Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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mercoledì 20 aprile 2022

Giuseppe Alabastro Monte Marrone 31 marzo 1944

 

Monte Marrone (31 marzo 1944): l’affermazione del Corpo Italiano di Liberazione come unità combattente.

 

In questo contesto si inserisce l’impresa di Monte Marrone. (31 marzo 1944).

 

Un aspetto favorevole al mantenimento del I° Raggruppamento Motorizzato come unità combattente, costituisce il fatto notorio che gli Statunitensi non avevano dimestichezza ed esperienza nella guerra in montagna. Il più moderno e meccanizzato esercito del mondo si trovava in difficoltà sul terreno appenninico dell’Italia meridionale, soprattutto in termini di alimentazione logistica: i soldati statunitensi dovettero imparare a “condurre” i muli e tutto quello che significava in termini di salmerie ed altro ed  il cap. Silvestrini istituì apprezzatissimi corsi di alpinismo, di scii e di sopravvivenza in montagna per le truppe statunitensi. Successivamente, l’impresa del battaglione “Alpini” Piemonte fece definitivamente propendere l’ago della bilancia verso il mantenimento di forze italiane di combattimento. In realtà non si trattò di un’azione di guerra, ma di una difficile occupazione a  sorpresa del massiccio di Monte Marrone, sperone avanzato del Parco d’Abruzzo che con i suoi 1770 metri di altezza, consente di dominare dalla sua vetta una vastissima area.

Il 6 febbraio 1944 le truppe del I Raggruppamento Motorizzato muove da S. Agata dei Goti, con tutte le altre truppe per raggiungere il fronte, in zona alto Volturno.

Arrivati in zona il 22 marzo 1944 e riconosciuta la posizione, venne elaborato il piano per la conquista della vetta di Monte Marrone, che i Tedeschi non presidiavano d’inverno a causa della  copertura  nevosa. Pur essendo tale circostanza confermata dalle informazioni raccolte, non era del tutto escludibile la possibilità che alcuni elementi Tedeschi fossero presenti, con conseguente rischio di un combattimento ravvicinato. L’intera preparazione per l’impresa di Monte Marrone fu, pertanto, estremamente accurata. Il colonnello Ettore Fucci, vice comandate del I Raggruppamento Motorizzato e Comandante della fanteria, fu l’estensore dell’ordine di operazione per l’occupazione di Monte Marrone, che diresse dal suo Posto Comando in Val Petrara.

Il capitano degli Alpini in sevizio di Stato Maggiore, Augusto de Cobelli si recò di persona a riconoscere le posizioni di Monte Marrone, mentre a Montelungo nessuno aveva avuto la possibilità di provvedere alle necessarie ricognizioni, di modo che gli itinerari seguiti dal battaglione “Piemonte” fossero ben conosciuti.

Se l’occupazione fu un’impresa degna di nota, il valore delle operazioni di Monte Marrone dal punto di vista militare fu dato dalla sua difesa. La relazione del Comandante di battaglione, magg. Briatore, è una sintesi estrema benchè efficace della difesa di questa posizione.

 

Alle 3,25 del 1 aprile 1944 le vedette avanzate della 1a compagnia alpini, schierate tra la q. 1770 di Monte Marrone e la selletta a nord della quota, udivano rumori sospetti provenienti dal bosco antisante. La visibilità era nulla a causa dell’oscurità notturna e della fitta nebbia. Poco dopo, lo scoppio di una mina confermava il sospetto che si trattasse di un attacco nemico. Dato l’allarme, le truppe si schieravano prontamente nelle loro posizioni. Alle 4,30 cadevano sulle nostre posizioni numerosi copi di mortaio e di artiglieria e di bombe lanciate con fucili lancia bombe e subito dopo avveniva l’assalto nemico, accompagnato da fuoco d armi nemiche. I Tedeschi si lanciarono contro le nostre posizioni al grido di assalto e nonostante la grande reazione di fuoco delle nostre armi, un aliquota di essi riusciva a superare la cintura del reticolato ed infiltrarsi nella nostra organizzazione difensiva ove si accendeva una mischia violenta a colpi di bombe a mano con tiri di moschetti automatici. Il pronto intervento dei pochi elementi di manovra ed in special modo degli esploratori e di una squadra di fucilieri della 3a compagnia, riusciva a respingere gli attaccanti che, approfittando dell’oscurità e del fitto bosco, ripiegarono precipitosamente sulle posizioni di partenza. Il combattimento durato circa due ore. Le forze attaccanti sono da valutarsi, anche per le dichiarazioni di un tedesco prigioniero, superiori al centinaio. I Tedeschi che hanno partecipato all’azione appartengono a reparti Alpinjager ed indossavano tute bianche. Perdite nostre: 1 sottufficiale morto, 5 alpini feriti da schegge di mortai e da bombe a mano. Perdite nemiche 2 soldati morti accertati, 1 soldato prigioniero.

Presumibilmente le perdite del nemico sono state molto gravi essendo state notate nella neve numerose macchie di sangue e tracce di corpi trascinati. E’ stato rastrellato il seguente materiale: n. 2 mitragliatrici, 3 pistole mitra (parabellum), 4 fucili Mauser con lanciabombe, 1 pistola lanciarazzi, canne di ricambio per mitragliatrici, 5 cassette porta munizioni, 1 barella porta feriti, 30 caricatori mitra, 20 bombe per Mauser lanciabombe, 9 bombe a mano. Il comportamento degli alpini è stato, ancora in questa occasione, degno della massima ammirazione. Mi riservo di trasmettere alcune proposte di ricompensa al Valor Militare. Sono da segnalare: a) il ritardo nell’intervento dell’artiglieria nel tiro di sbarramento; b) numerosi colpi dell’artiglieria caduti sulle nostre posizioni; c) l’imperfetto funzionamento dei collegamenti telefonici per guasti alle linee causati da tiri di artiglieria (il telefono della 1a compagnia ha quasi subito cessato di funzionare per la linea colpita da un colpo di mortaio avversario) e per l’ingombro delle linee determinato dalle continue premature richieste di notizie da parte dei Comandi superiori. Firmato. Il magg. Comandante del battaglione A. Briatore”[1]

 

L’occupazione e la mantenuta posizione di Monte Marrone, nonostante il ritorno offensivo dei Tedeschi, ebbe una vasta eco positiva in tutti i Comandi alleati e servì a dare maggiore prestigio alle armi italiane: era ormai indubbio che gli Italiani sapessero fare la guerra, almeno in montagna. Montelungo col suo strascico negativo era ormai superato e le prospettive apparivano più rosee.

Nell’aprile-maggio 1944 le operazioni si svolsero nell’area delle Mainarde.

Il Comando del X Corpo d’Armata Britannico espresse l’intendimento di affidare al Corpo Italiano di Liberazione operazioni offensive nella zona di Monte Mare e Monte Cavallo. Scartata l’idea di attaccare con una azione frontale Monte Cavallo, che cala a picco su Valle Venafrana, Utili progettò un piano che aveva come idea-base l’aggiramento da nord dello stesso Monte Cavallo. All’operazione fu dato il nome di Monte Cavallo. Ebbe inizio la mattina del 27 maggio e cominciò con una avanzata generale su tutta la fronte. Tranne che nel settore del 68° reggimento fanteria, l’avanzata non trovò ostacoli e tutti gli obiettivi assegnati furono raggiunti, tanto che Utili dette subito l’ordine di eseguire un’azione concentrica da nord e da sud in direzione dell’unico varco - a  quota 1961 m. - di Monte Cavallo, il quale venne subito conquistato, mentre reparti del battaglione Piemonte ne estendevano l’occupazione. Le due giornate di combattimento furono dense di fatti d’arme anche violenti e cruenti, che richiesero un grande sforzo fisico affrontato e superato in modo brillante da tutte le unità. Il Corpo Italiano di Liberazione ormai era un’unità su cui ci si poteva fare affidamento. Il Comando Alleato decise di spostarlo al settore Adriatico, a complemento del Corpo Polacco. I risultati erano evidenti.

 

Quando, infatti,  il Corpo di Liberazione Italiano iniziò ad operare nelle Mainarde, soprattutto dopo l’occupazione e la difesa di Monte Marrone e nelle operazioni dell’aprile-maggio successivo, rappresentò una forza consistente che non poteva essere sotto valutata dal nemico. Evidente risultato operativo costituisce la circostanza per la quale i Tedeschi, a difesa delle loro posizioni  nelle Mainarde e nella zona del Parco Nazionale d’Abruzzo, dovettero tenere il LI Corpo d’Armata Alpino, il quale per tale motivo è stato impossibilitato a partecipare alla quarta battaglia di Cassino nel maggio 1944, che si concluse con la conquista da parte dei Polacchi delle posizioni difese strenuamente dai Tedeschi di Monte Sant’Angelo e delle rovine della abazia benedettina. Alle 10:45 a.m. del 18 maggio la bandiera polacca bianco-rossa sventolava su quelle rovine.

 

Dopo la presa di Cassino ed in pieno sviluppo della offensiva per la conquista di Roma, il Corpo Italiano di Liberazione, su richiesta Britannica, come visto svolgeva operazioni offensive, quali la complessa operazione su Picinisco  (27-28 maggio 1944) e la puntata in Val del Canneto, il giorno 29 maggio (operazione Chianti); proprio in questo giorno giungeva l’ordine del cambio di dipendenza operativa, con il trasferimento del Corpo Italiano di Liberazione nel settore adriatico.



[1] Campanella E., Monte Marrone: Cerniera tra il Primo Raggruppamento Motorizzato ed il Corpo di Liberazione, cit., pag. 57-58

 

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