ALESSIA BIASIOLO
Premessa
Nel 1940 l’Italia era entrata
nella seconda guerra mondiale attaccando la Francia. La volontà era quella di
partecipare alla guerra lampo iniziata dall’alleato tedesco, ottenendo
territori e prestigio.
Le
richieste territoriali
Decisa l’entrata nella seconda
guerra mondiale il 10 giugno 1940, a metà del luglio successivo, Mussolini
prospettava per il Paese l’annessione di Nizza e Corsica, Malta, Tunisi e una
parte dell’Algeria orientale fino al lago Ciad, comprese le miniere di ferro
dell’Ouenza; la Somalia francese e una buona area d’influenza sui Paesi
circostanti, ma anche su Grecia e Jugoslavia. Era impossibile, secondo il Duce,
porre condizioni troppo severe alla Gran Bretagna, ma di certo la Francia
avrebbe dovuto sacrificarsi in favore dell’Italia, anche senza accontentare le
mire di molti ai Ministeri italiani, che guardavano ben oltre le aspettative di
Mussolini stesso. In sostanza, però, la volontà era di imporre alla Francia una
pace punitiva, in modo da ribadire i confini e i rapporti di forza. Così
preparò il suo promemoria andando in treno a Monaco per incontrare i tedeschi
che lo fecero ragionare più a fondo. Per gli alleati, infatti, era impensabile
una pace punitiva, e questo impensierì non poco Mussolini, messo dinanzi
all’evidenza che sarebbe stato impossibile pensare ad una piena occupazione
della Francia metropolitana. Questo gli fece dubitare che i tedeschi volessero
una pace in favore della potenza militare e politica italiana nel Mediterraneo,
e i dubbi del Duce si sommarono ai timori. L’ingresso in guerra non gli avrebbe
consegnato i territori auspicati, perché gli alleati concordavano con lui, ma
era chiaro che non gradivano affatto che i presupposti si avverassero.
Il 21 giugno i tedeschi presenteranno,
infatti, ai francesi delle condizioni d’armistizio che fecero comprendere a
Mussolini che l’Italia avrebbe fatto le spese di un’inattesa volontà di
riconciliazione tra Francia e Germania per soddisfare le richieste della Spagna
di territori francesi che, quindi, non solo non sarebbero stati dati all’Italia,
o mantenuti sotto l’influenza italiana, ma che avrebbero pagato un Paese
nemmeno intenzionato ad entrare nel conflitto, dati i problemi interni a
seguito della guerra civile. Hitler non era interessato all’intervento armato
della Spagna, fedele nella politica alle esigenze nazionaliste, ma era pronto a
soddisfarla territorialmente più di quanto non volesse incrementare la
supremazia dell’alleato italiano. Il Duce si deve essere reso conto che entrare
in guerra era stato un inutile passo falso. Era chiaro che lo strapotere
europeo sarebbe stato solo tedesco, dato che gli intenti, probabilmente, erano
quelli di creare un fronte unito contro la Gran Bretagna, prossima
all’invasione. È probabile che Hitler volesse la resa o la trattativa della
Gran Bretagna, con la quale era gradito il riavvicinamento in vista
dell’avanzata antisovietica. Infatti, il Führer era propenso a diventare il
bilanciere continentale contro i sovietici e la loro politica, ponendosi come
partner solido e da ammirare sul piano politico e militare. Questo gli avrebbe
agevolato l’Operazione Barbarossa
futura.
Era naturale pertanto
l’apprensione di Mussolini dinanzi al rendersi sempre più conto che l’alleato
tedesco non voleva affatto un’Italia forte e autonoma sul piano internazionale,
con i territori ex italiani riannessi e numerose colonie in Nord Africa. La
stessa tempistica della richiesta d’armistizio presentata da Pétain prima ai
tedeschi, attraverso la Spagna, e poi agli italiani, attraverso il Vaticano,
aveva lasciato il tempo per i nazisti di organizzarsi, mentre il Duce aveva
intuito che sarebbe stata consigliabile una posizione più accondiscendente nei
confronti della Francia, per non restare isolato dietro le decisione
hitleriane. Affermerà nel 1944, tuttavia, di avere insistito con l’alleato
tedesco sulla necessità di piegare subito la Francia occupando il Nord Africa e
tutte le posizioni francesi, per fare in modo che non ci fossero possibilità di
ripresa per i cugini d’Oltralpe, fatto che si rivelerà corretto tempo dopo. In
realtà, com’ebbe ad affermare Mussolini stesso, Hitler pensava soltanto alla
necessità di marciare contro l’Unione Sovietica comunista e piena di ebrei,
tanto da sottovalutare gli affari in occidente.
Firmato l’armistizio con la
Gran Bretagna, questa si affrettava ad attaccare la flotta francese, il 3
luglio, tanto che fu grande l’indignazione in Francia per quell’atto vile, del
quale tuttavia sembra si siano perse le tracce a favore dell’atto vile soltanto
dell’Italia. L’episodio deponeva a favore di un avvicinamento della Gran
Bretagna alla Germania di Hitler in chiave dei disegni di quest’ultimo. Inoltre,
il clima francese era sempre più antibritannico e, quindi, era inevitabile che
la sfera di intenti fosse sempre più verso il nazionalismo hitleriano anche di
questa. Mussolini si rendeva ben conto del pericolo: avere la Francia vicina a
Hitler e la Gran Bretagna sua nemica, deponeva assolutamente a sfavore del
Regno d’Italia. Al 6 di luglio il Duce era convinto che i francesi si fossero
abilmente arresi con soltanto le industrie bloccate e pochi morti, in modo da
mantenere attive le proprie installazioni in vista di piani futuri: era quanto
mai convinto che si dovessero punire aspramente con i trattati di pace per
fermarli, tanto quanto non si dovevano lasciare imbarcare gli inglesi verso la
patria o i soldati francesi verso l’isola, dove si sarebbero potuti ben
riorganizzare. A questo punto Mussolini era stato più preveggente rispetto
all’alleato, dimostrando di avere osservato bene i filmini di guerra e di avere
notato che le sofferenze francesi non erano state tante da avere una nazione
agonizzante. Stava in guardia, al punto che da un lato suggeriva di occupare
subito i territori francesi, dall’altra aveva incaricato Ciano di proporre a
Hitler una pace separata con i francesi stessi. Questi la considerò
inaccettabile perché, a quel punto, gli inglesi avrebbero voluto i territori
francesi delle colonie e, quindi, avrebbero sfavorito i tedeschi e gli italiani
stessi. Insomma, una situazione affatto ben dettagliata e organizzata come si
potrebbe pensare vedendo marciare le truppe sotto l’Arco di Trionfo di Parigi.
Anche con la discussione delle clausole dell’armistizio era chiaro che i
tedeschi non avessero ben nitide né le proprie istanze verso la Francia, né il
piano d’azione politico-militare verso il Mediterraneo. Mussolini era convinto
che i francesi tentassero di aggirare la fase sfavorevole sul piano militare
non considerandosi vinti, com’ebbe a scrivere a Hitler il 24 agosto 1940, e,
cercando di non dare nell’occhio mentre si organizzavano per fare qualcosa, tentavano
di “prendere la tessera” nazifascista sotto l’ala di Pétain. Il 19 ottobre
1940, Mussolini scriveva a Hitler, stando agli informatori, “[…] che i francesi odino l’Asse più di prima,
che Vichy e Da Gaulle si sono divise le parti e che i Francesi non si ritengono
battuti, perché […] non hanno voluto
combattere. Vichy è in contatto con Londra via Lisbona. Essi, nella loro
grandissima maggioranza, sperano negli Stati Uniti che assicureranno la
vittoria della Gran Bretagna […] non
si può pensare a una loro collaborazione. Né bisogna cercarla […]. Scartata, quindi, l’idea di una adesione
francese a un blocco continentale anti-inglese, credo tuttavia venuto il
momento per stabilire la fisionomia metropolitana e continentale della Francia
di domani, ridotta come Voi giustamente volete a proporzioni che le impediscano
di ricominciare a sognare espansioni ed egemonie”. A questo punto, Mussolini
ribadì il problema del numero, per la sua politica importante, come Hitler stesso
aveva proprio da lui imparato. Gli italiani dovevano rimpatriare dalla Francia
e i territori francesi dovevano essere ridotti anche per limitare il numero dei
francesi stessi. Solo con proporzioni numeriche non sfavorevoli, si sarebbero
garantite le sorti future del continente europeo, limitando le mire d’Oltralpe.
Il 24 ottobre seguente, Hitler incontrò Pétain, all’indomani di un suo appuntamento
dall’esito negativo con Francisco Franco; quindi il 28 Hitler incontrò
Mussolini a Firenze. Sembrava che nulla fosse cambiato, ma in realtà gli
interventi di France libre, di De
Gaulle con gli inglesi nelle colonie, la disastrosa prova militare degli
italiani in Grecia, avevano ridato fiato ai francesi di Vichy che cercavano
l’appoggio tedesco contro le richieste italiane, soprattutto di mantenere la
Corsica che nessun francese avrebbe mai voluto tornasse italiana. Sembrava
quindi evidente che la Francia tenesse volutamente la situazione instabile, con
a capo Pétain, mentre tendeva la mano a Hitler da una parte e agli inglesi
dall’altra, ancora non volendo ammettere la sconfitta, come appunto sembrava
chiaro anche ai primi del 1941. Un ammorbidimento verso la Francia fu richiesto
alla Commissione d’armistizio, quando uno dei suoi membri, Giuseppe Vitaliano
Confalonieri, era stato avvicinato da un collaboratore di Pétain per cercare di
sondare la posizione italiana nei confronti francesi. Il 13 maggio, Anfuso, il
capo di Gabinetto di Galeazzo Ciano, aveva inviato proprio a Confalonieri un
promemoria in cui ancora una volta si ribadivano le richieste italiane. Non la
Savoia, ma il Nizzardo, la Corsica, Gibuti e la Tunisia. Le basi di Tunisi si
erano rivelate indispensabili per cercare di puntare su Alessandria e Suez in
chiave antibritannica, come Mussolini aveva sempre pensato e come gli eventi
bellici avevano dimostrato in quel frangente. La piega presa era quindi di
agevolare gli accordi con la Francia. Il generale Vacca Maggiolini, capo della
Commissione d’armistizio, redasse il verbale d’incontro con il Duce del 15
agosto, nel quale sembra di leggere che Mussolini volesse, di nuovo, scindere
il problema della Francia metropolitana da quella coloniale, dimostrando di
avere ben chiara la situazione anche rispetto alle popolazioni vallone,
fiamminghe, olandesi, eccetera. Non passarono che venti giorni prima che
Mussolini desse a Vacca Maggiolini l’incarico di non trattare con i francesi
nei termini morbidi previsti poc’anzi. Si trattava, ormai, di aspettare la
primavera o l’estate 1942, quando i tempi sarebbero stati più idonei a fare
capire che non si trattava di Vichy o di ammorbidimenti: la Germania avrebbe
chiuso la partita con l’Unione Sovietica e quindi tutto sarebbe stato più definito.
(La II Parte sarà pubblicata il 30 settembre 2020)
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