Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

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lunedì 21 settembre 2020

La Guerra Breve dell'Italia Prima Parte

 



ALESSIA BIASIOLO

Premessa

Nel 1940 l’Italia era entrata nella seconda guerra mondiale attaccando la Francia. La volontà era quella di partecipare alla guerra lampo iniziata dall’alleato tedesco, ottenendo territori e prestigio.

Le richieste territoriali

Decisa l’entrata nella seconda guerra mondiale il 10 giugno 1940, a metà del luglio successivo, Mussolini prospettava per il Paese l’annessione di Nizza e Corsica, Malta, Tunisi e una parte dell’Algeria orientale fino al lago Ciad, comprese le miniere di ferro dell’Ouenza; la Somalia francese e una buona area d’influenza sui Paesi circostanti, ma anche su Grecia e Jugoslavia. Era impossibile, secondo il Duce, porre condizioni troppo severe alla Gran Bretagna, ma di certo la Francia avrebbe dovuto sacrificarsi in favore dell’Italia, anche senza accontentare le mire di molti ai Ministeri italiani, che guardavano ben oltre le aspettative di Mussolini stesso. In sostanza, però, la volontà era di imporre alla Francia una pace punitiva, in modo da ribadire i confini e i rapporti di forza. Così preparò il suo promemoria andando in treno a Monaco per incontrare i tedeschi che lo fecero ragionare più a fondo. Per gli alleati, infatti, era impensabile una pace punitiva, e questo impensierì non poco Mussolini, messo dinanzi all’evidenza che sarebbe stato impossibile pensare ad una piena occupazione della Francia metropolitana. Questo gli fece dubitare che i tedeschi volessero una pace in favore della potenza militare e politica italiana nel Mediterraneo, e i dubbi del Duce si sommarono ai timori. L’ingresso in guerra non gli avrebbe consegnato i territori auspicati, perché gli alleati concordavano con lui, ma era chiaro che non gradivano affatto che i presupposti si avverassero.

Il 21 giugno i tedeschi presenteranno, infatti, ai francesi delle condizioni d’armistizio che fecero comprendere a Mussolini che l’Italia avrebbe fatto le spese di un’inattesa volontà di riconciliazione tra Francia e Germania per soddisfare le richieste della Spagna di territori francesi che, quindi, non solo non sarebbero stati dati all’Italia, o mantenuti sotto l’influenza italiana, ma che avrebbero pagato un Paese nemmeno intenzionato ad entrare nel conflitto, dati i problemi interni a seguito della guerra civile. Hitler non era interessato all’intervento armato della Spagna, fedele nella politica alle esigenze nazionaliste, ma era pronto a soddisfarla territorialmente più di quanto non volesse incrementare la supremazia dell’alleato italiano. Il Duce si deve essere reso conto che entrare in guerra era stato un inutile passo falso. Era chiaro che lo strapotere europeo sarebbe stato solo tedesco, dato che gli intenti, probabilmente, erano quelli di creare un fronte unito contro la Gran Bretagna, prossima all’invasione. È probabile che Hitler volesse la resa o la trattativa della Gran Bretagna, con la quale era gradito il riavvicinamento in vista dell’avanzata antisovietica. Infatti, il Führer era propenso a diventare il bilanciere continentale contro i sovietici e la loro politica, ponendosi come partner solido e da ammirare sul piano politico e militare. Questo gli avrebbe agevolato l’Operazione Barbarossa futura.

Era naturale pertanto l’apprensione di Mussolini dinanzi al rendersi sempre più conto che l’alleato tedesco non voleva affatto un’Italia forte e autonoma sul piano internazionale, con i territori ex italiani riannessi e numerose colonie in Nord Africa. La stessa tempistica della richiesta d’armistizio presentata da Pétain prima ai tedeschi, attraverso la Spagna, e poi agli italiani, attraverso il Vaticano, aveva lasciato il tempo per i nazisti di organizzarsi, mentre il Duce aveva intuito che sarebbe stata consigliabile una posizione più accondiscendente nei confronti della Francia, per non restare isolato dietro le decisione hitleriane. Affermerà nel 1944, tuttavia, di avere insistito con l’alleato tedesco sulla necessità di piegare subito la Francia occupando il Nord Africa e tutte le posizioni francesi, per fare in modo che non ci fossero possibilità di ripresa per i cugini d’Oltralpe, fatto che si rivelerà corretto tempo dopo. In realtà, com’ebbe ad affermare Mussolini stesso, Hitler pensava soltanto alla necessità di marciare contro l’Unione Sovietica comunista e piena di ebrei, tanto da sottovalutare gli affari in occidente.

Firmato l’armistizio con la Gran Bretagna, questa si affrettava ad attaccare la flotta francese, il 3 luglio, tanto che fu grande l’indignazione in Francia per quell’atto vile, del quale tuttavia sembra si siano perse le tracce a favore dell’atto vile soltanto dell’Italia. L’episodio deponeva a favore di un avvicinamento della Gran Bretagna alla Germania di Hitler in chiave dei disegni di quest’ultimo. Inoltre, il clima francese era sempre più antibritannico e, quindi, era inevitabile che la sfera di intenti fosse sempre più verso il nazionalismo hitleriano anche di questa. Mussolini si rendeva ben conto del pericolo: avere la Francia vicina a Hitler e la Gran Bretagna sua nemica, deponeva assolutamente a sfavore del Regno d’Italia. Al 6 di luglio il Duce era convinto che i francesi si fossero abilmente arresi con soltanto le industrie bloccate e pochi morti, in modo da mantenere attive le proprie installazioni in vista di piani futuri: era quanto mai convinto che si dovessero punire aspramente con i trattati di pace per fermarli, tanto quanto non si dovevano lasciare imbarcare gli inglesi verso la patria o i soldati francesi verso l’isola, dove si sarebbero potuti ben riorganizzare. A questo punto Mussolini era stato più preveggente rispetto all’alleato, dimostrando di avere osservato bene i filmini di guerra e di avere notato che le sofferenze francesi non erano state tante da avere una nazione agonizzante. Stava in guardia, al punto che da un lato suggeriva di occupare subito i territori francesi, dall’altra aveva incaricato Ciano di proporre a Hitler una pace separata con i francesi stessi. Questi la considerò inaccettabile perché, a quel punto, gli inglesi avrebbero voluto i territori francesi delle colonie e, quindi, avrebbero sfavorito i tedeschi e gli italiani stessi. Insomma, una situazione affatto ben dettagliata e organizzata come si potrebbe pensare vedendo marciare le truppe sotto l’Arco di Trionfo di Parigi. Anche con la discussione delle clausole dell’armistizio era chiaro che i tedeschi non avessero ben nitide né le proprie istanze verso la Francia, né il piano d’azione politico-militare verso il Mediterraneo. Mussolini era convinto che i francesi tentassero di aggirare la fase sfavorevole sul piano militare non considerandosi vinti, com’ebbe a scrivere a Hitler il 24 agosto 1940, e, cercando di non dare nell’occhio mentre si organizzavano per fare qualcosa, tentavano di “prendere la tessera” nazifascista sotto l’ala di Pétain. Il 19 ottobre 1940, Mussolini scriveva a Hitler, stando agli informatori, “[…] che i francesi odino l’Asse più di prima, che Vichy e Da Gaulle si sono divise le parti e che i Francesi non si ritengono battuti, perché […] non hanno voluto combattere. Vichy è in contatto con Londra via Lisbona. Essi, nella loro grandissima maggioranza, sperano negli Stati Uniti che assicureranno la vittoria della Gran Bretagna […] non si può pensare a una loro collaborazione. Né bisogna cercarla […]. Scartata, quindi, l’idea di una adesione francese a un blocco continentale anti-inglese, credo tuttavia venuto il momento per stabilire la fisionomia metropolitana e continentale della Francia di domani, ridotta come Voi giustamente volete a proporzioni che le impediscano di ricominciare a sognare espansioni ed egemonie”. A questo punto, Mussolini ribadì il problema del numero, per la sua politica importante, come Hitler stesso aveva proprio da lui imparato. Gli italiani dovevano rimpatriare dalla Francia e i territori francesi dovevano essere ridotti anche per limitare il numero dei francesi stessi. Solo con proporzioni numeriche non sfavorevoli, si sarebbero garantite le sorti future del continente europeo, limitando le mire d’Oltralpe. Il 24 ottobre seguente, Hitler incontrò Pétain, all’indomani di un suo appuntamento dall’esito negativo con Francisco Franco; quindi il 28 Hitler incontrò Mussolini a Firenze. Sembrava che nulla fosse cambiato, ma in realtà gli interventi di France libre, di De Gaulle con gli inglesi nelle colonie, la disastrosa prova militare degli italiani in Grecia, avevano ridato fiato ai francesi di Vichy che cercavano l’appoggio tedesco contro le richieste italiane, soprattutto di mantenere la Corsica che nessun francese avrebbe mai voluto tornasse italiana. Sembrava quindi evidente che la Francia tenesse volutamente la situazione instabile, con a capo Pétain, mentre tendeva la mano a Hitler da una parte e agli inglesi dall’altra, ancora non volendo ammettere la sconfitta, come appunto sembrava chiaro anche ai primi del 1941. Un ammorbidimento verso la Francia fu richiesto alla Commissione d’armistizio, quando uno dei suoi membri, Giuseppe Vitaliano Confalonieri, era stato avvicinato da un collaboratore di Pétain per cercare di sondare la posizione italiana nei confronti francesi. Il 13 maggio, Anfuso, il capo di Gabinetto di Galeazzo Ciano, aveva inviato proprio a Confalonieri un promemoria in cui ancora una volta si ribadivano le richieste italiane. Non la Savoia, ma il Nizzardo, la Corsica, Gibuti e la Tunisia. Le basi di Tunisi si erano rivelate indispensabili per cercare di puntare su Alessandria e Suez in chiave antibritannica, come Mussolini aveva sempre pensato e come gli eventi bellici avevano dimostrato in quel frangente. La piega presa era quindi di agevolare gli accordi con la Francia. Il generale Vacca Maggiolini, capo della Commissione d’armistizio, redasse il verbale d’incontro con il Duce del 15 agosto, nel quale sembra di leggere che Mussolini volesse, di nuovo, scindere il problema della Francia metropolitana da quella coloniale, dimostrando di avere ben chiara la situazione anche rispetto alle popolazioni vallone, fiamminghe, olandesi, eccetera. Non passarono che venti giorni prima che Mussolini desse a Vacca Maggiolini l’incarico di non trattare con i francesi nei termini morbidi previsti poc’anzi. Si trattava, ormai, di aspettare la primavera o l’estate 1942, quando i tempi sarebbero stati più idonei a fare capire che non si trattava di Vichy o di ammorbidimenti: la Germania avrebbe chiuso la partita con l’Unione Sovietica e quindi tutto sarebbe stato più definito.

(La II Parte sarà pubblicata il 30 settembre 2020)

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