72 anni fa, in questi giorni di settembre si consumava la eroica resistenza della Divsione Acqui, in armi due settimane dopo la proclamazione dell'Armistizio. Il 25 settembre 1943 La Acqui cessa di combattere. La resistenza alle forze tedesche continua e in Albania, da parte della divisione Perugia a Santi Quaranta, che terminerà il 3 ottobre 1943, mentre a Lero la resistenza terminerà il 21 novembre dello stesso anno. Il ricordo di quei sacrifici è vitale per las memoria della nostra Nazione
Cefalonia
Oggi citare Cefalonia nella pubblica opinione italiana
ha un preciso significato: l’eccidio di migliaia di soldati italiani per mano
tedesca come rappresaglia e punizione per l’uscita dalla guerra, l’8 settembre
1943 da parte dell’Italiana. Cefalonia ha assunto un valore simbolico, segno di
sacrifico e dedizione alla Patria. Questo assunto è dovuto principalmente al
Presidente Ciampi che dal 2003
in poi ha voluto riportare al centro della attenzione
questo immane sacrifico dei saldati italiani, lui che ha subito, come sottotenente
autiere il dramma armistiziale in Grecia.
Ma fino a Ciampi per molti italiani Cefalonia non voleva
dire alcunché. Anzi era meglio non parlarne, per non andare fuori del
“correttamente politico”, soprattutto nell’ambito della storiografia accademica
e non. Gli stessi Reduci non preferivano parlare di questo segmento di storia
della Guerra di Liberazione e tutto rimase confinato nella memorialistica e nei
ricordi e testimonianze personali.
Come il processo Eichmann nel 1962 è servito per far
entrare nella coscienza del mondo e soprattutto europea quello che è stata non
solo la Scioah, ma anche lo sterminio del “ diverso” (gli ammalati di mente, i
diversamente abili, gli omosessuali, gli oppositori politici, gli zingari, i
testimoni di Geova, gli esseri considerati inferiori come lo erano i prigionieri russi e in genere
gli slavi ecc.), così Cefalonia rappresenta per la coscienza italiana il
sacrificio del soldato italiano che si innesta in quello relativo
all’Internamento in Germania ( Gli IMI) frutto della tragedia armistiziale.
Che cosa è successo a Cefalonia?
Isola Greca , insieme a Corfù, aveva un valore
strategico per il controllo del basso Adriatico e il Mediterraneo centrale; era
presidiata dalla Divisione di Fanteria da Montagna “Acqui”, che aveva in
organico 11.500 uomini d il relativo armamento, al comando del gen. Gandi,
assunto nel mese precedente. Il gen. Chiminello, che aveva comandato la “Acqui ” dal 1941 era stato
inviato a comandare la divisione “Perugia”, stanziata ad Argirocastro in Albania.
Entrambi saranno protagonisti della resistenza al tedesco: la “Acqui ” si arrenderà il 25
settembre, la “Perugia ”
il 3 ottobre 1943.
La notizia dell’armistizio coglie impreparati i
Comandi italiani e quello della “Acqui” non fa eccezione. Immediatamente fra i
soldati si diffonde un sollievo per la fine della guerra e si prospetta la
possibilità di un sollecito rimpatrio. Gli elementi tedeschi sull’isola, circa
300, ed i Comandi, insieme alla popolazione greca, scompaiono dalla
circolazione in attesa degli eventi. Dal comando della 11 Armata ad Atene
giunge l’ordine che, qualora i tedeschi avessero un atteggiamento di non
aggressivo gli italiani non penderanno iniziative. E’ l’inizio del dramma: si
da tempo ai tedeschi di pensare il da farsi ed organizzarsi. Il gen. Gandin
convoca nel suo ufficio gli Ufficiali del suo Comando: le soluzioni, in assenza
di ordini sono queste: passare armi e bagagli ai tedeschi, ma questa è una
soluzione che presto è accantonata, peraltro condivisa solo da alcuni; iniziare
le operazioni contro i tedeschi, cosa del resto facile in quanto il presidio
tedesco era di poco conto; questo significava prevedere una reazione tedesca
che a lungo andare sarebbe stata difficile da sostenere; rimanere inerti, in
attesa degli eventi.
Il giorno 10 i tedeschi presentarono le loro
condizioni. La divisione doveva cedere tutte le armi e consegnarsi prigioniera.
Vi sono delle garanzie per ufficiali e soldati, ma la sostanza e che i tedeschi
vogliono le armi. Il gen. Gandin convoca una riunione degli Ufficiali in
comando e la discussione diviene accesa per le diverse tendenze. Non vi è
accordo ne sulla ipotesi di arrendersi ne sulle altre. In questa clima di incertezza vengono anche
consultati i Cappellani della divisione, che nella sostanza consigliano il
generale, per evitare spargimenti di sangue, di accogliere la richiesta
tedesca. Passo tutta la giornata del 12 e alla mattina del 13, quando ormai
sembrava ineluttabile la resa, il Cap. Apollonio, nel vedere delle zattere
tedesche avvicinarsi per lo sbarco, non esitò ad aprire il fuoco. Orma il dado
era tratto. Iniziarono combattimenti intensi tra italiani e tedeschi. La “Acqui ” aveva scelto.
Dall’Albania oltre 4000 uomini avevano raggiunto Corfù, ed il comandante del
presidio, Colonnello Lusignani, resisteva con fierezza.
L’andamento delle operazioni era scontato: i tedeschi,
padroni dell’aria, attaccavano anche con l’aviazione ed avevano quasi sempre
ragione dei soldati italiani, che ne erano privi. Da notare un fatto
estremamente importante: nei primi giorni di combattimento gli Italiani
catturano circa 500 soldati tedeschi. Li trattarono come combattenti
prigionieri. Organizzarono un campo di concentramento in cui furono poste le
insegne naziste per evitare il cosiddetto
“fuoco amico”. Questi tedeschi furono rispettati; quando le parti si
invertirono, gli italiani furono massacrati.
Via via che i tedeschi ricevevano rinforzi,
procedevano e conquistavano le varie posizioni italiane. Nonostante i dispersi
aiuti chiesti all’Italia e soprattutto a Brindisi, ove si era insediato il
Comando Supremo Italiano dopo che aveva lasciato Roma, la “Acqui ” non ricevette alcun
aiuto. La resa, soprattutto per la carenza di aviazione era inevitabile. Questa
avvenne alla sera del 22 settembre, quando sull’isola non si udivano più alcun
rumore di combattimenti.
Qui iniziò la rappresaglia tedesca. Da Berlino erano
stati dati ordini precisi che tutti i soldati italiani che avessero preso le
armi entro i tedeschi o che le avessero consegnate ai partigiani dovevano essere
fucilati, in base al cosiddetto diritto statario. Questo ordine era
accompagnato dalla raccomandazione di dare un esempio, calpestando ogni
convenzione in essere. Ed Cefalonia i tedeschi commisero uno dei loro peggiori
crimini della seconda Guerra Mondiale. Fucilare soldati prigionieri, per una
coscienza di una nazione civile, non è ammissibile. Solo motivazioni di odio e
bestialità possono trasformare soldati combattenti come i tedeschi in
assassini. Quello che successe a Cefalonia rappresenta una macchia sull’onore
del soldato tedesco. Qui i nazisti centrano poco, in quanto è la Whermach che
attua questi ordini, che sono gli stessi per tutti i Balcani. Si accorgono di
quando sono caduti in basso quando, una settimana dopo, riescono ad avere
ragione della divisione “Perugia” il 3 ottobre 1943. Anche qui l’ordine è di
fucilare tutti coloro che hanno preso le armi contro i tedeschi. Ma si applica,
con la solita metodica ferocia, solo agli ufficiali, che vengono sterminati.
Sono oltre 197 gli ufficiali fucilati,
Difficile fare il calcolo delle perdite, anche in
presenza di una corrente che minimizzano la ferocia tedesca. A costo si può
rispondere che i prigionieri non si fucilano, fra nazioni civili. La presenza
dei militari italiani a Cefalonia era la seguente: Divisone Acqui a Cefalonia
11525 uomini, a Corfù 3500, giunti dall’Albania dopo l’8 settembre, 4000 uomini
per un totale di 18025 uomini. In base alle fonti disponibili negli anni
novanta i Caduti furono 5000
in conbattimento o fucilati dopo la cattura, 3000 Caduti
in mare durante il trasporto, il resto sopravissuti. In totale circa 8000
uomini. Padre Fortunato nel suo volume “Eccidio a Cefalonia” parla di 7000
fucilati. Giorgio Rochat parla
inizialmente di 6.500 caduti e 3000 caduti in mare; Semore Girgio Rochat dopo
aver avuto a disposizione i contributi dello Schreiber nel 2001 parla di 4000
Caduti in Combattimento e fucilati dopo la resa, a Cefalonis, 600-800 fucilati
dopo la resa a Corfù, 6418 Militari inviati nei campi di concentramento in Germania
di cui 1360 caduti in mare. Quindi il totale dei Caduti si attesta tra 4600 ai
4800 Caduti più i 1360 Caduti in mare. Esiste anche la tesi minimalistica che
tra i Caduti in combattimento e fucilati dopo la resa non va oltre i 1647
uomini.[1]
.
[1] Un quadro
di tutte le ipotesi dei Caduti, e deportati da Cefalonia è in Massimo Coltrinari , “Il
Caso della “Acqui a Cefalonia. Il calcolo dei presenti ed il calcolo delle
perdite al settembre 1943” ,
in “Il Secondo Risorgimento d’Italia,
Numero Speciale Cefalonia, Anno XX, n.5,
2010,Roma. Oppure su www.secondorisorgimento.it,
Rivista Anno 2010 n. 5
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