Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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martedì 29 settembre 2015

Aprilia Elisa Bonacini: la ricerca va avanti

RICERCA STORICA 
CRASH POINT BOMBARDIERE B25 USA  (19/7/1943)

IDENTIFICATO IL PUNTO D'IMPATTO
 SUL FOSSO DELLA MURATELLA (ARDEA)

 6 AGOSTO IL PRIMO SOPRALLUOGO CON I TESTIMONI OCULARI


Dopo l'accorato appello della famiglia di uno degli aviatori americani deceduti nell'impatto domani 6 agosto 2015 avverrà il primo sopralluogo nel “crash point” del B-25 con alcuni testimoni oculari del tragico avvenimento del 19 luglio 1943.
Sono trascorsi settantadue anni fa dal giorno in cui le forze aeree alleate effettuarono il primo drammatico bombardamento di San Lorenzo- Roma.
La Regia Aeronautica, la Luftwaffe e la difesa contraerei colte di sorpresa non riuscirono ad organizzare una difesa davvero efficace.
Gli statunitensi persero comunque due aerei: un B-26 del 320th BG costretto ad ammarare al largo di Nettuno ed il B-25 del 321st BG s/n 41-13211 che si schiantò al suolo “nei pressi di un ponticello” a breve distanza da Santa Palomba.
Grazie alla lodevole collaborazione di ricercatori americani tra cui Pat Scannon e del Prof. Agostino Alberti dell' “Air Crash Po” che hanno messo a disposizione la documentazione militare ed all'impegno dell'Associazione “Un ricordo per la pace” che ha effettuato le ricerche locali nel territorio di Pomezia- Ardea è stato trovato il punto d'impatto sul fosso della Muratella (Ardea).
Sono già stati identificati nei giorni scorsi anche alcuni testimoni oculari allora tredicenn del tragico avvenimento, i che presenzieranno al sopralluogo.
Attraverso la disponibilità del Sig. Marco Ballini che utilizzerà una sofisticata strumentazione metal-detector, saranno cercati domani eventuali resti del bombardiere; è molto probabile che nel terreno possano essere presenti alcuni resti degli aviatori.
La famiglia statunitense attende con trepidazione il responso del primo sopralluogo.
Se verrà confermato il “crash point” del B-25 , sarà fatta opportuna comunicazione all'Ambasciata Statunitense che valuterà se intervenire con particolari escavatori nella ricerca dei poveri resti.


LE FASI DELLA RICERCA

Il giorno 22 giugno 2015 il Sig. Antonio Iovino Pres dell' A.A.A. di Aprilia conoscendo la mia passione per le ricerche locali sulla seconda guerra mondiale, mi inoltrava la e-mail del Prof Agostino Alberti :

Il 19 luglio 1943, nel corso delle operazioni che portarono al primo bombardamento aereo su Roma, venne abbattuto un bombardiere bimotore B-25C Mitchell appartenente al 321st BG.
Il velivolo si schiantò al suolo nei pressi di Santa Palomba, con la morte di tutto l'equipaggio.
Sono stato contattato da amici statunitensi che curano il sito del 57th Bomb Wing i quali a loro volta sono stati interpellati da Mr. Pat Scannon, membro di una associazione che si occupa di ricerche relative ai caduti americani durante la Seconda Guerra Mondiale.
Gli americani vorrebbero sapere esattamente DOVE cadde quel B-25.
Ho interpellato, un mese fa, Comune, biblioteca, CC di Albano Laziale, al momento senza esito.
Chiedo:
Potreste aiutarmi a capire DOVE si schiantò al suolo quel bombardiere?
Cordialmente, Agostino Alberti  ”

Ofrii subito la mia collaborazione ad Alberti pensando potesse essere utile pubblicare, cosa che feci nei giorni successivi, un mio comunicato- appello sulla stampa locale ed un articolo sul Giornale del Lazio, di cui sono collaboratrice, nella seppur debole speranza di fare emergere eventuali testimoni oculari dell'avvenimento.
Contemporaneamente iniziai le ricerche nel territorio in oggetto di Pomezia- Santa Palomba che come la gran parte dell' Agro Pontino nel 1943 era coperto dai numerosi poderi dell'Opera Nazionale Combattenti concessi nel periodo fascista a famiglie provenienti in prevalenza dal nord Italia.
Un eventuale testimone del tragico avvenimento si sarebbe potuto trovare solo in quella cerchia di persone, la speranza era però di trovarne ancora alcune viventi o almeno un loro erede.
Feci una piccola ricerca in internet cercando notizie sui coloni di Pomezia - Santa Palomba.
Trovai il nominativo del Sig.Bisesti Pietro Guido Presidente Associazione Coloni Fondatori di Pomezia. Era la persona più adatta al nostro caso. Non fu facile contattarlo, poiché sulle pagine bianche risultava un omonimo, che dopo un paio di telefonate poco esaustive si rivelò essere il fratello del Bisesti che cercavo.
Il 7 luglio riuscii a parlare finalmente con il Sig. Bisesti: fu gentilissimo, nonostante un problema di salute che lo affliggeva in quei giorni.
Gli parlai della e-mail di Alberti, raccontandogli i dettagli dell'impatto del B-25, così come erano emersi dalla relazione americana inviatami dall'Alberti.
Mi fece il nome di due anziani, figli dei coloni dei poderi O.N.C. ed ancora residenti nei pressi del luogo dello schianto riproponendosi di contattarli personalmente per trarne le informazioni desiderate e  riproponendosi di accompagnarmi sul posto per un primo sopralluogo.
Pssarono all'incirca due settimane, ma il malessere del sig. Bisesti non consentiva il procedere delle ricerche. Gli telefonai allora chiedendogli il nome dei due testimoni oculari entrami tredicenni nel lontano1943 : Bartolo Cimadon e Mario Morellini.

A seguire sintesi delle interviste.

 La testimonianza del Sig. Cimadon e del Sig. Morellini saranno incluse in un video- documentario dell'Associazione “Un ricordo per la pace”.


 LA TESTIMONIANZA DEI TESTIMONI OCULARI

CIMADON BARTOLO

nato nel 1930 in Iugoslavia si trasferì nella zona di Pomezia nel 1940, poiché la famiglia era affidataria del podere 2868.  Fu nell'allora suo terreno, presso il fosso delle Muratella, che precipitò il Bombardiere bimotore B- 25 USA il 19 luglio 1943.
Ricorda Cimadon : “Verso le 11 vedemmo un aereo mancante di un'ala perdere quota e piroettare nel cielo sovrastante il nostro casale , per poi precipitare a circa 900 metri del casale sul lato sinistro del ponte , praticamente nel fosso.
Vedemmo un aviatore gettarsi con il paracadute, rimanendo però impigliato nella coda dell'aereo che aveva iniziato a torcersi su se stesso, poiché privo di un'ala.
La paura fu tanta per tutti....! Una donna che abitava nel casale di un altro podere comunicante al nostro attraverso un cortile comune si mise le mani alla bocca, urlando spaventata.
Mio cognato era in casa intento nel tagliare la “cappuccia” e scappò fuori impaurito con il coltello ancora in mano.
 Sul posto accorse subito personale della milizia fascista ( milizia volontaria per la sicurezza nazionale, in acronimo MVSN) che avevano una postazione sul lato destro del fosso, nel podere confinante. Sopraggiunsero anche un gruppo di Carabinieri Reali.
Il paracadutista cadde senza vita in un podere poco distante. Il proprietario che aveva tre figli in guerra si dice che venne colto da una crisi di ira, ma venne calmato e allontanato dal corpo dell'americano, prima che potesse infierire sul cadavere.
Un altro componente dell'equipaggio precipitò distante e venne ritrovato solo dopo 8 giorni.



MARIO MORELLINI

Nato a Mercato Saraceno (Forlì) nel 1930 con la sua famiglia si trasferì in territorio pontino, affidatari del podere ONC 2874 di Pomezia.
Tredicenne assistette alla caduta del Bombardiere USA, che “proveniva dai castelli Romani” ,
Verso le 11 del 19 Luglio 1943 accorreva con numerose persone dei poderi circostanti.
Sul posto trovava una rappresentanza dei Carabinieri Reali, tra cui il Maresciallo “Tommasini” di Ardea, che non consentirono di avvicinarsi troppo ai resti dell'aereo.
Nei pressi del luogo dello schianto trovò una borsa di tela e cuoio di colore giallo che dovette dividere suo malgrado con un signore anziano del posto . Il materiale venne poi utilizzato per realizzare delle ciabatte.
Vicino al relitto dell'aereo venne trovata una scarpa femminile, per cui si sparse la voce che sull'aereo si trovasse anche una donna.

Foto B25 inviata da www.aircrashpo.com ; mappa da MACR 248 - NARA, College Park; geo-referenzazione del “crash point” da Google Maps : elaborazione immagini a cura dell'Ing. Luca Congedo (Ass. “Un ricordo per la pace”)






giovedì 24 settembre 2015

Cefalonia: i giorni della tragedia che segnano la nostra memoria


72 anni fa, in questi giorni di settembre si consumava la eroica resistenza della Divsione Acqui, in armi due settimane dopo la proclamazione dell'Armistizio. Il 25 settembre 1943 La Acqui cessa di combattere. La resistenza alle forze tedesche continua e in Albania, da parte della divisione Perugia a Santi Quaranta, che terminerà  il 3 ottobre 1943, mentre a Lero la resistenza terminerà il 21 novembre dello stesso anno. Il ricordo di quei sacrifici è vitale per las memoria della nostra Nazione


Cefalonia

Oggi citare Cefalonia nella pubblica opinione italiana ha un preciso significato: l’eccidio di migliaia di soldati italiani per mano tedesca come rappresaglia e punizione per l’uscita dalla guerra, l’8 settembre 1943 da parte dell’Italiana. Cefalonia ha assunto un valore simbolico, segno di sacrifico e dedizione alla Patria. Questo assunto è dovuto principalmente al Presidente Ciampi che dal 2003 in poi ha voluto riportare al centro della attenzione questo immane sacrifico dei saldati italiani, lui che ha subito, come sottotenente autiere il dramma armistiziale in Grecia.
Ma fino a Ciampi per molti italiani Cefalonia non voleva dire alcunché. Anzi era meglio non parlarne, per non andare fuori del “correttamente politico”, soprattutto nell’ambito della storiografia accademica e non. Gli stessi Reduci non preferivano parlare di questo segmento di storia della Guerra di Liberazione e tutto rimase confinato nella memorialistica e nei ricordi e testimonianze personali.
Come il processo Eichmann nel 1962 è servito per far entrare nella coscienza del mondo e soprattutto europea quello che è stata non solo la Scioah, ma anche lo sterminio del “ diverso” (gli ammalati di mente, i diversamente abili, gli omosessuali, gli oppositori politici, gli zingari, i testimoni di Geova, gli esseri considerati inferiori  come lo erano i prigionieri russi e in genere gli slavi ecc.), così Cefalonia rappresenta per la coscienza italiana il sacrificio del soldato italiano che si innesta in quello relativo all’Internamento in Germania ( Gli IMI) frutto della tragedia armistiziale.
Che cosa è successo a Cefalonia?
Isola Greca , insieme a Corfù, aveva un valore strategico per il controllo del basso Adriatico e il Mediterraneo centrale; era presidiata dalla Divisione di Fanteria da Montagna “Acqui”, che aveva in organico 11.500 uomini d il relativo armamento, al comando del gen. Gandi, assunto nel mese precedente. Il gen. Chiminello, che aveva comandato la “Acqui” dal 1941 era stato inviato a comandare la divisione “Perugia”, stanziata ad Argirocastro in Albania. Entrambi saranno protagonisti della resistenza al tedesco: la “Acqui” si arrenderà il 25 settembre, la “Perugia” il 3 ottobre 1943.
La notizia dell’armistizio coglie impreparati i Comandi italiani e quello della “Acqui” non fa eccezione. Immediatamente fra i soldati si diffonde un sollievo per la fine della guerra e si prospetta la possibilità di un sollecito rimpatrio. Gli elementi tedeschi sull’isola, circa 300, ed i Comandi, insieme alla popolazione greca, scompaiono dalla circolazione in attesa degli eventi. Dal comando della 11 Armata ad Atene giunge l’ordine che, qualora i tedeschi avessero un atteggiamento di non aggressivo gli italiani non penderanno iniziative. E’ l’inizio del dramma: si da tempo ai tedeschi di pensare il da farsi ed organizzarsi. Il gen. Gandin convoca nel suo ufficio gli Ufficiali del suo Comando: le soluzioni, in assenza di ordini sono queste: passare armi e bagagli ai tedeschi, ma questa è una soluzione che presto è accantonata, peraltro condivisa solo da alcuni; iniziare le operazioni contro i tedeschi, cosa del resto facile in quanto il presidio tedesco era di poco conto; questo significava prevedere una reazione tedesca che a lungo andare sarebbe stata difficile da sostenere; rimanere inerti, in attesa degli eventi.
Il giorno 10 i tedeschi presentarono le loro condizioni. La divisione doveva cedere tutte le armi e consegnarsi prigioniera. Vi sono delle garanzie per ufficiali e soldati, ma la sostanza e che i tedeschi vogliono le armi. Il gen. Gandin convoca una riunione degli Ufficiali in comando e la discussione diviene accesa per le diverse tendenze. Non vi è accordo ne sulla ipotesi di arrendersi ne sulle altre.  In questa clima di incertezza vengono anche consultati i Cappellani della divisione, che nella sostanza consigliano il generale, per evitare spargimenti di sangue, di accogliere la richiesta tedesca. Passo tutta la giornata del 12 e alla mattina del 13, quando ormai sembrava ineluttabile la resa, il Cap. Apollonio, nel vedere delle zattere tedesche avvicinarsi per lo sbarco, non esitò ad aprire il fuoco. Orma il dado era tratto. Iniziarono combattimenti intensi tra italiani e tedeschi. La “Acqui” aveva scelto. Dall’Albania oltre 4000 uomini avevano raggiunto Corfù, ed il comandante del presidio, Colonnello Lusignani, resisteva con fierezza.
L’andamento delle operazioni era scontato: i tedeschi, padroni dell’aria, attaccavano anche con l’aviazione ed avevano quasi sempre ragione dei soldati italiani, che ne erano privi. Da notare un fatto estremamente importante: nei primi giorni di combattimento gli Italiani catturano circa 500 soldati tedeschi. Li trattarono come combattenti prigionieri. Organizzarono un campo di concentramento in cui furono poste le insegne naziste per evitare  il cosiddetto “fuoco amico”. Questi tedeschi furono rispettati; quando le parti si invertirono, gli italiani furono massacrati.
Via via che i tedeschi ricevevano rinforzi, procedevano e conquistavano le varie posizioni italiane. Nonostante i dispersi aiuti chiesti all’Italia e soprattutto a Brindisi, ove si era insediato il Comando Supremo Italiano dopo che aveva lasciato Roma, la “Acqui” non ricevette alcun aiuto. La resa, soprattutto per la carenza di aviazione era inevitabile. Questa avvenne alla sera del 22 settembre, quando sull’isola non si udivano più alcun rumore di combattimenti.
Qui iniziò la rappresaglia tedesca. Da Berlino erano stati dati ordini precisi che tutti i soldati italiani che avessero preso le armi entro i tedeschi o che le avessero consegnate ai partigiani dovevano essere fucilati, in base al cosiddetto diritto statario. Questo ordine era accompagnato dalla raccomandazione di dare un esempio, calpestando ogni convenzione in essere. Ed Cefalonia i tedeschi commisero uno dei loro peggiori crimini della seconda Guerra Mondiale. Fucilare soldati prigionieri, per una coscienza di una nazione civile, non è ammissibile. Solo motivazioni di odio e bestialità possono trasformare soldati combattenti come i tedeschi in assassini. Quello che successe a Cefalonia rappresenta una macchia sull’onore del soldato tedesco. Qui i nazisti centrano poco, in quanto è la Whermach che attua questi ordini, che sono gli stessi per tutti i Balcani. Si accorgono di quando sono caduti in basso quando, una settimana dopo, riescono ad avere ragione della divisione “Perugia” il 3 ottobre 1943. Anche qui l’ordine è di fucilare tutti coloro che hanno preso le armi contro i tedeschi. Ma si applica, con la solita metodica ferocia, solo agli ufficiali, che vengono sterminati. Sono oltre 197 gli ufficiali fucilati,
Difficile fare il calcolo delle perdite, anche in presenza di una corrente che minimizzano la ferocia tedesca. A costo si può rispondere che i prigionieri non si fucilano, fra nazioni civili. La presenza dei militari italiani a Cefalonia era la seguente: Divisone Acqui a Cefalonia 11525 uomini, a Corfù 3500, giunti dall’Albania dopo l’8 settembre, 4000 uomini per un totale di 18025 uomini. In base alle fonti disponibili negli anni novanta i Caduti furono 5000 in conbattimento o fucilati dopo la cattura, 3000 Caduti in mare durante il trasporto, il resto sopravissuti. In totale circa 8000 uomini. Padre Fortunato nel suo volume “Eccidio a Cefalonia” parla di 7000 fucilati. Giorgio Rochat  parla inizialmente di 6.500 caduti e 3000 caduti in mare; Semore Girgio Rochat dopo aver avuto a disposizione i contributi dello Schreiber nel 2001 parla di 4000 Caduti in Combattimento e fucilati dopo la resa, a Cefalonis, 600-800 fucilati dopo la resa a Corfù, 6418 Militari inviati nei campi di concentramento in Germania di cui 1360 caduti in mare. Quindi il totale dei Caduti si attesta tra 4600 ai 4800 Caduti più i 1360 Caduti in mare. Esiste anche la tesi minimalistica che tra i Caduti in combattimento e fucilati dopo la resa non va oltre i 1647 uomini.[1]

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[1] Un quadro di tutte le ipotesi dei Caduti, e deportati da Cefalonia è in Massimo Coltrinari, “Il Caso della “Acqui a Cefalonia. Il calcolo dei presenti ed il calcolo delle perdite al settembre 1943”, in  “Il Secondo Risorgimento d’Italia, Numero Speciale Cefalonia, Anno XX, n.5,  2010,Roma. Oppure su www.secondorisorgimento.it, Rivista Anno 2010 n. 5

martedì 8 settembre 2015

72a ricorrenza della firma armistiziale. Idee e coerenza


FIRMATO IL 3 SETTEMBRE 1943 E PUBBLICATO L'8 SETTEMBRE SUCCESSIVO, L'ARMISTIZIO COSIDDETTO "CORTO" RAPPRESENTA LA CERTIFICAZIONE DELLA SCONFITTA DELL'ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

AGLI OCCHI DEI NOSTRI NEMICI E DEI NEUTRALI LA FIRMA DELL'ARMISTIZIO EBBE QUESTO SIGNIFICATO. L'ITALIA CHE DICHIARO' GUERRA PRIMA ALLA GRAN BRETAGNA ED ALLA FRANCIA, IL 10 GIUGNO 1940, POI VIA VIA A TUTTI I LORO ALLEATI TROVANDOSI IN GUERRA CON MEZZO MONDO.

LA FIRMA DELL'ARMISTIZIO E' LA FINE DELLA GUERRA CHE NON E' PIU, FASCISTA MA E' STATA FASCISTA
IL PARALLELO LA GUERRA FU DICHIARATA DAL FASCISMO = IL FASCISMO E' CADUTO = NOI ITALIANI NON CENTRIAMO PIU' NULLA CON LA GUERRA
FA SI CHE NON CI SENTIAMO RESPONSABILI DELLE AGGRESSIONI A FRANCIA, GRAN BRETAGNA, JUGOSLAVIA, GRECIA, ALBANIA UNIONE SOVIETICA

UN COMODO PALLIATIVO PER SOTTRASI ALLE PROPRIE RESPONSABILITA'. AVER SOTTOSCRITTO L'ARMISTIZIO NON STAVA A SIGNIFICARE CHE LA CLASSE POLITICO-MILITARE CHE AVEVA VOLUTO DICHIARARE LA GUERRA NON DOVEVA ESSERE CHIAMATA A RISPONDERE DEI PROPRI ATTI

PROPRIO LA MANCATA "NORIMBERGA" ITALIANA E' ALL'ORIGINE DEL FALLIMENTO DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE IN QUANTO, GRAZIE A POCHI, MOLTI SI RICICLARONO  E SI SOTTRASSERO ALLE LORO RESPONSABILITA' E RIGENERARONO QUEL TORBIDO RAPPORTO TRA IDEE E COERENZA CHE FU LA ROVINA DEL FASCISMO
TROVANDOSI TUTTI DALLA PARTE DEL VINCITORE IL 25 APRILE 1945  



LA DATA ANNIVERSARIA DI OGGI, NEL RICORDO DI CHI REALMENTE SI SACRIFICO' NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE, AD INIZIARE DA RAFFAELE PERSICHETTI, CADUTO PROPRIO A PORTA SAN PAOLO, OVE OGGI IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA HA RICORDATO L'INIZIO DI QUEL TRAVAGLIO, RAMMENTI A TUTTI CHE TRA IDEE COERENZA CI DEVE ESSERE CONSEQUENZIALITA'.  CHE FU  LA MOTIVAZIONE VINCENTE DI CHI COMBATTE' LA GUERRA DI LIBERAZIONE


giovedì 3 settembre 2015

Ore 17 del 3 settembre 1943. Cassibile. La firma dell'Armistizio Corto

Alle ore 17 del 3 settembre 1943 sotto una tenda alzata negli uliveti della piana vicino all'abitato di Cassibile, nella Sicilia appena conquistata, i delegati italiani del Governo Badoglio, firmarono, dopo una complicata trattativa, l'Armistizio cosiddetto "Corto", con cui si poneva termine alla guerra fascista dichiarata il 10 giugno 1940. Era la constatazione della sconfitta, dopo 39 mesi di sconfitte in tutti i fronti. Se per gli Italiani iniziavano giorni tremendi che chiamiamo Guerra di Liberazione, per gli alleati la sconfitta di uno dei Paesi dell'Asse significò l'aggravarsi dei loro profondi dissidi in tema di come continuare a condurre la guerra.

La loro fu una strategia che, in virtù dei contrasti, ridusse il fronte italiano ad un fronte secondario, a tutto vantaggio di quello francese, con conseguenze deleterie per l'Italia, trasformata in un campo di battaglia fino al maggio 1945
F. D. Roosewelt, Presidente degli Stati Uniti


Nelle righe che seguono una nota sula genesi di questa strategia:

 La popolazione  italiana ha sempre accolto, dal settembre 1943 alla fine della guerra, le truppe alleate, a prescindere dalla loro appartenenza, con ammirazione ed entusiasmo, vedendo il loro arrivo come la fine di un incubo e l’inizio di un periodo di vita materiale e morale, migliore.
La convinzione di tutti gli Italiani, a quel tempo, era che la alleanza delle Nazioni Uniti, gli Alleati come venivano chiamati,  era solida, granitica, potente, invincibile.
In realtà, al vertice della organizzazione militare alleata, sul piano strategico, dalla fine della conquista della Sicilia e per tutta la durata della Campagna d’Italia, esistettero tra Statunitensi e Britannici profonde divergenze in tema strategico, ovvero come condurre la guerra in Europa e, conseguentemente , in Italia.

Wiston Churchill Primo Ministro britannico

Queste divergenze portarono a dolorose e significative sconfitte sul piano strettamente tattico, come l’arresto della offensiva sul Sangro, le prime tre battaglie per Cassino, e lo sbarco sul litoraneo pontino, solo per citare quelle dell’autunno 1943 – primavera 1944.[1]
Nel maggio-giugno 1944, superato l’ostacolo di Cassino e conquistata Roma, mentre le truppe alleate sbarcavano in Normandia, le divergenze strategiche in Italia fra Statunitensi e Britannici, molto gravi fino a quel momento, raggiunsero il massimo. Il pomo della discordia consisteva nella attuazione, o meno, della operazione “Anvil”, ovvero lo sbarco nel sud della Francia, in sostegno e supporto a quello che era già stato effettuato con successo in Normandia. Per “Anvil” i quesiti a cui si doveva rispondere erano:  deciso lo sbarco, quante forze vi si dovevano impiegare? Da dove si dovevano prendere queste forze? Chi avrebbe alimentato le successive operazioni di penetrazione in profondità? La risposta a questi interrogativi non facevano che acuire i contrasti fra i due Stati Maggiori, contrasti che erano la diretta conseguenza delle differenti vedute strategiche tra gli  Alleati.
Gli Statunitensi, un volta che l’Italia era stata sconfitta e costretta ad uscire dalla guerra, settembre 1943, e resisi gli Alleati padroni delle rotte del Mediterraneo, non ritenevano utile impegnare ulteriori forze nel scacchiere italiano. Essi rimanevano, in tema di strategia, fermi alla loro convinzione che, per conseguire la vittoria finale, ci si doveva concentrare sull’obiettivo principale, perseguirlo con il massimo della concentrazione degli sforzi nel momento e nel punto decisivo, limitando al massimo, se non per operazioni diversive, di inganno e sussidiarie, ogni operazione su obiettivi collaterali. Questa strategia era direttamente discendente dalla loro politica che voleva essere distante da quello che loro consideravano antiquati poteri politici europei e vedevano con diffidenza e circospezione il colonialismo britannico in tutte le sue forme. In più non volevano essere coinvolti in operazioni nel centro Europa né tantomeno nell’Europa Orientale, impegno che consideravano solo un sperpero di risorse e di vite umane. Il loro desiderio era quello di terminare il più velocemente possibile la guerra in Europa e concentrarsi totalmente contro il Giappone.


Il Comandante della V Armata USa in Italia gen. Clark

I Britannici, di contro, adottavano anche in questa guerra la loro tradizionale strategia indiretta e pragmatica, ovvero, per le operazioni terrestri, la strategia del Debole verso il Forte. Era una strategia che aveva dato, al momento in cui la Gran Bretagna era stata chiamata a combattere potenze continentali, copiosi frutti, primi fra tutti la vittoria su Napoleone un secolo mezzo prima. Partendo dal principio che la Gran Bretagna non aveva forze terrestri paragonabili a quelle della Germania, la Gran Bretagna riteneva necessario ed utile attaccare la periferia della potenza nemica, cioè tedesca, cercare di creare discordie fra la coalizione nemica (l’Asse italo-tedesco), porre il blocco navale[2] ed attenderne gli effetti; intensificare i bombardamenti aerei, minare il fronte interno nemico, evitare ogni scontro diretto di vaste proporzioni in cui si sarebbero arrischiate le relativamente poche forze terrestri; tutto in attesa di assestare, al momento e luogo opportuno, il colpo risolutivo finale, che avrebbe dato la vittoria. Questa strategia era anche in gran parte giustificata dal ricordo ancora vivissimo della carneficina della Prima Guerra Mondiale, il cui solo pensiero faceva abortire ogni progetto di attacco diretto.
Con l’uscita dell’Italia dalla guerra, e severamente impegnata dalla Unione Sovietica, la Germania stava iniziando a cedere; basta attendere il momento opportuno e la vittoria sarebbe stata conseguita. Non erano necessari sbarchi in Francia: tutte le forze dovevano essere tenute in Italia, da cui, crollata la Germania, sarebbero state indirizzate su Vienna ed il centro Europa a fermare e contrastare l’avanzata sovietica.
Lo scontro tra queste due opposte visioni strategiche era costante. Nel giugno 1944, quando conquistata e superata Roma, e le truppe Alleate entravano nelle Marche, si avvicinava sempre più il momento di decidere. I termini del problema strategico-operativo erano chiari: o proseguire speditamente verso Nord e, superati gli Appennini, arrivare alle Alpi, avendo conquistato la Pianura Padana, oppure destinare le migliore forze presenti in Italia alla operazione “Anvil”, cioè lo sbarco in Provenza, sottraendole naturalmente al fronte italiano. La disputa su questi termini, aggravata dal fatto che le forze sottratte al fronte italiano dovevano essere sostituite e si balenava quello che i Britannici non volevano nemmeno prendere in considerazione, ovvero armare ed equipaggiare forze italiane, alterava ed avvelenava tutti i rapporti fra Alleati. La disputa su questa questione e le decisioni conseguenti avrebbero condizionato le operazioni in Italia nell’estate 1944 ed anche dopo.[3]


[1] Questi temi sono stati dibattuti al convegno “Gli Alleati da Salerno ad Anzio” tenutosi il 24 gennaio 2004 alla sala delle Conchiglie di Villa Adele ad Anzio organizzato dalla Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di Liberazione (A.N.R.P., coordinato e presieduto dal Prof. Enzo Orlanducci.)
[2] In campo marittimo la Gran Bretagna attuava la strategia del Forte verso il Debole, con l’obiettivo finale quello di “strangolare” la potenza continentale, privandola di ogni aiuto esterno. Questa strategia, nel 1943, stava per essere messa fortemente in crisi dall’azione dell’arma sottomarina tedesca, a un passo dal divenire vincitrice della Battaglia dell’Atlantico. La Gran Bretagna, senza gli aiuti statunitensi e quelli provenienti dal resto dell’Impero, aveva risorse per poco più di un mese di sopravvivenza.
[3] Il famoso e quanto mai discutibile messaggio del Comandante in Capo del XV Gruppo di Armate in Italia, Maresciallo Alexander al movimento di Resistenza nel Nord Italia nell’autunno 1944 con il quale si invitavano i “Partigiani”alla stasi invernale, ovvero a deporre le armi e ritornare a casa, ha le sue lontani e chiare origini da queste discussioni.

Tratto da M. Coltrinari "Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona", Roma, Università la Sapienza casa Editrice Nuova Cultura 2014, pag. 350 capi. I Pa. 1
 (info: www.storiainlaboratorio.blogspot.com)