Sul
versante tedesco, in quei mesi autunnali del 1943 si raccoglieva i miseri
frutti di una politica di alleanza militare miope e limitata quale era stata
quella con l’Italia fascista.
La
decisione di Berlino di non sostenere l’Italia, ribadita al convegno di Feltre
del 19 luglio di Hitler a Mussolini, determinò la caduta del fascismo e quindi,
avendo il fascismo voluto la guerra, l’uscita dell’Italia dalla guerra stessa.
L’atteggiamento rinunciatario dei tedeschi lo si ebbe anche durante i giorni
iniziali della crisi armistiziale. Rommel, comandante delle forze tedesche
nell’Italia settentrionale non brillò certo di audacia o di visione strategica
generale, assecondando il generale desiderio di ogni tedesco in Italia di
avvicinarsi sempre più ai confini meridionali del proprio Paese se non
addirittura di ritornare in Germania. L’unico che si oppose a questa generale
tendenza fu il maresciallo Kesselring, che in questa situazione doveva
abbandonare tutte le forze tedesche a sud di Roma: giocando un po' d’astuzia e
un po' d’azzardo, nella constatazione che ormai tutto era perduto, e quindi non
aveva nulla da perdere, giocò la carta della resistenza locale generalizzata:
da una parte cercando di rendere innocue le forze italiane, dall’altra
iniziando a fronteggiare le forze alleate sbarcate. Il disarmo delle forze italiane
riuscì in modo egregio, nonostante episodi di valore mostrati da tanti soldati
italiani, mancando un piano generale italiano in merito al rovesciamento
dell’alleanza. Compreso questo passati pochi giorni dall’armistizio i tedeschi
a nord di Salerno non avevano nemici, mentre sul versante adriatico gli Alleati
si erano impossessati di Taranto, la principale base navale italiana, intatta e
con tutti i servizi in funzione, ed i porti di Brindisi e di Bari, oltre ad una
decina di aeroporti. Il deflusso verso nord dei reparti tedeschi stanziati nel
meridione via via che passavano i giorni divenne sempre più ordinato e sempre
più lento, fino ad arrestarsi verso la fine di settembre. Quando gli alleati
entrarono a Napoli il 1 ottobre, Kesserling poteva per constatare che era
riuscito ad arrestare gli anglo-americani sulla cosiddetta linea d’inverno che
andava dal corso del fiume Volturno fino al fiume Trigno sulla costa adriatica
passando per gli Appennini. Contava di tenere questa linea fino al 15 ottobre per
poi ordinare un movimento retrogrado pianificato.
La lenta
avanzata alleata permise di tenere la linea d’inverno ben oltre il 15 ottobre;
i tedeschi ebbero il tempo di terminare gli apprestamenti difensivi della
cosiddetta “linea Gustav”. Questa era imperniata sul monte Cairo, preceduta di
poco dalla linea Bernhard, denominata anche linea Reinhard. La linea Reinhard
in parte coincideva con la linea Gustav, ma si differenziava da quest’ultima
essendo tracciata prima dei monti Sammucro, Rotondo, Lungo, Maggiore, La
Defensa e Camino. Su questa linea si accanirono nel novembre 1943 la 1a
Divsione canadese, che raggiunse Castel di Sangro il 24 novembre 1943, la 34a
Divisione statunitense, la 45a, la 3a e la 36a Divisione sempre statunitensi
che raggiunsero la linea Gustav all’inizio di dicembre. Nella marcia verso la
linea Gustav da notare che il Monte Lungo fu preso d’assalto l’8 dicembre dal I
Raggruppamento Motorizzato Italiano al comando del gen. Dapino, assalto che fu
respinto, e conquistato una settimana dopo il 16 dicembre sempre dal I
Raggruppamento Motorizzato italiano che permetteva di superare la stretta di
Mignano ed immetteva le forze alleate nella piana di Cassino, ed investirono le
difese della Linea Gustav.
Questa era
difesa dal XIV Corpo corazzato al comando del gen. Hube dal LXXXVI corpo
corazzato del gen. Herr facenti parte della 10a Armata al comando del gen
Vietinghoff.
La
descrizione geografia della Linea Gustav è interessante a riportare in quanto
rileva come la sua articolazione fa emergere che essa è veramente favorevole
alla difesa.
“La valle
del Liri che conduce direttamente a Roma consiste in una depressione ampia 17
km è lunga circa 35 che ha un andamento da est ad ovest parallelo alla costa,
circa 20 km all'interno. Verso l'estremità orientale, il fiume Rapido scende
dalle montagne per unirsi al fiume Gari, del quale lo stesso Liri è un
affluente. Questi tre fiumi divengono ora il Garigliano, che scorre verso sud
fino al Golfo di Gaeta in una pianura abbastanza aperta. Il fiume Milfa, che
come il rapido discende dalle montagne degli Abruzzi, attraversa un bacino
naturale nei pressi di Atina, per poi unirsi al Liri nella parte occidentale
della valle. Se in questo intrigo di valli fluviali procediamo ora a
tratteggiare le montagne, vedremo che i monti Aurunci, in particolare Monte
Maio (940 m) e l'altipiano torno a Castelforte, dominano i passaggi del
Garigliano. A nord della valle del Liri, una catena di aspre montagne corre
verso sud-ovest partendo dallo spartiacque principale degli Appennini, vicino
al Monte Petroso, tra le valli dei fiumi Rapido e Milfa, traversa il monte
Cairo e termina a Montecassino. Montecassino, coronato dalla massiccia
costruzione del famoso monastero, incombe sulla piccola città che sorge ai suoi
piedi, dominando la valle del Rapido a est e la valle del Liri a sud.
La strada
statale numero 6 passa immediatamente sotto Montecassino, lungo il margine
settentrionale della Valle del Liri. La città di Cassino, a poche centinaia di
metri dal Rapido, e già in pianura, e la sua stazione ferroviaria si trova un
po' più a sud, dall'altra parte della strada statale numero 6. Dietro la città
si leva una collinetta rocciosa di circa 90 metri, la rocca Janicula, coronata
dai ruderi di un castello medievale. Questa collinetta che dovrà più tardi
essere meglio conosciuta come collina del Castello sembra acquattata ai piedi delle
montagne più grandi come un cane da guardia e la sella rocciosa che le unisce
costituisce l'attacco della via più breve, anche se più aspra, per salire la
montagna dalla città. Una strada carrozzabile sale a zig zag sulle pendici di
Monte Cassino, per raggiungere il monastero. Poco prima della cresta questa
strada passa dietro una quota caratteristica a forma di cono che guarda la
parte sud-orientale della cima, chiamata poi Collina del Boia. Circa 7 km a
nord ovest del monastero la catena si innalza fino alla mole del Monte Cairo (1669
m.) oltre a questa quota c'è la collina del Belvedere (720 metri) che domina il
torrentello Secco, un tributario del Rapido, e la strada da Sant'Elia a
Belmonte e Atina. al Nord la linea Gustav seguiva le montagne che, passando per
il monte Cifalco, si innalzano fino al picco sopra Castel di Sangro per
continuare poi nel massiccio della Maiella, sul fronte della 8a armata.”[1]
Il perno
centrale per la difesa di questa linea era ovviamente Montecassino, che
permetteva di controllare e dominare le valli del Liri e del Rapido. I tedeschi
avevano ben scelto il punto di massima resistenza. Infatti, quando ancora gli
alleati erano sul Volturno, il generale von Senger, che tra l’altro era anche
un benedettino laico e in questa veste portò in salvo i maggiori tesori
dell’Abazia benedettina trasferendoli a Roma, assunse il comando di questa
linea di difesa. I tedeschi ebbero tre mesi per fortificarla e preparare ogni
sorta di difesa e quasi ogni posizione alla fine divenne inespugnabile.
Ricorsero anche a sfruttare ogni risorsa che la natura offriva loro. Infatti a
nord allagarono tutta la valle del Rapido; le rive del fiume vennero fortificate
e rinforzate con filo spinato, oltre a disseminare migliaia di mine in scatole
di legno, per impedirne la ricerca con i metal detectors da parte degli
alleati. In pratica si creò uno scenario da prima guerra mondiale, con
posizioni fortemente organizzate a difesa, che dovevano essere attaccate
frontalmente dalla fanteria, con l’appoggio, in questo caso, oltre che della
artiglieria anche dell’aviazione tattica.
Di fronte
a questo scenario tattico, nasce l’idea dell’aggiramento e quindi di sbarchi dietro
queste organizzazione di difesa al fine di tagliare ogni rifornimento e quindi
farle cadere per manovra. I tedeschi erano ben consci di questa opportunità e,
in vista di questa azione alleata, avevano tenuto alla mano le principali forze
mobili, pronte ad accorre lì dove vi era bisogno, anziché fortificare ogni
tratto di costa potenzialmente utile a sbarchi, diluendo così le proprie forze.
L’iniziale sorpresa che subirono con le forze sbarcate ad Anzio era quindi
prevista, a loro bastava avere due-tre giorni di tempo per organizzare la
difesa e contenere l’azione alleata. Sono i giorni cruciali di Anzio, quelli
che avrebbero deciso il successo e l’insuccesso. Un rischio che i tedeschi
dovevano correre in virtù delle scarse forze che avevano a disposizione.
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