I giorni dell’illusione. 7 luglio - 9 luglio 1944
Sabato 8 luglio 1944 inizia per il Corpo Italiano di Liberazione quella serie di combattimenti che poi si chiameranno “Battaglia di Filottrano”. Il generale Utili alla sera del 6 luglio, dopo che elementi del XV battaglione avevano raggiunto quota 189 a sud est di Filottrano, si rese conto che le posizioni di Filottrano erano presidiate in forze dai Tedeschi, in quanto le medesime costituivano un eccellente appiglio tattico. Il centro del paese, costruito con mura singolarmente massicce, dominava ogni possibile via di accesso; inoltre due postazioni avanzate sullo sperone di Tornasano e su quello delle Grazie, permettevano ai Tedeschi di organizzare la difesa convenientemente in profondità. Era necessario conquistare Filottrano nel quadro generale delle operazioni tendenti alla occupazione di Ancona, ovvero si trattava, secondo Utili, di disarticolare un sistema di resistenze ritardatrici che si appoggiavano alla linea dei grossi abitati dominanti di qua del Musone. Appare quanto mai ovvio, che senza la conquista di Filottrano, l’azione aggirante che il Corpo Polacco attuerà dalla mattina del 17 luglio, partendo da posizioni antistanti Casenuove di Osimo, non sarebbe stata possibile.
Il concetto
operativo di Utili, dopo che era stato accertato che era troppo difficile
attaccare da sud lungo lo sperone dell’Imbrecciato, prevedeva che il 183° Reggimento
fanteria, con il XV battaglione in primo scaglione, ed il XVI battaglione in
secondo scaglione, avrebbero attaccato da est, a cavallo della rotabile
Villanova-Filottrano; nel contempo il XIII battaglione avrebbe svolto azione
sussidiaria da sud, lungo
Le forze
contrapposte erano, quindi, cinque battaglioni italiani di fanteria, di cui due
che avevano recentemente subito notevoli perdite e due giunti affrettatamente
nelle ultime ore, contro due battaglioni Tedeschi, con un rapporto di 2,5:1 per
la fanteria, un rapporto non sufficiente, ma accettabile per un attacco. A
parziale sostegno vi era la netta
superiorità in artiglieria, ove operavano 9 gruppi di artiglieria, polacca ed
italiana. L’azione in ogni caso era affidata alla fanteria.
Il giorno 8
luglio con inizio alle ore 6:00, per la durata di circa un’ora, l’artiglieria
iniziò un fuoco di preparazione. Alle ore 7:00 i Paracadutisti attaccarono da
est.[1]
Il generale
Utili così sintetizza l’azione:
“Per tre ore gli uomini rimasero sotto il
fuoco avanzando faticosamente. Alle 11 avevano raggiunto i margini orientali
dell’abitato. Il combattimento si trasformava in lotta di casa in casa per
snidare i nuclei nemici. Verso le 15 i Tedeschi contrattaccarono appoggiati da
semoventi. Il battaglione avanzato fluttuò lievemente; la 45a compagnia
rimaneva a caposaldo nel fabbricato dell’ospedale. Più tardi, erano quasi le
19, due compagnie di paracadutisti impetuosamente tornarono con l’appoggio di
“Scherman” polacchi. Ripresero il contatto con la 45a compagnia. A tarda sera,
quando, quasi ormai nelle oscurità, mezzi blindati nemici nuovamente vennero
innanzi, non si ritenne opportuno mantenere gli obiettivi raggiunti. I
paracadutisti lasciarono l’abitato. Al mattino sarebbero ritornati. Ma nella
notte i Tedeschi abbandonarono il paese dirigendosi verso ovest sotto la
protezione di intenso fuoco di artiglieria. All’alba del giorno 9 le pattuglie
della “Nembo” si spingevano tra le case; trovavano debole resistenza di qualche
arma automatica ritardatrice. Su Filottrano saliva il tricolore”.[2]
Per tutta la
giornata dell’8 luglio si susseguirono, violenti, i combattimenti, che videro
valore e determinazione da entrambe le parti[3], le
quali tuttavia subirono consistenti perdite: gli Italiani, cioè la “Nembo” ebbe
oltre 300 tra Caduti e feriti; si ebbero tra gli Ufficiali cinque morti e
numerosi feriti. Le perdite furono alte perché i Paracadutisti dovettero
avanzare sotto il tiro concentrato delle artiglierie e dei mortai su
contrafforti scoperti ove ogni movimento veniva seguito. Numerosi, inoltre, furono
i corpo a corpo. Anche i Tedeschi ebbero ingenti perdite, con oltre il 50% dei
presenti tra Caduti e dispersi. Lo stesso gen. Hoppe, come vedremo, lo ammette
senza riserve.
Il 12 luglio
il gen. Utili, nella sua relazione sulla battaglia di Filottrano, tra l’altro,
scrive:
“I risultati raggiunti sono al di là di ogni
aspettativa, grazie all’eroico comportamento dei paracadutisti della “Nembo”
che si sono battuti con lo spirito dei giorni migliori infliggendo al nemico
perdite gravissime e superando ogni limite di sacrificio. Gli Alleati sono
rimasti entusiasti di quanto è stato fatto dai nostri magnifici soldati che
meritano di essere additati alla riconoscenza di tutti gli Italiani” [4]
La battaglia
di Filottrano, che vide i Polacchi cavallereschi spettatori, diede credibilità
al Comando ed al Corpo Italiano di Liberazione. Fra compagni d’arme, gli Italiani
dimostrarono che sapevano fare le cose seriamente e che rischiavano lì dove si
doveva rischiare, morivano ed ottenevano risultati concreti, dimostrandosi
alleati di cui ci si poteva fidare. Ora il Corpo Italiano di Liberazione poteva
ben inserirsi con merito e con riconosciuta capacità nei piani Polacchi.
Nelle sue
memorie il gen. Hoppe riporta l’azione degli Italiani a Filottrano in modo
molto asciutto, senza fare alcun cenno della presenza dei soldati Italiani. L’8
luglio si attesta essere un'altra giornata in cui si combatte strenuamente ed
in cui il Comando polacco vuole forzare le posizioni a destra dello
schieramento tedesco, incentrate su Filottrano. In questi combattimenti, è il
commento di Hoppe, il II battaglione del 994° reggimento granatieri subisce
notevolissime perdite, riuscendo però a mantenere in generale le posizioni. La
mancanza di riserve e soprattutto la esiguità del personale sulle posizioni,
costringe il Comando tedesco a prendere la stessa decisione già presa due
giorni prima, dopo i combattimenti per tenere Osimo. Per evitare
l’annientamento totale, si decide di rettificare la linea del fronte,
arretrandola dietro il Musone, abbandonando Filottrano.
Hoppe traccia,
alla sera dell’8 luglio 1944, un quadro generale delle operazioni iniziate il 1
luglio. La sua 278a Divisione aveva superato la prova a cui era stata
sottoposta riuscendo a sostenere l’urto del II Corpo Polacco al comando del
generale Anders, costituito da truppe fresche e riposate. Il Corpo d’Armata
Polacco aveva attaccato con l’appoggio di notevoli forze aeree con la 3a e la
5a divisione ed almeno una brigata
corazzata forte di oltre 200 carri armati. Hoppe sottolinea che erano stati
distrutti 49 carri armati e 5 autoblindo, oltre a vari veicoli; 31 carri armati
erano stati distrutti da elementi Tedeschi in combattimenti ravvicinati con
Panzerfaust e Ofenrohr.
Allineandosi
con i nemici che combatteva - Britannici ed in minor parte Polacchi -, anche il
tedesco Hoppe non dedica alcuna considerazione agli Italiani del Corpo Italiano
di Liberazione. Egli si comporta come se il II Corpo Polacco fosse composto
solo da Polacchi ed i 25.000 Italiani che operavano sulla sinistra del Corpo
agli ordini di Anders, Comandante del Corpo d’Armata, non esistessero. Eppure
nelle giornate del 7-8 luglio, gli
Italiani avevano distrutto il suo II battaglione del 994° Reggimento a
Filottrano senza forze corazzate e costretto a far retrocedere l’ala destra
dello schieramento tedesco dietro il Musone. Non mette nel bilancio che i
Polacchi, con il loro attacco, avevano conquistato Loreto, Castelfidardo e
Osimo, mentre gli Italiani, pur senza i carri armati essenziali in questi
scontri, avevano conquistato Filottrano. Non è lo spirito nazionalistico che
spinge a sottolineare questo aspetto, ma sostanzialmente solo note di carattere
oggettivo. Una corretta ed imparziale valutazione dei fatti succedutisi sul
terreno non può non prenderla in considerazione. Nel 1944 gli Italiani erano
“traditori” per i Tedeschi, dei “vinti” per i Britannici e dei “compagni di
ventura” o “di sventura” per i Polacchi, anch’ essi abbandonati dai Franco-Britannici nel 1939 e
non certo ben trattati dal grande alleato Sovietico, dissanguati a Monte
Cassino, ove pagarono i tantissimi errori del Comando Alleato. Da qui deriva
l’atteggiamento di sufficienza con punte di disprezzo per gli Italiani in primo
luogo da parte dei Tedeschi ed in secondo da parte dei Britannici, nonché
comprensione dai Polacchi. Senza anticipare conclusioni, è bene iniziare a
sottolineare questi aspetti.
Ad Osimo la
popolazione, allora forse come oggi, è distante anni luce da queste tematiche.
La Guerra non è finita con la liberazione di Osimo e il dramma continua. Il
diario di
“8 luglio 1944. Siamo tutt’ora sotto il
fuoco delle cannonate tedesche! Continuiamo a vivere la tragedia iniziata otto
giorni orsono. A noi stessi pare di vivere un brutto sogno. Risentiamo della
mancanza di acqua. Dobbiamo andarla a prendere, nei momenti che si sembrano
calmi, nei pozzi giù da Barbalarga o da Fiorenzi su al Duomo. Si pensi al
sacrificio di questi viaggi fatti con il cuore in gola!
I morti ed i feriti aumentano sempre. Per
quest’ultimi più gravi, avviene il trasporto in altri ospedali di Recanati,
Loreto e Portorecanati. Oltre al persistente pericolo, manca il posto, perché
come detto precedentemente, alcuni padiglioni del nostro Ospedale sono
inabitabili, è non è più sufficiente il personale a curare tutta questa gente!
Oltre a noi, nella cantina rifugio della
sig.ra Gisella c’è la famiglia del dott. Ubaldo Cardinali e quella della
sorella prof.ssa Adinolfi, la loro abitazione al Borgo San Giacomo
completamente inabitabile. La signora del dott. Cardinali è ricoverata
all’ospedale con febbre tifoidee. In tutti siamo 17 persone, in più c’è Rirì il
cagnolino, però qualche notte siamo stati anche in 20 perché sono venuti gli
inquilini sfollati della sig.ra Gisella che al giorno stanno dai parenti. Siamo
accampati peggio degli zingari! I nostri letti sono formati da una rete,
diverse sdraie, seggiole alte e basse, sgabelli, tini capovolti
orizzontalmente, con una quantità di cuscini, coperte di tutti i generi, borse,
sciarpe e cappotti. L’umidità è tremenda specie quando dobbiamo andare in
grotta che per laggiù non è sufficiente quanto abbiamo in dosso. Per come ci
vediamo tutti infagottati da capo a piedi, sembra che tiri… la bora o che siamo
a 30 gradi sotto zero…e pensare che nelle stanze ed all’aria aperta si soffoca
dal caldo. Noi gioventù femminile e maschile ci siamo adattati nei tini.
Infatti abbiamo già i nostri posti destinati. Lucidio in un tino, Carlo
Adinolfi, Fabio e Peppino in altri tini, io con Lina e Liliana Adinolfi sopra un
coperchio da tino che a sua volta sta sopra un trono di quercia. Però i nostri
giacigli non sono duri, perché come sopra detto abbiamo i materassi, coperte e
cuscini. L’unica cosa penosa e che non possiamo allungarci per mancanza di
lunghezza dei nostri talami..e quindi dobbiamo stare sempre con le gambe grucce
chi ne soffre di più è Liliana che è molto alta e in certi momenti dice “Non ne
posso più”. Gli altri chi sulla rete, chi sulle sdraie, chi sulle seggiole con
le teste a penzoloni sobbalzando ad ogni colpo che tira, coperti e fasciati
specie in testa da sembrare tanti
cammellieri nel deserto.. La scena e quella di un ammasso di roba e di esseri
umani, più vicini a derelitti, che a persone moderne del secolo ventesimo.
Certo che chi ha gridato alla guerra, ora sta in luoghi tutt’ora sicuri e non
subisce disagi, privazioni e spaventi come noi e altri dove è passata e passa
la bufera! In questo groviglio di cose e di sentimenti, c’è qualche volta la
scenetta amena, causata naturalmente dalla gioventù. Notti or sono al bambino
Fabio è successo un piccolo incidente… I frizzi e le risate a lui dirette, con
la calda raccomandazione di non farci morire.. affogati ci hanno fatto
trascorrere una decina di minuti di buon umore! Qualche scappellotto vola,
brontolii sottovoce, discussioni di arrivi e partenze di cannonate.. (… ma non
senti che questa è partita? Ma no che questa è arrivata! Ma ancora non capisci
che quelle che arrivano si annunciano con il fischio?) (sibilo che penetra
nelle carni come ferro rovente) e così tra una risatina, un salto di paura, ed
orazioni al Signore, passano lentamente le ore! Più belli, però siamo alla
mattina! Ben in ordine, pettinati, puliti specie sul viso che l’abbiamo tutto
di nero causato dal fumo dell’acetilene o dalla striminzita candeluccia
autarchica.”
Per il Comando
Polacco, domenica 9 luglio si conclude la prima battaglia per Ancona. Il gen.
Anders, nelle sue memorie fa un primo bilancio delle azioni svoltesi dal 1 al 9
luglio 1944: la 3a Divisione Carpatica
rafforzata dalla II Brigata corazzata e dal Reggimento Lancieri di Carpazia,
dopo una serie di violenti combattimenti riuscì a raggiungere agevolmente e
conquistare Loreto e poi, scesa in pianura e risalita la vecchia strada postale
fino alle Crocette, con una convergenza ad ovest, ad occupare Castelfidardo,
per impegnare a fondo le difese tedesche attestatesi ad Osimo, che il 6 luglio
fu conquistata per abbandono delle forze tedesche minacciate di annientamento.
Sulla sinistra
la 5a Divisione di fanteria Kresowa
riuscì ad occupare le posizioni nella zona compresa tra il fiume Fiumicello e
il Musone; quest’ultimo fu superato in vari punti e furono create delle teste
di ponte, che servirono poi come base di partenza per le successive operazioni.
Secondo la valutazione di Anders l’irregolarità del terreno, prevalentemente
collinoso, determinò il frantumarsi degli scontri che si risolsero a livello
battaglione, non potendo il Corpo Polacco utilizzare tutta la sua potenzialità,
soprattutto con le forze di rottura rappresentate dai carri armati. La
determinazione tedesca a resistere e la potenza polacca determinarono la
violenza dei combattimenti, che furono molto aspri, e spesso le posizioni
cambiavano varie volte di mano nel corso della giornata. In queste circostanze
si ebbero difficoltà nell’ alimentazione logistica, in particolar modo
relativamente alle munizioni e meno ai carburanti, dovute sia all’elevato
consumo che alla distanza dei centri logistici di rifornimento. Anders cita le
azioni del Corpo Italiano di Liberazione e, correttamente, considera le forze
italiane come parte integrante del suo Corpo d’Armata, esprimendo quella
considerazione per gli Italiani sopra riportata.
I reparti avanzati del Corpo Italiano di
Liberazione, in modo graduale, furono chiamati in linea e si inserirono
nell’ala sinistra dello schieramento, sostituendo reparti della 5a Divisione Kresowa, su posizioni conquistate dai
Polacchi. Partendo da queste basi gli Italiani lanciarono un attacco verso
Filottrano, limitato al paese, che fu conquistato dopo violenti combattimenti e
sorpassato dopo che i Tedeschi, come ad Osimo, preferirono ritirarsi piuttosto
che resistere su posizioni correndo il rischio di essere annientati.
Nelle fonti
polacche[5] non si dà molta rilevanza alla
battaglia di Filottrano. Nel “Rapporto” si legge:
“Poiché le nostre truppe erano esauste per i
combattimenti ed il Corpo Italiano di Liberazione non aveva preso parte ad
alcuno scontro maggiore, il compito di prendere questa città (Filottrano
n.d.a.) di spingersi verso il fiume e di dare qui il cambio alla VI Brigata
“Lwow” fu affidato al Gruppo Italiano “Nembo”, formato da cinque battaglioni.
L’attacco contro Filottrano da parte di questo Gruppo sostenuto da vicino
dall’artiglieria della 5a Divisione Kresowa e da alcuni carri armati del 4°
Reggimento corazzato, cominciò l’8 luglio ed andò incontro a mutevole fortuna.
Al crepuscolo vennero conquistati alcuni edifici ed un cimitero, ma furono
abbandonati dalle unità italiane. Nelle prime ore del 9 luglio fu confermato
che il nemico si era ritirato dalla città. Il Gruppo “Nembo” che nel frattempo
era stato raggiunto dalla II Brigata italiana e dal Quartier Generale del Corpo
Italiano, cominciò ad avanzare lentamente ed il 10 luglio raggiunse il fiume
Musone dove rilevò
Al termine di
queste operazioni, il fronte aveva un’estensione di circa sessanta chilometri.
Per i Polacchi, quindi, la battaglia si concluse la sera del 9 luglio e, secondo la valutazione di Anders, una
volta riordinate e ammassate le truppe si erano create le condizioni per l’assalto
finale ad Ancona.
In realtà i
Polacchi non raggiunsero l’obiettivo che si erano prefissati, in quanto
conquistata Osimo, si pensava che tutto il fronte tedesco crollasse. In realtà,
invece, le pur duramente impegnate forze tedesche, con opportune rettifiche del
fronte ed evitando di essere annientate, riuscirono a tenere il fronte come da
ordini del LI Corpo d’Armata Alpino, attraverso momentanee battute di arresto e
rettifica di posizioni all’indietro, ancorché in assenza di reazioni dinamiche.
A questo punto
ci si chiede perchè Anders non attese qualche giorno per fare affluire il Corpo
Italiano di Liberazione ed attaccare con una massa di fanteria superiore. I
rapporti di forza, con l’entrata in linea del Corpo Italiano di Liberazione,
sarebbero stati di 68.000 uomini per gli alleati contro 5.000 Tedeschi, il
rapporto dell’attaccante diveniva 15 ad 1, anziché quello di 8 ad 1. Proprio questo ultimo dato potrebbe
aver indotto il Comandante Polacco a ritenere sufficienti le forze disponibili
per una rapida conquista di Ancona, cosa che non si realizzò.
Il Comando
Polacco fin dal suo inizio non redige un piano dettagliato e particolareggiato
per la conquista di Ancona in due fasi. Tutte le iniziative del Corpo Polacco
nelle Marche hanno come ultimo obiettivo la conquista del Porto di Ancona. In
queste iniziative il Corpo Italiano di Liberazione è ritenuto una forza
secondaria che deve guardare il fianco sinistro ed in zone ove i Tedeschi quasi
non sono un pericolo. Superato il Potenza ed irrigiditesi le resistenze
tedesche, probabilmente sarebbe stato opportuno rivedere il concetto d’azione
formulato un mese prima. E’ facile concludere identificando nella scarsità di
uomini e di materiali, in relazione ai compiti ed alla resistenza tedesca, le
cause che hanno determinato il mancato conseguimento dell’obiettivo di quella
che si suole chiamare la prima battaglia di Ancona.[7]
Il generale
Hoppe si poteva ritenere soddisfatto dell’andamento delle operazioni,
nonostante tutti i problemi fossero ancora sul tappeto. Si era allestita la
linea “Albert II”, intermedia, conseguente allo svolgersi degli avvenimenti tra
il 1 ed il 6 luglio. Si era constatato che, dopo l’abbandono di Osimo, il perno
centrale della difesa tedesca doveva essere arretrato; non fu trovata una migliore
soluzione che incentrarlo su quota 360, (Monte della Crescia) costituito da
colline dominanti ed ottima osservazione e tiro; ma questo non poteva
compensare le posizioni presso Casenuove e sulla strada tra Loreto e Ancona,
troppo pianeggianti e favorevolissime all’impiego di forze corazzate.
Si procedette
subito ad effettuare una ricognizione per imbastire una linea di difesa
intermedia che andava da Santa Maria Nuova, arrivava ad Agugliano sino a quota
276, due chilometri ad oriente di Gallignano e si collegava all’anello
difensivo di Ancona. Questa linea ricevette il nome di linea “Hildegard.”
Con la
cessione forzata dovuta all’azione del Corpo Italiano di Liberazione delle
posizioni di Filottrano, il fronte tedesco ora non si sviluppava oltre i venti
chilometri da difendere: il compito, peraltro, era ancora troppo pesante in
relazione alle forze disponibili; la 278a Divisione era esausta: Hoppe fu
costretto a mettere a riposo il I battaglione del 993° Reggimento, destinandolo
alla riserva divisionale, che si aggiungeva in questo compito al I battaglione
del 992 Reggimento granatieri. Il primo si era dissanguato nella difesa di
Filottrano contro gli Italiani, il secondo si era dissanguato nella difesa di
Osimo, contro i Polacchi.
Lo
schieramento non ebbe nessun mutamento e rimase quello disposto il 6 luglio.
Interessante notare che la 242a Brigata cannoni d’assalto veniva inviata con
una batteria nei pressi di Rustico, due chilometri ad occidente di Polverigi,
mentre altre due batterie venivano messe in posizione nei dintorni di Offagna.
Si dovettero integrare i residui mezzi plotoni della 1a compagnia del 278°
gruppo controcarro divisionale e le compagne controcarro reggimentali, che nel
corso dei combattimenti avevano perduto la metà dei loro pezzi.
Hoppe indica
anche le perdite, che furono quanto mai rilevanti: oltre 1800 uomini fra
Caduti, feriti e dispersi. Di questi, metà erano o Russi o “Volksdeutsche”,
cioè Tedeschi di recente annessione al Reich.
In Osimo si
comincia a respirare. Si ha una prima ripresa della normale vita sociale: la
Messa all’aperto celebrata dal Cappellano Militare Polacco, in una giornata
estiva di pieno sole ed all’aria aperta, dopo tante ore e giorni passate nel
buio e nell’umidità insalubre delle cantine e dei rifugi fu quasi un
avvenimento. Ma anche questa breve pausa doveva terminare presto. Il Comando
Polacco dovette constatare che ad Osimo operavano degli agenti a favore del
nemico; durante la notte risultarono tranciati dei fili di comunicazione;
subito vengono date disposizioni per il coprifuoco e per un severo controllo
della circolazione delle persone. La presenza di elementi ostili, come detto,
di collaboratori, opportunisti e spie a vario titolo è evidente anche per altri
motivi, tra i quali la maggiore precisione del tiro delle batterie tedesche su
obiettivi difficilmente individuabili.
Secondo una testimonianza raccolta[8], una
di queste spie, da tutti individuata, vivrà indisturbata ad Osimo fino agli
anni ottanta, circondata questa persona dal disprezzo di tutti gli abitanti, a
qualsiasi credo politico essi appartenessero.
Il diario di
“9 luglio 1944. La giornata è incominciata
relativamente calma. Qualche granata tanto per non perdere l’abitudine..ma sino
a mezzogiorno si è respirato. Questa mattina nel piazzale sotto le mura di
Boccanera è stata celebrata
Invece il pomeriggio è stato burrascoso. Il
Comando Polacco ha messo il coprifuoco. Nessuno può circolare. Sentinelle sono
ad ogni angolo di via. Questo è avvenuto perché il Comando si è accorto che dei
civili hanno tagliato i fili del loro telefono e pensano che in Osimo ci siamo
delle spie a favore dei Tedeschi. Certo quest’ultimi ci hanno fatto passare
delle brutte ore, dopo che siamo stati occupati dai Polacchi, e pensare che
tutti abbiamo avuto l’illusione che dopo presi non saremmo stati più
tormentati!.
[1] Utili U., Ragazzi in piedi!.... La ripresa dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre,
Milano, Mursia, 1979
[2] Utili U., Ragazzi in
piedi!.... La ripresa dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre, cit., pag. 202
[3] Santarelli G., La battaglia di Filottrano, Filottrano,
Cassa Rurale ed Artigiana, 1986.
[4] Utili U., Ragazzi in piedi!.... La ripresa
dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre, cit., pag. 203
[5]
Campana G. (a cura di) , Rapporto sulle operazioni del II Corpo Polacco nel settore adriatico.
Giugno-settembre 1944. La guerra nelle Marche: le battaglie di Ancona, di Loreto,
del Metauro, della Linea Gotica in un documento del Public Record Office
britannico, Ancona, Istituto regionale per la storia del movimento di
liberazione nelle Marche, 1999
[6] Ibidem
[7]
Vds. precedente nota in cui viene spiegata la riflessione che ha portato a
suddividere la Battaglia di Ancona in cinque fasi.
[8]
Testimonianza raccolta da una fonte che
preferisce rimanere non citata. Osimo, 31 gennaio 2014.
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