La difesa delle coste italiane con i suoi circa 8.300
km di estensione a cui si aggiungevano le coste dell’Istria, quelle albanesi e
delle isole dell’Egeo costituiva, al momento dell’ingresso nel Secondo Conflitto
Mondiale, una problematica di non facile soluzione.
La difesa costiera, all’atto dell’ingresso nel Secondo
Conflitto Mondiale, era regolata infatti dall’Istruzione per la difesa delle coste edita nel 1930 e la Istruzione per la protezione in guerra delle
ferrovie, delle strade ordinarie a cui concorrevano treni e pontoni armati
della Regia Marina, le batterie costiere dislocate presso le basi marittime in
cui operava il personale della Regia Marina e della M.V.S.N. La struttura
risentiva dei canoni adottati per la difesa delle coste adottata nel Primo Conflitto
Mondiale, ma non teneva conto del rovesciamento di alleanza compiuto dal
governo italiano negli anni precedenti. Infatti, ora con una Germania alleata e
una Inghilterra avversaria, l’Italia si trovava a rivedere la difesa delle
coste, dopo che questa era stata trascurata per realizzare le gigantesche opere
del Vallo Alpino. La difesa costiera,
affidata prevalentemente alla Regia Marina che non era pronta a svolgere
compiti difensivi, venne delegato a reparti terrestri del tutto inadeguati e
con una pianificazione non aderente al nuovo scenario di riferimento con nuovi
alleati e nemici. Le pubblicazioni dello SMRE, tuttavia, con
contemplavano l’impiego di unità del Regio Esercito con compiti dedicati
esclusivamente alla difesa costiera.[1]
A differenza di quanto stabilito nel 1915 le Istruzioni non prevedevano la
costituzione di specifiche unità organiche della Regia Guardia di Finanza, ma
che queste si integrassero solamente nel dispositivo in cui avrebbero operato
le unità del Regio Esercito, a cui le Istruzioni
affidavano la difesa costiera (TC).
Il sistema di protezione delle linee di comunicazione ferroviarie e stradali (TF) era affidato invece alle unità
territoriali dei CC.RR. e dalle unità della M.V.S.N. a cui in seguito sarebbero state sostituite
da reparti territoriali del Regio Esercito a cui avrebbero concorso sempre i
CC.RR. e la Regia Guardia di Finanza. Nonostante le gravi inefficienze,
l’ordine di attuare il Piano di Radunata
venne inoltrato solo il 30 maggio 1940 con decorrenza a partire dalle ore 24
del successivo 4 giugno. In ogni caso, visto che a un giorno dall’entrata in
guerra le unità territoriali erano solo al 50%, fu dato l’ordine che, in attesa
che i reparti territoriali raggiungessero il 100% della forza organica affinché
potessero adempiere al compito assegnato, le coorti territoriali della
M.V.S.N., messe a disposizione per garantire la copertura, si affiancassero ai Battaglioni
inquadrati nelle Divisioni che avevano dovuto essere schierati nei
settori di difesa costiera.[2]
Già dal 1933, l’indice
di mobilitazione stabiliva che per la difesa delle coste italiane sarebbero
stati necessari duecento Battaglioni
Costieri da schierare a cordone lungo le coste del paese.
Il compito-affidato a queste unità era quello di:
-
respingere le
unità nemiche che fossero sbarcate;
-
proteggere le installazioni
e le linee di comunicazione da eventuali sabotaggi.
I Battaglioni sarebbero stati mobilitati con
personale richiamato, sia Ufficiali sia la truppa, reduce della Prima Guerra Mondiale.
Si trattava di unità debolmente armate, solamente mitragliatrici e fucili
mitragliatori, essenzialmente statiche in quanto la mobilità era minima, se non
nulla, visto che gli unici mezzi a disposizione di queste unità erano alcune
carrette a traino animale e delle biciclette per gli Ufficiali subalterni.
Le
unità di difesa costiera avrebbero dovuto:
-
occupare, secondo
la logica del tempo, posti di vedetta e di sbarramento per tenersi pronti a
respingere sbarchi di piccole unità avversarie;
-
approntare le
difese costiere portando a termine quanto predisposto dai comandi territoriali
del genio.[3]
Il concetto della difesa costiera espressa in quegli
anni era decisamente antiquato, in quanto prevedeva di schierare le truppe in
schiera compatta, in linea, per affrontare dalla spiaggia lo sbarco delle unità
nemiche. Non veniva contemplato, invece, l’utilizzo di unità autotrasportate che
sarebbero state fatte affluire nel settore di costa ove si fosse presentata la
minaccia. Un’ altra problematica era rappresentata dal fatto che affidare la
difesa delle coste a dei militari richiamati non era certamente delle migliori soluzioni
da adottare, visto che avrebbero dovuto affrontare lo sbarco di unità nemiche con
un elevato livello qualitativo. In ogni caso, la difesa delle coste era un
compito precipuo della Regia Marina, dalla quale dipendevano la ricognizione
aero-marittima, tutte le unità navali, i Comandi Territoriali e i Comandi
di Piazza Marittimi.[4]
Il Regio Esercito per la difesa del territorio aveva
creato un’apposita struttura di comando, con a capo uno dei Sottocapi di Stato
Maggiore dell’Esercito, da cui dipendevano i Comandi Difesa,[5]
che avevano alle dipendenze ventotto Comandi
di Zona Militare. Tali comandi erano responsabili per le attività di
mobilitazione, rapporti con le autorità civili locali, la difesa contraerei, la
protezione degli impianti, la sicurezza delle vie di comunicazione e la difesa
delle coste, ad eccezione di quei tratti di litorale che erano posti alle
dipendenze della Regia Marina. La difesa contraerei si era affidata invece alla
Milizia Artiglieria Contraerea[6]
della M.V.S.N., che con le sue ventitré Legioni disponeva di circa duecento
batterie dipendenti. La difesa degli impianti e delle vie di comunicazione era
affidata ai Battaglioni Territoriali
del Regio Esercito o della M.V.S.N.; a questi si aggiungevano i pattugliamenti
delle spiagge effettuati, durante il normale servizio d’istituto, da parte dei
reparti territoriali dei CC.RR. e della Regia Guardia di Finanza. Naturalmente,
in caso di sbarchi di una certa entità vi sarebbe stato l’allertamento dei Comandi
di Corpo d’Armata che avrebbero in ogni caso disposto l’entrata in
azione delle Divisioni dipendenti.[7]
Nella primavera del 1941 con il richiamo delle classi
più anziane, fu possibile costituire le prime unità costiere:
-
undici Settori Costieri di Brigata (I, II,
IV, V, VI, VII, VIII,
IX, X, XI e XII);
-
nove Divisioni Costiere:
202a, 204a, 205a, 206a, 207a, 208a, 211a, 212a (per trasformazione rispettivamente dei Settori Costieri di Brigata I, IV, V,
VI, VII, VIII, IX, X,
XI e XII) e 213a,
a
queste unità fecero seguito nel 1942:
-
sette Settori Costieri di Brigata, denominati in seguito Brigate Costiere di nuova costituzione,
come la IV e l’XI, a cui si aggiungevano la XII,
XIV, XV, XVI e XVII;
-
quattro Divisioni Costiere: 201a (per trasformazione della I Brigata Costiera), 220a,
221a e 222a,
mentre
nel 1943 si costituirono:
-
otto Brigate Costiere: XVIII, XIX, XXVIII e XXIX (per trasformazione rispettivamente della I e
II Brigata di Marcia), XXXI per trasformazione della LII
Brigata Speciale), XXXII, XXXIII e XXXIX;
-
dodici Divisioni Costiere:
·
sei per
trasformazione di altrettante Brigate: 203a, 209a, 210a,
215a, 216a, 227a
(derivate rispettivamente dalle Brigate XII, IX, X, XV, XVI e XI (nuova).
·
una per
trasformazione dell’8a Divisione di marcia: 230a;
·
cinque
neocostituite: 214a,
223a, 224a, 225a
e 226a.[8]
Alla data dell’armistizio dell’8 settembre del 1943
alcune di queste unità sono ancora in fase di completamento.
Dal punto di vista dell’impiego le Divisioni e Brigate Costiere vennero assegnate a specifici settori, in cui
erano state suddivise le coste tirreniche, ioniche e quelle delle isole, senza
quasi soluzione di continuità. Per quanto attiene alle coste adriatiche queste
furono presidiate da Reggimenti e Battaglioni costieri; le coste della
Provenza e della Croazia, in quel momento occupata dall’Italia, furono affidate
ad altre Divisioni Costiere.
La
dislocazione delle unità era quindi:
-
in territorio
nazionale:
·
in Toscana, la 215a e la 216a Divisione Costiera;
·
nel Lazio, la 220a, la 221a Divisione Costiera e la XXXIV Brigata Costiera;
·
in Puglia, la 209a, la 210a Divisione Costiera e la XXXI Brigata Costiera;
·
in Calabria, la 211a, la 212a, la 214a
e la 227a Divisione Costiera;
·
in Campania, la 222a Divisione Costiera e la XXXII Brigata Costiera;
·
in Sardegna, la 203a, la 204a, la 205a
Divisione Costiera, la IV e la XXXIII Brigata Costiera;
·
in Sicilia la 202a, la 206a, la 207a,
la 208a, la 213a e la 230a Divisione Costiera, la XVIII, la XIX e la XXIX Brigata
Costiera;
-
al di fuori del
territorio nazionale:
·
in Francia (in
Provenza a Cannes e Nizza) con un’estensione di responsabilità anche sulla
costa della Liguria), la 201a,
la 223a e la 224a Divisione;
-
in Corsica, la 225a e la 226a Divisione Costiera;
-
in
Bosnia-Erzegovina, la XXVIII Brigata
Costiera subordinata al V Corpo
d’Armata venne impiegata in operazioni di presidio e controguerriglia sulla
costa e delle isole adiacenti alla foce della Narenta;
-
in Croazia, la XIV Brigata Costiera alle dipendenze del
V Corpo d’Armata fu impiegata in
operazioni di presidio e controguerriglia del litorale e le isole attigue alla
città di Cirquenizza;
-
in Dalmazia, la XVII Brigata Costiera agli ordini del V Corpo d’Armata impiegata in operazioni
di presidio e controguerriglia e nelle isole contigue alla cittadina di Traù.[9]
La configurazione ordinativa delle Divisioni costiere non rispecchiava
quella delle altre unità dello stesso livello in quanto gli organici furono
definiti a seconda dei settori costieri che avrebbero dovuto difendere.
Di
norma:
-
le Divisioni si componevano di 2, 3 o 4 Reggimenti Costieri in funzione
dell’ampiezza dei Settori di Copertura;
-
le Brigate erano articolate su due Reggimenti Costieri;
-
i Reggimenti si articolavano su 2, 3 o 4 Battaglioni Costieri e una compagnia
ciclisti;
-
il Battaglione Costiero era strutturato
su:
·
due compagnie fucilieri con 24 fucili mitragliatori;
·
due compagnie mitraglieri da quattro plotoni
di tre armi ciascuna, per un totale di 24 mitragliatrici;
·
un plotone celere/ciclisti/autoportato;
·
due batterie (in media) d’artiglieria dotate
di pezzi obsoleti o di preda bellica, con scarsa efficacia per gittata, potenza
e celerità di tiro. A cui si aggiungeva l’impossibilità di intervento antinave,
anche se nelle Piazze Marittime o in
alcuni porti furono schierate batterie da costa con cannoni navali e personale
della Regia Marina o della MILMART.
Le Divisioni
e le Brigate costiere erano inoltre
rinforzate da Battaglioni fucilieri, compagnie mitraglieri e reparti
motociclisti.[10]
Per una panoramica sull’ordinamento delle Divisioni Costiere, di seguito, è
riportata la struttura ordinativa delle principali unità operative (escluse le
unità di fanteria) e logistiche inquadrate nella Grande Unità, riferita
alla data del 19 settembre 1941:
-
Comandante;
-
Capo di Stato Maggiore, con alle dipendenze:
·
Uffici dello Stato Maggiore:
·
1a Sezione
Operazioni, Informazioni e Servizi (con sette
Ufficiali);
· 2a Sezione Personale e Segreteria;
·
Quartier Generale, su:
· Plotone
comando (con 43 tra Ufficiali,
Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 1 bicicletta);
· una Stazione
Radio RA 1[11]
(3 graduati e militari di truppa);
· Sezione
CC.RR. (12 tra Sottufficiali,
Appuntati e Carabinieri);
· Plotone
trasporti (con 10 tra graduati e
militari di truppa, 2 autovetture, 1 autocarro leggero, 1 autofurgoncino e 2 motociclette);
-
Compagnia mista genio, su:
·
Comandante;
·
Squadra comando
(su 21 tra Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 1 motocicletta, 1 bicicletta e 2 autocarri
leggeri);
·
due o più plotoni misti, su:
· Comandante e Nucleo
comando (4 tra Ufficiali, Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 1 autocarro leggero e 1 bicicletta);
· tre squadre telegrafisti (14 tra Sottufficiali e graduati
e militari di truppa);
· una squadra
telefonisti (20 tra Sottufficiali e graduati e militari di truppa);
una squadra mista collegamenti (34 tra
Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 2 stazioni radio RF3 C e 6 apparati
segnalazione a lampi di luce[12] da
80 mm);[13]
-
Autoparco,
su:
·
Autosezione ridotta (con 28 tra Ufficiali, Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 1
autovettura, 12 autocarri leggeri, 2
autoambulanze., 1 camion frigo, 3
camion cisterna trasporto acqua e 2 motociclette);
·
Autosezione normale (con 47 tra Ufficiali, Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 1
autovettura, 24 autocarri leggeri, 3
autoambulanze., 1 camion frigo, 4
camion cisterna trasporto acqua e 2 motociclette);
·
Autosezione rinforzata (con 59 tra
Ufficiali, Sottufficiali e graduati e militari di truppa, 1 autovettura, 24 autocarri leggeri, 3
autoambulanze., 1 camion frigo, 4
camion cisterna trasporto acqua e 3 motociclette);
-
Sezione Sanità;
-
Sezione Sussistenza;
-
Comando Settore,
su:
·
Comando (9
Ufficiali, 5 Sottufficiali, 23 graduati e militari di truppa e 2 biciclette);
·
Reparto trasporti e Riparazioni (2 Ufficiali, 5 Sottufficiali, 21 graduati e militari
di truppa, 30 autieri, 2 autovetture,
2 motociclette, 4 trattrici, 4 autocarri leggeri, 4 autocarri
pesanti, 2 autobus, 6 autofurgoncini, 1 camion trasporto polveri, 2 carrozze
comando, 2 cavalli, 1 bicicletta);
-
Gruppo artiglieria costiera, su:
·
Comando (2
Ufficiali, 6 Sottufficiali, 20 graduati e militari di truppa, 2 biciclette e 2 mitragliatrici);
·
batteria pesante (2 Ufficiali, 5 Sottufficiali, 105 graduati e militari di truppa, 1 cannone da 305 mm o 2 cannoni da 194 mm, 1 bicicletta);
·
batteria media
(2 Ufficiali, 5 Sottufficiali, 105 graduati e militari di truppa, 2 cannoni da 120 mm o 2 cannoni da 149/35 o 2 cannoni da 152 o 4 cannoni da 105/28);
·
batteria leggera (2 Ufficiali, 5 Sottufficiali, 105 graduati e militari di truppa, 4 cannoni da 100/17 o 4 cannoni da 75/27);
·
batteria speciale (2 Ufficiali, 7 Sottufficiali, 110 graduati e militari di truppa).
Nel Documento 66
è riportata la composizione delle Divisioni
Costiere e delle Brigate Costiere
con i relativi cenni storici.
Essendo prevalentemente unità statiche sarebbe stato
opportuno l’assegnazione di numerose unità del genio per i lavori di
fortificazione, creazione degli ostacoli passivi, la posa di campi minati e la
realizzazione di collegamenti radio (in previsione della resistenza ad oltranza
dei caposaldi anche più piccoli). A causa di carenze di personale specializzato
e materiali, le Brigate e le Divisioni Costiere ebbero sempre una
limitata assegnazione di unità del genio, in media una compagnia, con dotazioni ormai superate. Nel caso specifico, come
visto in precedenza nell’organico della compagnia
mista genio inquadrata in una Divisione
Costiera, i collegamenti erano quasi tutti telefonici. La posa di campi
minati fu effettuata laddove vi fossero le disponibilità; a ciò si aggiungeva anche
la scarsità di materiali per la realizzazione di ostacoli passivi (paletti,
filo spinato, ecc.).[14]
Alla difesa delle coste il Regio Esercito affiancò
anche la Difesa Territoriale per l’impiego per contrastare
aviolanci:
-
di paracadutisti
isolati o di piccoli gruppi su zone/punti specifici;
-
di unità
paracadutiste di una certa consistenza ordinativa sugli aeroporti.
Furono pertanto schierati su tutto il territorio
nazionale, o almeno nelle parti dove si presupponeva una minaccia maggiore,
centinaia di Nuclei Anti Paracadutisti
(NAP), ciascuno ordinato su un plotone
fucilieri autoportato ed articolato in:
-
Comandante
(Tenente o Sottotenente), con: 2 Militari di Truppa (motociclista e autiere),
1 motocicletta e 1 autovettura;
-
due Squadre fucilieri (con 1 Sottufficiale o
graduato, 11 fucilieri, 1 fucile mitragliatore).[15]
In diversi casi, la rete di sorveglianza e controllo
dinamico del territorio che fu costituita con questi reparti, non dovette
affrontare situazioni operative di rilievo. Nel caso specifico, le incursioni
effettuate dai paracadutisti inglesi furono limitate a incursioni di commandos
contro le linee ferroviarie nel Meridione o come il sabotaggio condotto
contro l’acquedotto del Sele nel 1941. Dal 1942 i NAP costituirono, pertanto, un’organizzazione efficace ed economica
realizzata grazie a un’organizzazione protettiva perfettamente riuscita.
La difesa degli aeroporti da aviolanci di reparti
nemici di una certa consistenza all’atto dell’armistizio non era ancora stata
implementata su tutto il territorio nazionale, fatta eccezione di Puglia,
Sardegna e Sicilia. Ad ogni aeroporto era assegnato un Gruppo Tattico di Difesa, posto alle dipendenze del Comandante dello
stesso sedime aeroportuale, composto in media da un Battaglione fanteria e
una batteria artiglieria. Compito di questi gruppi era quello di
impedire l’atterraggio dei paracadutisti sulle piste dell’aeroporto mediante la
realizzazione di sbarramenti campali o al limite arando la superficie dello
stesso e, soprattutto, intervenire in caso di aviolanci.
Per un certo numero di aeroporti era poi assegnato un Gruppo Mobile ordinato su:
- tre o quattro compagnie motociclisti, carri
leggeri, fanteria autoportata;
- una batteria d’artiglieria a traino meccanico.
I Gruppi erano poi riuniti in Raggruppamenti il cui scopo principale
era quello di intervenire contro aviosbarchi di una certa entità e,
secondariamente, intervenire quale riserva mobile da utilizzare contro gli
sbarchi provenienti dal mare e nelle successive operazioni.[16]
La policy di
mobilitazione delle unità territoriali prevedeva la formazione di tre categorie
di reparti:
-
permanenti;
-
territoriali-mobili;
-
territoriali.
A questi, si aggiungevano altre tre categorie di
reparti di complementi che venivano utilizzati per ripianare i primi e se nel
caso ce ne fosse stato bisogno potevano essere impiegati. I Distretti Militari, oltre a funzionare
come depositi, ripartivano il personale mobilitato ai depositi che provvedevano
alla formazione, solamente sulla carta, dei reparti da mobilitare su ordine.
L’assegnazione del personale ai reparti avveniva secondo l’età anagrafica, per
cui i più giovani erano destinati ai reparti permanenti e i più anziani erano
le riserve dei reparti territoriali. Questo causò alcuni problemi, visto che
alcuni richiamati appartenenti a classi giovani erano ancora in congedo in
quanto i reparti a cui erano destinati (ad esempio reparti complementari di
quelli permanenti) non erano ancora stati mobilitati. Per far fronte a questa
problematica o ad eventuali smobilitazioni improvvise, si fece ricorso a
perequazioni tra reparti, causando, però, la disomogeneità “spirituale” degli stessi, con notevoli
ripercussioni sulla motivazione al combattimento.[17]
[1] Massimo
ASCOLI, La difesa delle coste italiane,
Bacchilega Editore, Imola 2020, p. 33
[2] Ivi, pp. 34-35
[3] Dorello
FERRARI, La difesa delle coste italiane
nella Seconda Guerra Mondiale in Studi Storico Militari 1987, USSME, Roma
1988, p. 109
[4] Dorello
FERRARI, La difesa delle coste italiane
nella Seconda Guerra Mondiale, op. cit., p. 110-111
[5] Uno per
ciascun Corpo d’Armata di pace: Torino, Genova, Alessandria,
Milano, Bolzano, Treviso, Trieste, Udine, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli,
Palermo e Cagliari
[6] Il Regio
Decreto del 28 novembre 1927 n. 815 definiva la costituzione della Milizia Difesa Aerea Territoriale che
successivamente variava denominazione a seguito della promulgazione del Regio
Decreto-Legge del 18 febbraio 1930 n. 93 (convertito in Legge del 3
aprile 1930 n. 314) Istituzione e
ordinamento della Milizia per la difesa aerea territoriale (D.A.T.).
L’articolo del Decreto stabiliva che la D.A.T. “è una specialità della M.V.S.N. che ha il
compito di predisporre in tempo di pace e di attuare in tempo di guerra, in
concorso con le unità contraeree delle altre forze armate, la difesa del Paese
da attacchi aerei nemici.”
La difesa comprendeva:
- una rete di
avvistamento incentrata su posti
vedetta e centri raccolta notizie;
- una rete di
collegamento;
- un’organizzazione
delle località di difesa contraerea attiva (definite di 1° e 2° grado)
Nel 1934 venne creata anche la Milizia Artiglieria da costa (DA COS). Il 7 novembre 1938 le due
specialità furono denominate rispettivamente Milizia Artiglieria Contraerei (M.A.C.A.) e Milizia Artiglieria Marittima (MILMART).
A febbraio del 1940 la M.A.C.A.
aveva in forza 2.900 Ufficiali e 75.000 militi, ma ne sarebbero serviti altri
50.000 per completare gli organici delle 290 batterie previste. Oltre alle
circa duecento batterie dislocate in Madrepatria altre 6 batterie erano in
Libia e altrettante in Africa Orientale Italiana.
Virgilio ILARI e Antonio SEMA, Marte in orbace, op. cit., pp. 340-343
[7] Dorello
FERRARI, La difesa delle coste italiane
nella Seconda Guerra Mondiale in Studi Storico Militari 1987, op. cit., p.
122
[8] USSME
(AA.VV.), L’Esercito e i suoi Corpi.
Sintesi storica. – Volume Terzo. Tomo
I, op. cit., pp. 357-358
[9] USSME
(AA.VV.), L’Esercito e i suoi Corpi.
Sintesi storica. – Volume Terzo. Tomo
I, op. cit., p. 359
[10] Dorello
FERRARI, La difesa delle coste italiane
nella Seconda Guerra Mondiale in Studi Storico Militari 1987, op. cit., pp.
120-121
[11] Più che una
stazione radiotrasmittente vera e propria era in realtà un posto di radioascolto per emissioni aeronautiche. Il raggio di
ascolto, di aerei in volo, della postazione era di circa 10-15 km, purché il
velivolo fosse dotato di un determinato apparato trasmittente. L’apparato,
alimentato con 3 o 4 pile a seconda della versione, pesava circa 17 kg, era trasportato in un cofano di legno ed
aveva un’antenna chiusa a telaio con sette spire a treccia di rame.
Mario GALASSO e Mario
GATICCI, La radio in grigioverde, op.
cit., pp. 71-72
[12] Si trattava
della Stazione Faini-Triulzi da 80 mm
installato su treppiede e con una portata media di 25 km di giorno (utilizzo con eliografo) e
di 8 km di giorno e 25 di notte impiegando il sistema diottrico. Era comunque
un apparato già obsoleto, in uso già dagli anni 20 del XX secolo, in quanto
nelle opere difensive fortificate veniva utilizzata la Stazione fototelefonica da 180 mm.
Ministero della Guerra, Pubblicazione n. 1793. Manuale per le
compagnie telegrafisti e radiotelegrafisti sui mezzi di trasmissione
telegrafica morse, telefonica, ottica, radiotelegrafica e radiotelefonica. Parte quarta. Descrizione, impianto e
servizio delle stazioni ottiche, Provveditorato Generale dello Stato, Roma
1927, pp. 8-9
Mario GALASSO e Mario GATICCI, La radio in grigioverde, op. cit., p. 187
[13] W. Victor MADEJ, Italian Order Army of battle. 1939-1943, op. cit., p. 63
[14] Dorello
FERRARI, La difesa delle coste italiane
nella Seconda Guerra Mondiale in Studi Storico Militari 1987, op. cit., p.
121
[15] NARA,
Microcopy T-821, R-113, Frames 684
[16] Dorello
FERRARI, La difesa delle coste italiane
nella Seconda Guerra Mondiale in Studi Storico Militari 1987, op. cit., p.
118
[17] Ivi, p. 122
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