Il Ritorno
1945 –1946 -1947
Prigionieri, Internati, Reduci
Pagina 2
Carissimi Soci,
vogliamo dare inizio ad una tradizione, già presente in altre Associazioni come la nostra, con la edizione di un Calendario che divulghi e, nel tempo, rapresenti, quello che è sempre in priorità assoluta il nostro scopo sociale: divulgare, far conoscere, amare il passetto e le sue bellezze naturali.
Un calendario che vuole testimoniare il nostro impegno ed il nostro amore volto a diffondere e far vivere i valori ed i significati di un tratto di storia della nostra città, che identifica e qualifica Ancona. In questo anno trascorso, anche tra le nostre file, abbiamo visto l’affiorare di situazioni che potremmo definire “di stupore”, in qualche cosa anche di segno contrario. Appare veramente strano che i primi contrasti che si incontrano nel voler diffondere e far conoscere il Passetto nascono proprio li dove ti aspetti una attività di propulsione, di spinta, di voglia di fare. Molte iniziative perdono il proprio slancio perché non trovano in chi te li aspetti quell’entusiasmo, quella voglia di realizzare, che è la condizione prima per ogni futuro successo, e che qualifica una Associazione di cultura e di volontariato come la nostra. Di contro, abbiamo visto l’entusiastica partecipazione di giovani, di studenti, di meno giovani, di anziani, che veramente rincuora alle nostre iniziative. Niente di eccezionale, a dire il vero, ma sempre iniziative volte a far amre, apprezzare e a rendere il più godibile, nel suo equilibrio e nel suo ecosistema, il Passetto. Questa bella realtà ha generato ulteriori sorprese. Ha stimolato molti di noi, ormai scivolati verso l’apatia intellettuale, verso uno stanco attendere, verso un oblio dovuto alle mille disillusioni. Uno stimolo, una spinta che ci ha portato una ventata di voglia di continuare a fare. Molto spesso da noi parte lamentele di ogni risma e di ogni natura che spesso ci fa richiudere su noi stessi e di contro consegna il Passetto all’oblio. Accanto all’altra lamentela cronica, quella della mancanza di iniziative, di risorse, la frase tipica è “non ci sono i fondi”, giustifichiamo il nostro non fare, il nostro attendismo, peggio, in alcuni, la nostra mascherata ideologia di andare contro tutti quei valori che il sano vivere civico impone..
E’ una realtà a luci ed ombre, che occorre ben tenere presente se si vuole ancora dare un senso nel vivere la nostra città, Ancona, da Anconetani
a cerimonie come quella di oggi a Montelungo, o quella di Porta San Paolo, o a Poggio Rusco, Filottrano, Finale Emilia. Una realtà, che vista in chiave positiva, ci permette di continuare a svolgere la nostra attività associativa e a diffondere ed illustrare i valori, già accennati, della Guerra di Liberazione. Noi abbiamo avuto la fortuna di vedere il crollo del muro di Berlino e con esso l’implosione della Unione Sovietica. Con questo eventi epocale è finito lo scontro ideologico tra est ed ovest, che aveva ingessato, all’indomani della fine della guerra, tutte quelle aspettative di rinnovamento che la Guerra di Liberazione aveva generato. Abbiamo la possibilità di attuale, senza vincoli ideologici, una società libera dalla mistificazione, dall’imbroglio morale, dalla lotta contrapposta di parte che è sterile e non crea una società futura migliore. Le speranze che sono state riaccese qui a Montelungo in quel ormai lontano 1943 possono realizzarsi se riusciamo a porre al centro di ogni nostra azione il superiore interesse della Patria, intesa come una collettività ove onestà intellettuale e morale, tolleranza, e spirito di sacrificio siano assi portanti del nostro vivere quotidiano. Sono parole quasi utopistiche, vedendo quanto sia già difficile agire e realizzare in seno alla nostra Associazione, ma davanti a queste tombe ragionare in termini ampi non solo rappresenta una necessità, ma anche un dovere.
Con queste parole, nel ricordo dei nostri Caduti, porgo ad ognuno di voi, Cari Soci, ai vostri familiari i più sinceri auguri di un sereno Natale e un felice Anno nuovo.
Montelungo, 8 dicembre 2006 Sen. Gen. Luigi Poli
In Copertina:
Foto: Linea Ferroviaria Brennero-Verona. Una tradotta in osta in attesa di riprendere il viaggio verso Verona. Sul carro ferroviario, scritte di Internati Militari Italiani inneggianti al ritorno a casa, dopo la lunga sofferenza nel lager germanici. Maggio 1945.
Il Calendario è stato realizzato da Massimo Coltrinari, Alberto Marenga, Agostina Brugiavini.
Ricerche iconografiche e testi Laura Coltrinari e Massimo Coltrinari
Il Calendario è ceduto ai Soci e a chi ne fa richiesta . Si richiede un contributo alle spese forfetario ( minimo di 15 euro; se, possibile di più), da versare sul conto corrente postale 37885209 intestato al Direttore responsabile di “II Risorgimento d’Italia”, Prof. Sergio Pivetta Via Crivelli 20 20122 Milano con la dicitura ”Versamento straordinario e forfetario per Calendario 2007.”
Fonti: Le fotografie, le cartine i disegni e parte dei testi sono stati tratti da:
Schreiber G., I Militari Italiani Internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943 -1945, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'esercito, ufficio Storico, Roma, 1992; Kazimier Smolen, Il Museo di Oswiecim, Oswieciem, Edizioni Museo Statale di Oswieciem, 2006; Pietro Vaenti, Il Ritorno dai Lager, Cesena, Società Editrice 2Il Ponte Vecchio, 1995; Patria Indipendente, Anno LV, N. 2, 19 Febbraio 2006.; Massimo Coltrinari, Enzo Orlanducci, I prigionieri Militari Italiani degli Stati Uniti nella seconda Guerra Mondiale, Roma, Edizioni A.N.R.P., 1996., Renato Sicurezza, I Prigionieri e gli Internati Italiani nella seconda guerra mondiale, Roma, Edizioni A.N.R.P., 1995
Pagina 3
Una piazza della Germania. Al momento della resa tedesca nel maggio del 1945 l’Europa era un mare di rovine, non solo materiali, ma soprattutto morali. In queste macerie, cercavano di sopravvivere i sopravvissuti alla guerra. La liberazione, in questo clima, non significava un ritorno immediato. Tutti coloro che per le vicende belliche erano stati allontanati dalla propria patria, dal proprio paese, fra mille difficoltà, cercavano di ritornare alle loro case.
In basso: figura di Internato.
L’Organizzazione per il l’Assistenza ai Reduci 1944-1947
Con il trattato di pace firmato il 10 febbraio 1947 a Parigi l’Italia chiudeva definitivamente la difficile pagina aperta con la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 che l’aveva portata a combattere con tutti i paesi del mondo. Fino all’8 settembre 1943, l’Italia aveva combattuto contro le Nazioni Unite; a queste aveva chiesto l’armistizio e dal 13 ottobre 1943 aveva dichiarato guerra alla Germania, ex alleata, e a tutti i paesi della coalizione hitleriana. Il 25 aprile 1945, con la sollevazione popolare del Nord Italia, hanno termine i combattimenti e praticamente la guerra con la sconfitta dell’Esercito tedesco in Italia. Da quella data si cerca, fra difficoltà di ogni sorta, di riprendere una vita normale. In questo sforzo il ritorno a casa di tutti coloro che sono stati travolti dalla guerra, rappresenta un momento fondamentale e qualificante. Significa ripristinare la normale vita familiare, dare una dimensione utile alla famiglia, in cui, dopo le paure, gli orrori, i lutti e le crudeltà della guerra, si ricompongono gli affetti e la voglia di vivre ed affrontare il futuro.
Sin dai primi mesi del 1944, il Governo del Sud, in relazione al problema dei profughi civili, e poi dei prigionieri di guerra, aveva istituito:
L’Alto Commissariato per i Prigionieri di Guerra, con decreto-legge 6 aprile 1944, che doveva sovrintendere allo stato, trattamento impiego ed assistenza dei prigionieri di guerra “sino all’atto del loro rimpatrio”
L’Alto Commissariato per l’Assistenza dei Profughi di Guerra, con decreto-legge 29 maggio 1944, che era destinato a trattate le materie “nei confronti dei civili profughi di guerra internati e deportati in conseguenza di eventi bellici.
L’Alto Commissariato per i Reduci, con decreto-legge 1 marzo 1945 n. 110, per occuparsi dei reduci al momento del loro collocamento in congedo.
Nell’ottobre 1944, allorché l’andamento della guerra stava autorizzando a pensare che si poteva profilare un inizio di rientro dei militari reduci dalla Prigionia e dall’Internamento, si affrontò il tema di come mettere sul campo le attrezzature necessarie e chi vi dovesse provvedere.La Presidenza del Consiglio, preso atto che gli Alleati intendevano che l’Esercito si dovesse disinteressare a questo problema, in quanto gli Alleati non intendevano distrarre dalla loro organizzazione logistica e in parte operativa, alcun elemento italiano, decise di dare mandato al Sottosegretario alla Guerra di predisporre un piano per l’accoglimento dei Reduci, in accorto con i due Alti Commissariati esistenti.
Da tale piano emerse e fu costituito l’Ufficio Autonomo Reduci da prigionia di Guerra e Rimpatriati ( Decreto Ministeriale del 9 novembre 1944 n. 4300).
I reduci, a mano a mano che venivano restituiti alla vita civile entravano nella sfera di competenza del Ministero dell’Assistenza post-bellica, istituto con Decreto Legge del 21 giugno 1945 n. 380 e del 31 luglio 1945 n. 425. Questo Ministero sostituì ed assunse le attribuzioni dei tre Alti Commissariati istituti nel 1944.
Pagina 4 Pagina 5
Il Ritorno dei Prigionieri di Guerra. L’Inizio dell’oblio e dell’indifferenza
Soldati Italiani dietro i reticolati. Nel Momento in cui si possono prendere queste fotografie, voleva dire che era giunto il momento della Liberazione ed iniziava la fase del rimpatrio. Il momento a lungo atteso durante i lunghi mesi di prigionia. Per alcuni essa si protrasse per oltre un lustro prima di essere rilasciati e rientrare in Patria.
Carta della Organizzazione dei centri alloggi nel periodo maggio-settembre 1945. In genere i prigionieri di guerra rientravano in Italia dai porti meridionali; Internati e deportati dai centri di alloggio del nord Italia.
Una fotografia simbolica circa il rimpatrio dei prigionieri di guerra: prigionieri italiani appena liberati ospiti di una famiglia di italo-americani al farewell party prima del rientro in Italia. L’accoglienza e il rientro in famiglia rappresenta il primo passo verso il totale inserimento nel tessuto sociale dopo l’esperienza della prigionia.
Con l’Armistizio dell’8 settembre 1943, in linea teorica tutti i prigionieri di guerra italiani in mano alle potenze alleate dovevano essere rilasciati ed avviati in Italia. Così non fu. Il rilascio dei prigionieri iniziò già in Sicilia nell’estate del 1943 ( ne furono rilasciati sulla parola 65.000) ma i veri e propri rimpatri iniziarono nell’estate del 1945.
I prigionieri in mano agli Stati Uniti ammontavano a 124.000, in campi di concentramento in Nord Africa, negli Stati Uniti e nelle Haway; in mano alla Gran Bretagna 408 500, in campi di concentramento in Nord Africa, in Medio Oriente, in Kenya, in Sud Africa, in India, a Cylon, in Australia e nello stesso territorio metropolitano, in Gran Bretagna; in mano alla Unione Sovietica si supponeva un numero di 80-100 Uomini, tutti provenienti dall’ARMIR, In mano alla Francia Libera, circa 37.000. Il totale dei prigionieri di guerra assommava, secondo le stime del 1945, a circa 591.000
Nel periodo novembre 1944 – gennaio 1945, per i centri di Accoglienza di Castellana, Oria, Trifase, rientrarono circa 26.800 ex militari dalla Grecia e dalla Balcania, e circa 4.400 prigionieri dal Medio Oriente, dall’India e dall’Africa orientale. Attraverso il Centro di Napoli, circa 12.150 prigionieri, in mano a Francesi, Inglesi ed Americani. Nel periodo febbraio. Aprile 1945, dai centri di alloggio pugliesi transitarono 15600 reduci dalla Grecia e dalla Balcania, e 7.200 prigionieri di guerra in mano inglese. Da Napoli circa 3900 prigionieri con la medesima provenienza.
Nel periodo maggio-settembre 1945, sempre attraverso i centri meridionali, rientrano oltre 40.000 reduci dai Balcani e dalla Grecia, mentre furono messi in libertà dalle autorità Anglo-americare circa 38.000 prigionieri cooperatori che avevano prestato il loro servizio nelle Italian Service Units (ISU) Statunitensi e Britanniche. A poche migliaia ammontano i prigionieri in mano alleata.
Nel periodo ottobre dicembre 1945 rientra la gran parte dei soldati che sono nei Balcani e dalla Grecia, oltre 204.200, mentre iniziano a rientrar quelli in dagli Stati Units (22.800) dalle colonie Inglesi (21.300) .Nel trimestre successivo rientrano oltre 137.000 prigionieri in mano britannica, e dagli Stati Uniti. Da Aprile a luglio 1946 rientrano oltre 283.950 prigionieri di guerra, di cui 126.000 dall’Inghilterra (che sono sostituiti nelle loro mansioni soprattutto in agricoltura, da prigionieri tedeschi) e dal resto dell’Impero, e dagli Stati Uniti (26000). Si completano i rientri dal Nord Africa dei prigionieri in mano francese,mentre rientrano 10030 prigionieri in Mano alla URSS. In realtà dall’Unione Sovietica giugno oltre 21000 prigionieri, ma solo 10300 erano gli appartenenti all’ARMIR. Si accendono su questi rientri polemiche violentissime in quanto mancano all’appello oltre 60-70.000 soldati che si presuppone essere ancora in mano alla URSS. Si accusa la URSS di non voler restituire i prigionieri per motivi ideologici. In realtà la URSS non può restituire i soldati italiani in quanto questi sono periti durante i tragici mesi della primavera del 1943, nella più grande tragedia, la ritirata di Russia, a cui è andato incontro l’Esercito Italiano.
Con la fine del 46 e il febbraio 1947 sono stati portati a termine i rimpatri dei prigionieri dall’Inghilterra, dal medio oriente, dal Sud Africa, dal Kenya, dall’Africa Orientale e dall’Australia. Rimangono 63 ufficiali e 1115 soldati da rimpatriare dall’Jugoslavia.
Pagina 5
Pagina 6 - Pagina 7
Il Ritorno degli Internati Militari: dalla delusione al silenzio
Nelle foto sono rappresentati momenti della partenza di Militari Internati Italiani in Germania per l’Italia. I viaggi di rientro in Italia erano spesso difficili, lunghi e pieni di imprevisti. Il Punto di transito era il Brennero, e quello di prima accoglienza principale era Pescantina, vicino Verona.
Secondo lo storico tedesco Gherard Schreiber nel suo volume I Militari Italiani Internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943 -1945, l'Italia schierava, alla data dell'armistizio oltre 1 milione e mezzo di uomini; complessivamente ne sono stati disarmati 1006730, mentre i rimanenti 493.000 sono riuscite a sfuggire alla cattura tedesca, o a raggiungere la montagna, o le proprie case oppure, se all'estero, i movimenti di resistenza già attivi contro la coalizione antihitleriana.
Lo stesso Schreiber offre il seguente quadro generale di situazione sui militari italiani internati in Germania: militari italiani alle armi, oltre 1.500.000; militari italiani sfuggiti alla cattura, 493.000; militari italiani catturati, 1006.780; militari italiani sfuggiti ai tedeschi dopo la cattura, 190.000; militari italiani internati, 725.000; militari italiani che hanno aderito alla RSI dopo l'ingresso nei lager, 114.500; militari italiani considerati prigionieri ed inviati al fronte dell'est come ausiliari, 12000;militari italiani internati nei lager del III Reich e territori occupato, 598.000
La Massa degli Internati Militari in Germania rientra in Italia dal maggio al settembre 1945. In totale ammontano per questo periodo 404.500, includendo anche gli Internati, sia civili che militari, in Svizzera. Nel trimestre successivo, da ottobre al dicembre 1945 ne rientrano altri 204.600 : Nel 1946 rientrano dalla Germania a più riprese circa 25.000 Internati e con l’inizio dell’estate del 1946 si può dire che tutti gli Internati Militari Italiani in Germania sono rientrati in Patria.
Gli Internati Militari provarono una fortissima delusione al ritorno in Patria, non solo per le mancate accoglienze, ma soprattutto per un mondo ideale, quello della Patria e della famiglia, sognato nei lunghi mesi di prigionia, che alla luce della realtà, svanisce e lascia tanta amarezza.
La prima delusione è la famiglia, in quanto non gli si riconosco le sue sofferenze ( anche noi abbiamo patito tanta fame, pericoli e crudeltà); La seconda delusione sono le Autorità, che trascurano i Reduci dall’Internamento non per cattiva volontà, ma perché assillati da tantissimi problemi.
L’ex Internato si sente dimenticato da tutti quelli che lo circondano. E si rifugia in un silenzio che ancora dura. Il silenzio degli Internati ha origine negli animi: hanno vissuto una vicenda troppo lunga in condizioni di abbruttimento tali da mortificare la dignità umana. Ognuno è attanagniato dalla paura di non essere capito. Nel Lager era abbandonato da tutti: Croce Rossa Internazionale, Governo di Salò, Governo del Sud, la cui voce non viene mai avvertita. Ritornato in Patria, è ancora più solo, in un Italia, che non lo riconosce e non lo capisce.
“Per questa generazione non v’e congedo” scrisse un tipografo partigiano di Cuneo in un proclama da lui stampato ed affisso il 29 aprile 1945. Edmond Michelet che era stato a Dachau ha scritto “L’esperienza che abbiamo vissuto è indelebile. Ci ha segnati per il resto dei nostri giorni . Ne abbiamo ancora le cicatrici, non tutte visibili… Abbiamo sondato gli abissi, in noi e negli altri.” Secondo Vittorio Emanuele Giuntella “Il reticolato è restato dentro di noi nel profondo. Per questo non ci piace e lo detestiamo, anche quando indica soltanto un termine.”
Pagina 8
Al momento dell’arrivo al campo di concentramento, l’Internato veniva fotografato e schedato. Fotografie scattate al momento dell’arrivo al campo di Auschwitz.
Campo di Auschwitz, nella cittadina polacca di Oswiecim,frammento della recinzione del campo. Auschwitz, trasformato in museo, rappresenta una delle principali fonti materiche sul dramma dell’Olocausto.
Il Ritorno degli Ebrei
Si può parlare di Ritorno da parte di coloro che furono oggetto e soggetti di sistematico sterminio in tutta Europa? Le cifre dello sterminio sono eloquenti: 800.000 morti nei ghetti; 1.300.000 morti per le azioni dei Einsatzgruppen e fucilati; 2.700.000 assassinati nei centri di sterminio; 300.000 nei lager. Su un totale di 9.142.000 ebrei presenti in Europa, a seconda dei diversi criteri di calcolo, si ritiene che siano stati uccisi circa 5.100.000 ebrei, per un calcolo prudente, e 5.860.000, per un calcolo meno prudente, in una percentuale che oscilla tra il 56 e il 64% degli Ebrei presenti in Europa nel 1939.
I sopravissuti non ebbero nemmeno la gioia di ritornare in una ambiente familiare, in una propria città, nella propria comunità, essendo queste totalmente distrutte. I Italia questo fenomeno, comune all’Europa occupata dia Nazisti, si attenua. Le comunità ebraiche in Italia, nonostante le Leggi Razziali del 1938 e l’occupazione tedesca e l’azione della R.S.I., riescono a non essere distrutte, anche se la loro sopravvivenza è stata spesso legata ad un filo. Degli oltre 49.000 ebrei presenti in Italia alla vigilia del conflitto, ne periscono 8.500 nell’immane tragedia dell’Olocausto.
La comunità più colpita, forse, è quella romana, che subisce il rastrellamento el 16 ottobre 1943. degli oltre 1089 ebrei deportati, solo una dozzina riescono a ritornare. Ma sarà un ritorno amaro, che per molti significa impossibilità, dopo tutto quello che si è passato, a vivere con gli altri e per gli altri. Molti, subito dopo il ritorno o anche a distanza di tempo, come per Primo Levy e, più recentemente per Di Veroli (2006, ad 82 anni), uno dei due ultimi sopravissuti ebrei romani di Auschwitz, si suicidano. La volontà di ricordare, di non lasciare cadere nell’oblio tutto quanto è stato, rappresenta per molti un’ancora di salvezza e di volontà di vivere, che è uno dei patrimoni più ampi da conservare, per evitare il rinnovarsi degli orrori dell’Olocausto.
Pagina 9
In Alto. Il Treno. Il trasporto ferroviario rappresenta un elemento qualificante della esperienza dell’Internamento e della Deportazione. Un treno che parte per l’Italia stava a significare che iniziava veramente il ritorno, dopo l’esperienza del lager e le attese seguite alla Liberazione
A lato. Interno di una baracca ad campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau. Le condizioni di alloggio in tutti i KL erano precarie e difficili, per lo più baracche di legno, non o male riscaldate, tutte sempre sovraffollate. La descrizione del campi di concentramento e della esperienza del lager trova un “muro” di comunicazione con chi è rimasto in Italia, una incomunicabilità che contribuirà a rendere amaro il Ritorno.
Il Ritorno dei Deportati Civili – Le Conseguenze dell’Internamento e della Prigionia
Durante il periodo 1943—1945 i deportati italiani furono oltre 40000 e solamente il 10% di loro, cioè 4000 riuscirono a ritornare a casa dai campi di internamento in Germania. I Deportati Civili furono gli oppositori politici, i partigiani che non venivano uccisi sul posto, i sospettati, i semplici rastrellati per avere manodopera a basso costo necessaria allo sforzo bellico tedesco, altre persone che non possono ascriversi a categorie, che subirono l’Internamento per le più svariate cause. Il ritorno a casa fu accolto per lo più con atteggiamenti non positivi. Come esempio si può portare il ritorno a casa delle popolazioni contadine dell’altomodenese, che rastrellate e internate in Germania,in funzione antipartigiana, vissero l’Internamento come un’onta, come se fossero dei criminali, ed il ritorno vissuto con sentimenti di vergogna.
La liberazione, per i Prigionieri di guerra gli Internati Militari e i Deportati, in moltissimi casi, non fu l’anticamera del ritorno a casa. Moltissimi di loro dovettero sobbarcarsi anni di ospedale e sanatori Alleati posti in Germania, prima e poi, con il migliorare delle condizioni di salute, in Italia; in ogni caso il ritorno a casa avvenne parecchi anni dopo la fine della guerra. In molti casi il ricovero per le malattie contratte significava, nonostante le cure e le attenzioni dei medici, non farcela e morire dopo aver provato la gioia della liberazione. Comune a tutti coloro che subirono la Prigionia, l’Internamento, e la Deportazione nel decennio successivo alla liberazione, malattie cardiache, arteriosclerosi precoce, con lesioni infartuati e morti improvvise, molto più frequenti in confronto alla popolazione normale. Questi processi, nel ventennio successivo, si accentuano con invecchiamento precoce, manifestazioni neuropschiche con perdita della memoria, irritabilità, neurostemia, con notevole anticipo sul normale invecchiamento fisiologico. E’ il retaggio nel tessuto sociale che il Reduce porta con se e che non ebbe il giusto riconoscimento.
Pagina 10
A Lato.Nel mondo concentrazionario nazista non esisteva alcuna distinzione tra uomo e donna. Nella foto, selezione degli Ebrei appena giunti al campo, eseguita da medici delle SS. Pochi di loro avranno la gioia del ritorno.
In Basso La società italiana subisce, all’indomani della fine della guerra, profondi cambiamenti in tutti i settori. La partecipazione della donna alla guerra di Liberazione è la premessa del ruolo nuovo ed attivo della donna stessa nella società. L’esperienza dell’Internamento e della Deportazione contribuisce ulteriormente, attraverso il dolore, il sacrifico e le immani difficoltà all’avvio delle pari opportunità tra i sessi nel contesto sociale italiano.Il ritorno dai campi di concentramento delle Internate e delle Deportate è uno dei momenti di avvio di questo processo.
Il Ritorno delle Donne dall’Internamento
Se l’Internamento e la Deportazione è per tutti l’introduzione in un modo ignoto e capovolto rispetto a quello che di norma si conosce, l’sconvolgimento e il rovesciamento risultano totali quando ad esserne afferrato è un destino di donna. Nella nostra società alla vigilia della seconda guerra mondiale si esaltava per la donna le virtù “quotidiane”. Nessuno considerava possibile una esperienza come quella concentrazionaria, fatta di promiscuità e esposizione di corpi, di sradicamento da persone e luoghi familiari, abbruttimento e annientamento di tutto quello che può essere femminile, per le donne. Nemmeno per la donna ebrea, che proveniva da una antica storia di persecuzioni.
La liberazione dai campi di concentramento con l’inizio del ritorno fa iniziare il processo inverso di inserimento nel tessuto sociale. Chi aveva affrontato la cattura, il viaggio e il lager con uno o più familiari, malati, fragili, per l’età troppo avanzata o troppo precoce, vedendoli scomparire, si ritrova al ritorno senza altre persone amate, senza casa, senza lavoro, senza beni di fortuna. Un ritorno che è la continuazione della tragedia appena vissuta. Chi invece fu Internata o Deportata da sola, sapendo i propri cari a casa e relativamente al sicuro, ha la fortuna di rientrare nel calore degli affetti e di una esistenza sociale protetta, e per lei il ritorno è l’inizio di una nuova fase della vita più facile. In tutte, però, si alza il muro della comunicazione. Se si prova a raccontare, gli altri preferiscono che non si parli, o quanto lo permettono, mettono sullo stesso piano la propria esperienza e quella di chi ha conosciuto il lager: non capiscono, fraintendono, dubitano della veridicità, pensano a esagerazioni malate o a incubi più che a fatti reali, con sospetti e congetture che le accompagneranno per il resto della loro vita. Sono donne, quelle sopravissute che ritornano, giovani per lo più, perché le vecchie sono perite, catturate da uomini e internate in campi dirette da uomini: il corto circuito tra Internamento femminile e stupro o complicità nella violenza o cedimenti, è inevitabile. Tutto è travisato, nel ritorno, e la vera esperienza, quella effettiva non è capita da nessuno. Un ritorno che non è una liberazione, ma che per le donne sarà ancora più duro e difficile di quello degli uomini, per gli anni a venire. Ogni occasione (vedi film come”La casa delle bambole”, o “Il portiere di notte”) è buona, con favorire la nascita di sensi di colpa e di vergogna irreali, per esacerbare ulteriormente il dolore del Lager.
Pagina 11
In Alto. Sfilata di formazioni, che mostra un armamento che in montagna non avevano mai visti, dei Combattenti per la Libertà a Modena, nei giorni della Liberazione. Le formazioni partigiane consegnarono le armi e rientrarono alla vita civile ritornando alle loro famiglie, nell’estate del 1946
A Lato. I gruppi di Combattimento confluirono nel rinato esercito Italiano. Il retaggio dei loro reparti ed unità rappresenta uno dei punti salienti della tradizione nuova delle Forze Armate della repubblica.
Il Ritorno dei Reduci – Partigiani Soldati dei Gruppi di Combattimento.
La fine della Guerra e la resa tedesca, avvia la smobilitazione delle forze combattenti. Gli Eserciti Alleati rimarranno sul suolo nazionale fino agli inizi del 1947, poi anche l’ultimo soldato Alleato torna a casa.
La smobilitazione delle formazioni partigiane viene svolto nell’estate del 1945 in un clima di esaltazione collettiva, di euforia, di voglia di guardare al futuro. Il Partigiano, si sente il vincitore morale, ed anche materiale, della guerra di liberazione, e questo fa da contrappeso, anche negativo, ai Reduci della Prigionia e dell’Internamento. Ha tutta l’attenzione delle autorità ed è presente, con ruolo centrali, in tutte le cerimonie. Il suo ritorno a casa, ove anche lui trova lutti e miserie, è però permeato dalla considerazione collettiva e dall’autostima, dalla convinzione che il suo impegno ha liberato l’Italia dall’idra nazifasciste e che ora vi è la concreta possibilità di avere un Italia migliore. Il suo affatto spirituale, adesso che ha deposto le armi, viene riversato nell’impegno politico, ideologico, civile, con la partecipazione alla vita democratica, attraverso i partiti politici.
La smobilitazione dei soldati dei gruppi di Combattimento è una smobilitazione parziale. I Gruppi di Combattimento, raggiunti i confini alpini nelle ultime fasi dei combattimenti, sono l’ossatura sul terreno di quello che sarà ed è l’esercito Italiano, quello che poi si definirà di transizione, e che sarà la base delle Forze Armate della repubblica. Vengono congedate le classi più anziane ed immesse le nuovi classi di leva, mentre si assorbono coloro che, combattuta la guerra come “prigionieri-cooperatori” con americani e inglesi, sono in grado di gestire il materiale, armi ed equipaggiamenti, che gli Alleati lasciano in Italia. Particolare significativo il Ritorno a casa dei soldati del nord Italia, che sorpresi al sud dell’Armistizio, riescono a rivedere le loro famiglie dopo anni di lontananza
Pagina 12
Calendario del 2007