Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

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giovedì 10 aprile 2025

La Campagna d'Italia DalPiano "Asche" alla linea Gustav

 


 

Sul versante tedesco, in quei mesi autunnali del 1943 si raccoglieva i miseri frutti di una politica di alleanza militare miope e limitata quale era stata quella con l’Italia fascista.

La decisione di Berlino di non sostenere l’Italia, ribadita al convegno di Feltre del 19 luglio di Hitler a Mussolini, determinò la caduta del fascismo e quindi, avendo il fascismo voluto la guerra, l’uscita dell’Italia dalla guerra stessa. L’atteggiamento rinunciatario dei tedeschi lo si ebbe anche durante i giorni iniziali della crisi armistiziale. Rommel, comandante delle forze tedesche nell’Italia settentrionale non brillò certo di audacia o di visione strategica generale, assecondando il generale desiderio di ogni tedesco in Italia di avvicinarsi sempre più ai confini meridionali del proprio Paese se non addirittura di ritornare in Germania. L’unico che si oppose a questa generale tendenza fu il maresciallo Kesselring, che in questa situazione doveva abbandonare tutte le forze tedesche a sud di Roma: giocando un po' d’astuzia e un po' d’azzardo, nella constatazione che ormai tutto era perduto, e quindi non aveva nulla da perdere, giocò la carta della resistenza locale generalizzata: da una parte cercando di rendere innocue le forze italiane, dall’altra iniziando a fronteggiare le forze alleate sbarcate. Il disarmo delle forze italiane riuscì in modo egregio, nonostante episodi di valore mostrati da tanti soldati italiani, mancando un piano generale italiano in merito al rovesciamento dell’alleanza. Compreso questo passati pochi giorni dall’armistizio i tedeschi a nord di Salerno non avevano nemici, mentre sul versante adriatico gli Alleati si erano impossessati di Taranto, la principale base navale italiana, intatta e con tutti i servizi in funzione, ed i porti di Brindisi e di Bari, oltre ad una decina di aeroporti. Il deflusso verso nord dei reparti tedeschi stanziati nel meridione via via che passavano i giorni divenne sempre più ordinato e sempre più lento, fino ad arrestarsi verso la fine di settembre. Quando gli alleati entrarono a Napoli il 1 ottobre, Kesserling poteva per constatare che era riuscito ad arrestare gli anglo-americani sulla cosiddetta linea d’inverno che andava dal corso del fiume Volturno fino al fiume Trigno sulla costa adriatica passando per gli Appennini. Contava di tenere questa linea fino al 15 ottobre per poi ordinare un movimento retrogrado pianificato.

La lenta avanzata alleata permise di tenere la linea d’inverno ben oltre il 15 ottobre; i tedeschi ebbero il tempo di terminare gli apprestamenti difensivi della cosiddetta “linea Gustav”. Questa era imperniata sul monte Cairo, preceduta di poco dalla linea Bernhard, denominata anche linea Reinhard. La linea Reinhard in parte coincideva con la linea Gustav, ma si differenziava da quest’ultima essendo tracciata prima dei monti Sammucro, Rotondo, Lungo, Maggiore, La Defensa e Camino. Su questa linea si accanirono nel novembre 1943 la 1a Divsione canadese, che raggiunse Castel di Sangro il 24 novembre 1943, la 34a Divisione statunitense, la 45a, la 3a e la 36a Divisione sempre statunitensi che raggiunsero la linea Gustav all’inizio di dicembre. Nella marcia verso la linea Gustav da notare che il Monte Lungo fu preso d’assalto l’8 dicembre dal I Raggruppamento Motorizzato Italiano al comando del gen. Dapino, assalto che fu respinto, e conquistato una settimana dopo il 16 dicembre sempre dal I Raggruppamento Motorizzato italiano che permetteva di superare la stretta di Mignano ed immetteva le forze alleate nella piana di Cassino, ed investirono le difese della Linea Gustav.

Questa era difesa dal XIV Corpo corazzato al comando del gen. Hube dal LXXXVI corpo corazzato del gen. Herr facenti parte della 10a Armata al comando del gen Vietinghoff.

 

La descrizione geografia della Linea Gustav è interessante a riportare in quanto rileva come la sua articolazione fa emergere che essa è veramente favorevole alla difesa.

 

“La valle del Liri che conduce direttamente a Roma consiste in una depressione ampia 17 km è lunga circa 35 che ha un andamento da est ad ovest parallelo alla costa, circa 20 km all'interno. Verso l'estremità orientale, il fiume Rapido scende dalle montagne per unirsi al fiume Gari, del quale lo stesso Liri è un affluente. Questi tre fiumi divengono ora il Garigliano, che scorre verso sud fino al Golfo di Gaeta in una pianura abbastanza aperta. Il fiume Milfa, che come il rapido discende dalle montagne degli Abruzzi, attraversa un bacino naturale nei pressi di Atina, per poi unirsi al Liri nella parte occidentale della valle. Se in questo intrigo di valli fluviali procediamo ora a tratteggiare le montagne, vedremo che i monti Aurunci, in particolare Monte Maio (940 m) e l'altipiano torno a Castelforte, dominano i passaggi del Garigliano. A nord della valle del Liri, una catena di aspre montagne corre verso sud-ovest partendo dallo spartiacque principale degli Appennini, vicino al Monte Petroso, tra le valli dei fiumi Rapido e Milfa, traversa il monte Cairo e termina a Montecassino. Montecassino, coronato dalla massiccia costruzione del famoso monastero, incombe sulla piccola città che sorge ai suoi piedi, dominando la valle del Rapido a est e la valle del Liri a sud.  

 

La strada statale numero 6 passa immediatamente sotto Montecassino, lungo il margine settentrionale della Valle del Liri. La città di Cassino, a poche centinaia di metri dal Rapido, e già in pianura, e la sua stazione ferroviaria si trova un po' più a sud, dall'altra parte della strada statale numero 6. Dietro la città si leva una collinetta rocciosa di circa 90 metri, la rocca Janicula, coronata dai ruderi di un castello medievale. Questa collinetta che dovrà più tardi essere meglio conosciuta come collina del Castello sembra acquattata ai piedi delle montagne più grandi come un cane da guardia e la sella rocciosa che le unisce costituisce l'attacco della via più breve, anche se più aspra, per salire la montagna dalla città. Una strada carrozzabile sale a zig zag sulle pendici di Monte Cassino, per raggiungere il monastero. Poco prima della cresta questa strada passa dietro una quota caratteristica a forma di cono che guarda la parte sud-orientale della cima, chiamata poi Collina del Boia. Circa 7 km a nord ovest del monastero la catena si innalza fino alla mole del Monte Cairo (1669 m.) oltre a questa quota c'è la collina del Belvedere (720 metri) che domina il torrentello Secco, un tributario del Rapido, e la strada da Sant'Elia a Belmonte e Atina. al Nord la linea Gustav seguiva le montagne che, passando per il monte Cifalco, si innalzano fino al picco sopra Castel di Sangro per continuare poi nel massiccio della Maiella, sul fronte della 8a armata.”[1]

 

Il perno centrale per la difesa di questa linea era ovviamente Montecassino, che permetteva di controllare e dominare le valli del Liri e del Rapido. I tedeschi avevano ben scelto il punto di massima resistenza. Infatti, quando ancora gli alleati erano sul Volturno, il generale von Senger, che tra l’altro era anche un benedettino laico e in questa veste portò in salvo i maggiori tesori dell’Abazia benedettina trasferendoli a Roma, assunse il comando di questa linea di difesa. I tedeschi ebbero tre mesi per fortificarla e preparare ogni sorta di difesa e quasi ogni posizione alla fine divenne inespugnabile. Ricorsero anche a sfruttare ogni risorsa che la natura offriva loro. Infatti a nord allagarono tutta la valle del Rapido; le rive del fiume vennero fortificate e rinforzate con filo spinato, oltre a disseminare migliaia di mine in scatole di legno, per impedirne la ricerca con i metal detectors da parte degli alleati. In pratica si creò uno scenario da prima guerra mondiale, con posizioni fortemente organizzate a difesa, che dovevano essere attaccate frontalmente dalla fanteria, con l’appoggio, in questo caso, oltre che della artiglieria anche dell’aviazione tattica.

 

Di fronte a questo scenario tattico, nasce l’idea dell’aggiramento e quindi di sbarchi dietro queste organizzazione di difesa al fine di tagliare ogni rifornimento e quindi farle cadere per manovra. I tedeschi erano ben consci di questa opportunità e, in vista di questa azione alleata, avevano tenuto alla mano le principali forze mobili, pronte ad accorre lì dove vi era bisogno, anziché fortificare ogni tratto di costa potenzialmente utile a sbarchi, diluendo così le proprie forze. L’iniziale sorpresa che subirono con le forze sbarcate ad Anzio era quindi prevista, a loro bastava avere due-tre giorni di tempo per organizzare la difesa e contenere l’azione alleata. Sono i giorni cruciali di Anzio, quelli che avrebbero deciso il successo e l’insuccesso. Un rischio che i tedeschi dovevano correre in virtù delle scarse forze che avevano a disposizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Petacco, A., La seconda guerra mondiale, Roma, Armando Curcio Editore, 1992 , Vol.11, pag. 1366.

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