinatamente lunghi e indigesti panini di politica interna. Negli anni in cui nasceva lo IAI ci voleva un asso della comunicazione moderna come Ruggero Orlando per far entrare nelle case degli italiani una rinfrescante brezza straniera.

Oggi quell'Italia in bianco e nero è solo un ricordo sbiadito e un po' struggente. Abbiamo vissuto e ormai metabolizzato la rivoluzione digitale, l'azzeramento del tempo e dello spazio. Ma soprattutto abbiamo assistito a mutamenti epocali sulla scena mondiale, a lungo ibernata nella logica bi-polare, poi di colpo sciolta da condizionamenti, contrappesi e deterrenze e pertanto suscettibile di muoversi in direzioni imprevedibili, incerte, spesso minacciose, con contraccolpi diretti sulla nostra vita quotidiana. Guerre, migrazioni, terrorismo, crisi economiche scandiscono ora il nostro tempo e la laboriosa ricerca di modelli e strumenti nuovi per far fronte alle tante sfide.

Il mondo è entrato di prepotenza nelle nostre vite ed è naturale l'esigenza di farsi un'idea più precisa di quanto accade oltre la porta di casa. Le relazioni internazionali e la politica estera non sono una scienza esatta, non possiamo invocare soluzioni verificate in laboratorio. Ma esiste la via per comprendere meglio, inquadrare dinamiche e avvenimenti, interpretare decisioni e propositi e in definitiva esercitare la ragione e governare, o almeno ridimensionare, qualche paura forse eccessiva.

I governi, le istituzioni ci possono aiutare a far meglio i conti con la realtà. Altrettanto possono fare la pubblicistica e la comunicazione mediatica. Ma un grande spazio può essere riempito dagli enti di studio e di ricerca che abbiano la capacità di intercettare temi di attualità e di interesse e soprattutto di avere un ampio raggio di azione e di penetrazione nella società.

Seguo da anni con interesse e ammirazione l'attività dell'Istituto Affari Internazionali e riconosco facilmente nei suoi illuminati dirigenti, nei suoi preparatissimi esperti e nei suoi stimolanti ospiti il profilo migliore per un Istituto che voglia essere al passo con i tempi e offrire un servizio e prodotti di alta qualità a un pubblico sempre più interessato alle relazioni internazionali.

Non c'è più alcun deficit informativo di cui oggigiorno lamentarsi. Al contrario, siamo obbligati a gestire una massa ingente, senza precedenti, di informazioni e di dati, con una scansione temporale sempre più rapida e per molti troppo incalzante, se non insopportabile.

Decisori e analisti, diplomatici e ricercatori, opinionisti e cronisti, studenti e stagisti, lettori e telespettatori, tutti hanno bisogno di organizzare i dati, di ordinarli utilmente, di capirli in profondità. Il lavoro degli specialisti e dei ricercatori - e lo IAI rappresenta senz'altro l'eccellenza degli enti di ricerca e studio - è cruciale per dare profondità, coerenza, sistematicità alle analisi e alle proiezioni sui temi europei e internazionali.

Sicché sono convinto che l'azione dello IAI contribuisca egregiamente, specie in questa fase, anche a produrre qualche utile antidoto contro alcune desolanti semplificazioni emotive e interessate, come noto oggi in voga anche all'estero, a cominciare dal progetto di costruzione dell'Europa.

I grandi scenari con i quali ci confrontiamo in questo periodo e le incognite preoccupanti che abbiamo dinanzi devono essere affrontati con consapevolezza e spirito libero e critico. I rischi di disintegrazione dell'Unione europea, la stabilità dell'area mediterranea, la minaccia del terrorismo fondamentalista, la gestione delle migrazioni - per citare solo alcuni dei temi più scottanti - richiedono, e richiederanno ancora a lungo, analisi attente e documentate.

L'Istituto Affari Internazionali ha la competenza, l'autorevolezzae la passione per continuare a svolgere un compito prezioso non solo per gli addetti ai lavori.

Michele Valensise, già Segretario Generale della Farnesina.

Orizzonti e prospettive per i centri studi

IAI50
La ricerca applicata alla politica
Marta Dassù, Roberto Menotti
21/06/2016
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L’Istituto Affari Internazionali è un raro caso, nel panorama italiano, di vero e classico think tank. Negli anni, è riuscito ad attirare attorno a sé una vasta cerchia di analisti, accademici, e policy maker. Ed è riuscito a far crescere nuove generazioni di ricercatori e studiosi.

Soprattutto, l'Istituto fondato da Altiero Spinelli è riuscito a costruirsi una rete stabile di rapporti internazionali: a tutti gli effetti, ed in modo particolare per le questioni europee, lo IAI resta il punto di riferimento italiano. Si tratta di un ruolo davvero prezioso per il Paese.

Ci sono molti modi in cui un centro-studi, un “pensatoio”, può rendersi utile. Anzitutto, offrendo un punto di incontro per il confronto libero tra idee diverse e l’articolazione di proposte concrete: da quando la politica europea è diventata nei fatti una politica "intra-domestica", questo ruolo è diventato al tempo stesso più delicato ma anche più utile. La tradizione europeista, così importante nella formazione dello IAI, è di fronte a sfide senza precedenti e nuove idee sono necessarie per preservare e rafforzare l'Unione europea.

Al tempo stesso, la capacità di leggere i trend internazionali è diventata di estrema complessità, in un sistema internazionale dominato dal "disordine", dalla frammentazione e da aree di vera e propria implosione. La vitalità comparativa di unthink tank si misura quindi sul grado di innovazione, sia tematico che geopolitico. Da questo punto di vista, la traiettoria recente dello IAI dimostra una notevole sforzo di continuo adattamento.

Si può aggiungere che è diventata più rilevante l'interazione tra il mondo degli studi (accademici e non) e il mondo del “policymaking”, cioè della politica attiva. Se l’Italia non ha (quantomeno non ancora) replicato un meccanismo di “revolving doors” di tipo americano, con un frequente scambio tra think tank e governo o alto funzionariato (e viceversa), vi sono stati casi del genere e il trend sembra in aumento.

Si tratta di un circolo virtuoso che avvicina la società civile alle istituzioni e che facilita la selezione delle élites - cosa ancora più necessaria in una fase di grave indebolimento dei partiti politici come strutture per la formazione del personale politico-amministrativo.

Un think tank internazionale può inoltre contribuire ad analizzare e spiegare il senso di eventi e fenomeni complessi (come tipicamente sono quelli globali, all'incrocio fra geopolitica, sicurezza ed economia) in modo non semplicistico. In sostanza, comprendere connessioni e implicazioni di fattori europei o globali significa rendere un paese come l’Italia più attrezzato ad agire e reagire con cognizione di causa.

Ciò è vero sia al livello del business, che per i policy maker e i media: gli attori diversi e complementari, dunque, che un Istituto come lo IAI riunisce attorno al proprio tavolo. Naturalmente l'obiettivo deve restare anche quello di riuscire ad incidere sul livello più vasto dell’opinione pubblica “informata” o comunque interessata. Un compito arduo, appunto; ma indispensabile.

Un’ultima funzione essenziale è relativa al graduale ricambio generazionale, e dunque all’innovazione intellettuale. Un centro-studi degno di questo nome attinge costantemente ai circuiti universitari e specialistici per rinnovarsi, pur mantenendo un forte radicamento nella tradizione (soprattutto quella europeista, nel caso dello IAI): è un mix necessario per garantire continuità, controllo della qualità, contatti internazionali ad alto livello, ma anche freschezza e originalità.

In tal senso, un think tank funziona - quando riesce a dare il meglio di sè - come produttore di idee, incubatore e laboratorio. I giovani analisti e ricercatori che passano, magari soltanto per alcuni mesi, per tale esperienza acquisiscono non soltanto un metodo concreto di lavoro (che difficilmente si acquisisce nel percorso universitario) ma anche una forma mentis: aperta a nuovi modi di leggere i trend internazionali ma sempre attenta alla verifica dei dati e alla qualità delle fonti.

Marta Dassù, direttore Aspenia, Aspen Institute Italia.
Roberto Menotti, vicedirettore Aspenia e direttore scientifico Aspenia online (roberto.menotti@aspeninstitute.it)
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giovedì 23 giugno 2016

Israele. la destra al potere fino al 2019

Israele
La virata a destra di Bibi
Andrea Dessì
10/06/2016
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Siamo infetti “dai semi del fascismo”, “elementi pericolosi” si sono impossessati del governo. Una presa “ostile” e “questo è solo l’inizio”. Ehud Barak, ex primo ministro, già ministro della difesa e capo del partito laburista israeliano sino al 2013, è stato durissimo.

Dopo settimane di indiscrezioni che sembravano rendere imminente l’entrata nel governo della coalizione Unione sionista capeggiata dai laburisti, il primo ministro Benjamin Netanyahu, Bibi, ha sorpreso tutti alleandosi con Avigdor Lieberman, noto politico della destra nazionalista e ora nuovo ministro della difesa israeliana.

Dietro lo strappo si cela il timore
Con il sostengo della piccola fazione politica capeggiata da Lieberman, la coalizione governativa guidata da Netanyahu, che si reggeva sul voto di un singolo ministro, gode ora di una maggioranza di 66 su 120 seggi in parlamento (uno dei 6 ministri del partito di Lieberman ha rifiutato l’accordo con il Likud di Bibi.) Ciò rende probabile che sarà la destra, e solo la destra, a guidare il Paese sino alle elezioni del 2019, quando Netanyahu cercherà di conquistare il suo quinto mandato.

Già ministro degli esteri nel precedente governo di Netanyahu, dal 2015 Lieberman è passato all’opposizione, divenendo il suo principale avversario politico e criticando ripetutamente l’operato del governo in tema di sicurezza, da sempre perno del consenso popolare in Netanyahu. L’alleanza - non inedita - con Lieberman è quindi dettata da un crudo calcolo politico. L’obiettivo di Bibi è quello di consolidare il suo ruolo di leader indiscusso della destra in Israele, preparando il terreno per il 2019.

Sebbene Netanyahu sia riuscito ad ampliare la sua maggioranza governativa, il futuro politico del primo ministro rimane oggi più incerto che mai. Nuove forze politiche e generazionali nel centro-destra e anche nel vecchio partito dei laburisti israeliani sono in fermento. Non è da escludere l’emergere di nuovi partiti e coalizioni politiche, dentro le quali potrebbero defluire molti ministri del governo e dell’opposizione, creando quindi un'alternativa solida al Likud di Netanyahu nel centro-destra, insieme ad una nuova costellazione di partiti di centro e centro-sinistra.

Esercito israeliano ed estremismo
Noto soprattutto per le controverse dichiarazioni sulla necessità di ‘trasferire’ le popolazioni arabo-israeliane, Lieberman guiderà ora il più ambito e spinoso ministero israeliano. Non sarà compito facile. Proprio dall’esercito sono giunte dure critiche e moniti d’allarme. Il 4 maggio, giorno della memoria per la Shoà, il vice capo di stato maggiore Yair Golan, ha parlato di “tendenze di rivolta” nella società israeliana.

Commento, il suo, che è solo l’ultimo di una lunga serie di dichiarazioni provenienti dagli alti ranghi dell’establishment israeliano, preoccupato per il crescere dell’estremismo e dell’intolleranza in Israele, evidenziato anche dalla brutta vicenda di un soldato israeliano ripreso mentre colpisce con un colpo di fucile al volto un attentatore palestinese ferito a terra.

L’evento è stato fonte di ampi dibattiti in Israele. Il soldato è ora indagato per omicidio colposo, ma per molti, specie il ministro della difesa uscente Moshe Ya'alon e le più alte cariche dell'esercito, non sono arrivate prese di posizione abbastanza forti dal governo.

Mediazioni esterne 
Alle prese con un’ondata di violenze e accoltellamenti, crescenti scandali politici e un coro incessante di critiche internazionali, in molti pensavano che con una giusta dose di incentivi Netanyahu avrebbe optato per una de-escalation.

Un governo di unità nazionale Likud-Unione sionista avrebbe dato una maggiore copertura internazionale, migliorando i rapporti con Stati Uniti e Europa, ma anche con l’Egitto e le monarchie del Golfo. Attraverso un’unione delle forze di centro, i partiti più estremi del governo - in particolare quello di Naftali Bennett (8 seggi), ma ora anche quello di Lieberman (6 seggi) - avrebbero perso molto peso politico, aumentando la libertà di manovra del governo.

Questa a grandi linee era la strategia che da mesi cercava di mettere in atto Tony Blair, ex primo ministro britannico e fino al 2015 capo del Quartetto per il Medio Oriente, composto dagli Stati Uniti, Russia, Onu e Ue. Dopo una lunga serie di contatti con i leader della coalizione Unione sionista (24 seggi) e del Likud (30 seggi), tutto sembrava pronto. In cambio dell’entrata nel governo, i leader dell'Unione avrebbero ottenuto il ministero degli esteri (dal 2013 nelle mani di Netanyahu), il dossier dei negoziati con i palestinesi e un impegno a limitare la costruzione di insediamenti nei territori occupati.

Netanyahu ha però preferito un passaggio intermedio, optando per l’opzione Lieberman che coalizza tutti i partiti di destra all’interno del governo. Questo rafforza nettamente la sua posizione anche nel contesto dei negoziati, ancora in corso, per un accordo di unità nazionale con i leader dell'Unione sionista.

Anche se molti ci sperano, sono altrettanti coloro che pensano che l’ultima mossa del Likud mostri che il vero obiettivo di Netanyahu sia semplicemente quello di prendere tempo, trarre profitto da un miglioramento dei rapporti con la comunità internazionale ed evitare di avanzare qualsiasi proposta concreta di negoziati con i palestinesi.

È per questa ragione che l'Unione sionista insiste per mettere nero su bianco una serie di impegni che suggellino l’alleanza con Bibi, superando anche l’impasse che si era creata nei giorni antecedenti all’entrata di Lieberman nel governo.

Non è chiaro se la deriva a destra della politica israeliana sia solo un passaggio tattico prima di una virata verso il centro. Non vi sono dubbi che in molte capitali mondiali, così come al recente incontro internazionale di Parigi, la speranza sia proprio questa: che Netanyahu scelga il buonsenso. La biografia personale e politica del leader israeliano riduce però l’ottimismo.

Andrea Dessì è dottorando in relazioni internazionali alla LSE di Londra e ricercatore IAI nell’area Mediterraneo e Medioriente.