Il cinquantesimo compleanno dell'Istituto affari internazionali è una bella occasione per riflettere sulla politica estera italiana, sulla sua rilevanza, in particolare nel quadro europeo, e sulla percezione che ne abbiamo avuto negli ultimi decenni e poi nell'attuale fase, così carica di tensioni e interrogativi.
Gli addetti ai lavori in passato hanno lamentato sistematicamente una scarsa attenzione degli organi di informazione e quindi dell'opinione pubblica per la politica internazionale. Spesso abbiamo criticato la visione angusta, strettamente nazionale, di fenomeni ed eventi esteri che pure ci toccavano direttamente, mentre le complesse alchimie della politica interna italiana monopolizzavano la scena mediatica.
Erano gli anni in cui nei nostri telegiornali, prima di ascoltare una notizia dall'estero, eravamo costretti a inghiottire disciplinatamente lunghi e indigesti panini di politica interna. Negli anni in cui nasceva lo IAI ci voleva un asso della comunicazione moderna come Ruggero Orlando per far entrare nelle case degli italiani una rinfrescante brezza straniera.
Oggi quell'Italia in bianco e nero è solo un ricordo sbiadito e un po' struggente. Abbiamo vissuto e ormai metabolizzato la rivoluzione digitale, l'azzeramento del tempo e dello spazio. Ma soprattutto abbiamo assistito a mutamenti epocali sulla scena mondiale, a lungo ibernata nella logica bi-polare, poi di colpo sciolta da condizionamenti, contrappesi e deterrenze e pertanto suscettibile di muoversi in direzioni imprevedibili, incerte, spesso minacciose, con contraccolpi diretti sulla nostra vita quotidiana. Guerre, migrazioni, terrorismo, crisi economiche scandiscono ora il nostro tempo e la laboriosa ricerca di modelli e strumenti nuovi per far fronte alle tante sfide.
Il mondo è entrato di prepotenza nelle nostre vite ed è naturale l'esigenza di farsi un'idea più precisa di quanto accade oltre la porta di casa. Le relazioni internazionali e la politica estera non sono una scienza esatta, non possiamo invocare soluzioni verificate in laboratorio. Ma esiste la via per comprendere meglio, inquadrare dinamiche e avvenimenti, interpretare decisioni e propositi e in definitiva esercitare la ragione e governare, o almeno ridimensionare, qualche paura forse eccessiva.
I governi, le istituzioni ci possono aiutare a far meglio i conti con la realtà. Altrettanto possono fare la pubblicistica e la comunicazione mediatica. Ma un grande spazio può essere riempito dagli enti di studio e di ricerca che abbiano la capacità di intercettare temi di attualità e di interesse e soprattutto di avere un ampio raggio di azione e di penetrazione nella società.
Seguo da anni con interesse e ammirazione l'attività dell'Istituto Affari Internazionali e riconosco facilmente nei suoi illuminati dirigenti, nei suoi preparatissimi esperti e nei suoi stimolanti ospiti il profilo migliore per un Istituto che voglia essere al passo con i tempi e offrire un servizio e prodotti di alta qualità a un pubblico sempre più interessato alle relazioni internazionali.
Non c'è più alcun deficit informativo di cui oggigiorno lamentarsi. Al contrario, siamo obbligati a gestire una massa ingente, senza precedenti, di informazioni e di dati, con una scansione temporale sempre più rapida e per molti troppo incalzante, se non insopportabile.
Decisori e analisti, diplomatici e ricercatori, opinionisti e cronisti, studenti e stagisti, lettori e telespettatori, tutti hanno bisogno di organizzare i dati, di ordinarli utilmente, di capirli in profondità. Il lavoro degli specialisti e dei ricercatori - e lo IAI rappresenta senz'altro l'eccellenza degli enti di ricerca e studio - è cruciale per dare profondità, coerenza, sistematicità alle analisi e alle proiezioni sui temi europei e internazionali.
Sicché sono convinto che l'azione dello IAI contribuisca egregiamente, specie in questa fase, anche a produrre qualche utile antidoto contro alcune desolanti semplificazioni emotive e interessate, come noto oggi in voga anche all'estero, a cominciare dal progetto di costruzione dell'Europa.
I grandi scenari con i quali ci confrontiamo in questo periodo e le incognite preoccupanti che abbiamo dinanzi devono essere affrontati con consapevolezza e spirito libero e critico. I rischi di disintegrazione dell'Unione europea, la stabilità dell'area mediterranea, la minaccia del terrorismo fondamentalista, la gestione delle migrazioni - per citare solo alcuni dei temi più scottanti - richiedono, e richiederanno ancora a lungo, analisi attente e documentate.
L'Istituto Affari Internazionali ha la competenza, l'autorevolezzae la passione per continuare a svolgere un compito prezioso non solo per gli addetti ai lavori.
Michele Valensise, già Segretario Generale della Farnesina.
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