Dei
170.000 soldati italiani in Grecia nel settembre 1943, circa 140.00o furono
catturati dai tedeschi ed inviati in Germania. I 30.000 che riuscirono a
sottrarsi alla cattura, una buona metà era composta dalla Divsione Pinerolo,
l’altra metà aveva trovato nascondiglio nelle città, o presso i contadini nelle
campagne, ed una aliquota girovagava per le campagne tentando di avvicinarsi
alle coste dello Jonio per cercare un qualsiasi mezzo per raggiungere l’Italia
Al
soldato italiano in quanto tale non si perdonava l’aggressione del 1940 e la
successiva occupazione. Nessun greco aveva dimenticato la campagna dell’inverno
del 1940 e 1941 quando l’esercito greco tenne testa a quello italiano fino al
maggio del 1941, il valore espresso, l’orgoglio di resistere, e crollare non
per mano italiana ma tedesca. L’occupazione fu anche peggiore in quanto oltre
al solito corollario di incendi, fucilazione di ostaggi, rappresaglie eccidi,
imperversò il mercato nero per carenza endemica di viveri che prostò il popolo
greco. Tutto questo nel 1944 non era stato dimenticato. Anche se adesso il
soldato italiano combatteva il tedesco per il greco era sempre un nemico. Da
una parte occorre dire che la popolazione in quanto tale all’indomani
dell’armistizio mostrò sentimenti umani e cercò di superare la comune sventura
nei limiti consentiti dalle ristrettezze generali; il partigiano combattente,
che era inasprito per una serie di lotte, rischi, fughe, sofferenze non
riusciva a dimenticare; l’odio si era cristallizzato. Questo fece si che in
Grecia non si costituì una unita partigiana italiana combattente, ad eccezione
del T.I.M.O, di cui diremo come in Albania il Battaglione “Gramsci” o in
Jugoslavia le divisioni “Italia” e Garibaldi”. Il disarmo degli italiani da
parte dell’ELAS è il portato di tutti questi sentimenti
Il
1944 in Grecia era per gli Italiani quanto mai gravido di incertezze e di
incognite.
Il
T.I.M.O (Truppe Italiane nella Macedonia Orientale), posto alle dipendenze
della 1° Divsione dell’ELAS, inizialmente era composto da circa 4000 militari,
per poi scendere a circa 3000 unità. Era comandato dal maggiore Giuseppe
Ramondo ed era ordinato su quattro battaglioni, ed ognuno di essi aveva mantenuto
la sua struttura organizza del regio Esercito.
Scrive
Giraudi:
“Alla luce delle chiare testimonianze che
abbiamo riportato si comprende perchè l’ELAS della Macedonia occidentale si sia
sempre opposta alla decisione di disperdere gli italiani presso i civili,
motivando tale opposizione con inesistenti motivi di sicurezza. Gli italiani
servivano indiscutibilmente sul piano militare sia come partecipazione diretta
ai combattimenti sia come supporto per i diversi servizi, né potevano
rappresentare un grosso pericolo, venendo armati solo nelle circostanze volute
dai greci.”[1]
Il
T.I.M.O. riuscì a sopravvivere in quanto era vettovagliato dalla Missione
Militare Alleata, altrimenti la sua esistenza sarebbe stata messa
quotidianamente in forse. Oltre alle condizioni di vettovagliamento che erano
precarie, anche le condizioni igienico-sanitarie erano pessime nella Macedonia
Occidentale.
Nella
primavera 1944 scoppio una epidemia di tifo esantematico. Solo nel campo di
Duccicò morirono quattrocento soldati italiani; l’epidemia infurio per tutta la
primavere e l’estate; poi fu seguita da un’altra ancora più dolorosa, la
avitaminosi che dava luogo a dolorose cancrene che spesso portavano ad
amputazioni eseguite in modo doloroso e stravaganze per mancanza di
attrezzature sanitarie e medicinali Nella tarda primavera del 1944 con l’inizio
dell’estate queste epidemie sembravano attenuarsi quando si palesò un’latra grave minaccia che sfocio nell’ennesima tragedia. I
tedeschi, per via dell’andamento della guerra, stavano seriamente pensando nel
luglio 1944 di evacuare la Grecia. Quindi era necessario mantenere aperte le
vie di ritirata. Questa esigenza diede avvio alla operazione “Sparviero”. Di
fronte alla offensiva tedesca le possibilità erano poche per i soldati
italiani: o consegnarsi ai tedeschi, e questa fu scelta da pochissimi elementi,
oppure raggiungere le bande partigiane operanti anche fuori della Macedonia
occidentale, infime, quella che fu la soluzione adottata dalla maggior parte
dei soldati ritirarsi sulle cime del Monte Smolikas, o mimitizzarsi nel folto
dei boschi nella speranza di non essere scoperti. I rastrellamenti tedeschi
distrussero tutti gli insediamenti ove era traccia della presenza di soldati
italiani; distrussero o requisirono i magazzini viveri e di vestiario che
incontrarono in pratica fecero tabula rasa di ogni struttura che poteva dare
ricovero. Ritirati i tedeschi, i soldati italiani che ritornarono, trovarono
tutto distrutto tanto che si cominciò a disperare per il futuro. Un altro
inverno in quelle condizioni era impossibile passarlo. Per fortuna, dopo
notizie più o meno confermate, si ebbe la certezza della ritirata tedesca. Ai
primi di novembre pochi giorni dopo la constatazione che i tedeschi si stavano
ritirando, gli uomini del T.I.M.O., sia quelli armati che quelli disarmati
iniziarono il cammino di ritorno in patria avviandosi verso la pianura tessala
ed il porto di Velos.
Giraudi traccia un ampio quadro delle
formazioni di livello plotone/compagnia o minori che operarono nelle fila della
resistenza greca. Oltre alla banda dei 18, ed al Gruppo dei 16, meritano di
essere ricordati altri gruppi che operarono con elementi partigiani come la
batteria someggiata da 75/13 del cap. Riccardi e del ten. Gattola, che combattè
aggregata alla 13a Divsione ELAS fino al disarmo., il gruppo del s.ten Giacomo
Baduini che riuscì ad aggregare oltre 200 uomini armati ed ad aggregarsi ad una
formazione dell’ELAS. [2]
I
soldati italiani in Grecia non aderenti, andavano incontro ad una sorte che in
tanti casi era dettata dal caso o da circostanze fortuite, e meritano di essere
ricordati. Come la vicenda delle due Medaglie d’Oro, il s.ten. della Guardia di
finanza Attilio Corrubia ed al tenente medico col. della Marina Militare. Il
s.ten. Corrubia era comandante del 1° plotone della 1a compagnia finanzieri di
stanza nel Peloponneso; all’indomani della proclamazione dell’armistizio riuscì
a raggiungere col suo plotone una unità
della resistenza greca, il battaglione “Elias” nei pressi di Kalavrita con il
quale combattè fino al dicembre 1943, quando per la forte pressione tedesca, il
battaglione fu sciolto ed i militari
italiani vennero inviati sulle montagne e suddivisi in diversi paesi oppure
sparsi nella campagna presso i contadini. Corrubia fu indirizzato dove era in
essere l’infermeria partigiana del battaglione “Elias” dislocato presso Arfarà
Abele. Qui incontrò il tenente medico Giuli Venticinque, anche lui datosi alla
macchia nei giorni dell’armistizio, sbancando dalla nave su cui era imbarcato
per non aderire. Il 19 gennaio 1944 durante un rastrellamento, i tedeschi,
probabilmente informati da una spia del luogo, circondarono in forze la casa
ove era posta l’infermeria e catturarono i due ufficiali italiani e quattro
greci. Portati a Aghion i due ufficiali italiani furono sottoposti a torture
nella speranza di avere dati e notizie sulle formazioni partigiane. Il 23
gennaio, dopo il risoluto atteggiamento dei due italiani che non rilevarono
nessun dato, li impiccarono nella piazza del paese. Il comportamento tenuto dai
due Martiri suscitò l’ammirazione sia della popolazione che dei tedeschi.
Un altro aspetto della Guerra di Liberazione
combattuta fuori dal territorio italiano merita di essere sottolineato. In
Grecia le forze partigiane erano composte sia da formazioni comuniste che da
formazioni monarchiche, queste sostenute dagli alleati. Verso la meta del 1944
si delineava con crescenze intensità la possibilità che all’indomani della
ritirata tedesca il fronte della resistenza, prima antitaliani, poi antitaliano
e tedesco, poi solo antitedesco no mantenesse la propria unità e sfociasse in
una vera e propria guerra fra greci. Le diverso formazioni spesso arrivarono
anche nella tarda primavera del 1944 a scontrarsi. In queste formazioni
contrapposte vi militavano dolati italiani che erano saliti in montagna. Quindi
vi era la concreta possibilità che gli italiani combattessero tra loro per una
causa a cui erano estranei. Onde evitare questa situazione la soluzione più
adotta era quella di trasferire o far raggiungere altre formazioni greche in
aree ove ancora non era iniziata la guerra civile greca, oppure vi erano solo
formazioni di una determinata parte ed assenti quella dell’altra. Un ulteriore
aggravio per i soldati italiani questo collasso del fronte della resistenza
greca; in Italia, per inciso, il fronte della resistenza rimase unito e, tranne
l’episodio di Porzus dovuto ad iniziative individuali, no in vi furono scontri
fra formazioni di diverso colore politico in seno alla resistenza italiana.
Parlare di guerra civile in Italia, se si tiene presente la situazione greca
appare quanto mai azzardato.
[1]
Giraudi G., La resistenza dei Militari Italiani
all’estero. Grecia continentale e Isole dello Jonio, cit., pag224
[2]
Giraudi
G., La resistenza dei Militari Italiani all’estero. Grecia continentale e Isole
dello Jonio, cit., pag. 248
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