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venerdì 11 novembre 2016

Brexit. Da una frittata all'altra

Brexit
Uscita dall’Ue, Londra litiga su chi deve iniziare
Gian Luigi Tosato
08/11/2016
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Con sentenza del 3 novembre scorso, l’Alta Corte di Londra ha stabilito che il Governo britannico non può attivare la procedura di uscita dall’Unione europea, Ue, ai sensi dell’art. 50 Teu senza aver ottenuto il preventivo disco verde del Parlamento.

La forza del referendum sulla Brexit
Può stupire, dalla lettura di una decisione pur ampia e argomentata, che del noto referendum sulla Brexit si parli in modo del tutto marginale. Un giurista di tradizione continentale si sarebbe aspettato che la questione centrale da dibattere fosse il rapporto fra la volontà referendaria e quella parlamentare; e precisamente, quale delle due debba prevalere in via generale e nel caso di specie.

Ma questo non è avvenuto. La questione è liquidata in poche battute, con il pieno consenso di tutte le parti in causa. La Corte rileva essere “common ground” che la costituzione del Paese si basa sul principio della democrazia rappresentativa che fa capo al Parlamento. I referendum assolvono una funzione meramente consultiva. Possono assumere un valore diverso solo se viene loro conferito da una espressa disposizione di legge, non ricavabile in via interpretativa.

Nel caso di specie è vero che il referendum sulla Brexit è stato indetto con legge parlamentare (il Referendum Act del 2015). Ma questa legge non ha attribuito forza particolare al referendum, anzi ha ribadito il suo normale valore consultivo. È rimasto così fermo il principio costituzionale della prevalenza della democrazia rappresentativa rispetto agli istituti di democrazia diretta.

Modifica di un trattato:prerogativa del governo o del Parlamento di Londra?
Escluso dunque che la questione referendum abbia un posto di rilievo, veniamo al tema ampiamente dibattuto nella decisione della High Court, quello dei rapporti fra le prerogative del Parlamento e quelle dell’Esecutivo.

Anche qui il punto di partenza costituisce un “common ground”. Non dubita la Corte, come pure le parti in causa, che il sistema costituzionale inglese preveda prerogative sia del Parlamento sia dell’Esecutivo. Al primo è riservato il potere di fare le leggi e di modificare e revocare quelle esistenti. Al secondo spetta in esclusiva il compito di gestire le relazioni internazionali, ivi comprese la conclusione e denuncia degli accordi internazionali.

È il caso di ricordare che, pur in assenza di un testo scritto, esiste anche nel Regno Unito una costituzione che si è consolidata nel tempo per via di prassi legislativa e giudiziaria.

Torniamo alla questione costituzionale di fondo. Nessun conflitto sorge tra i poteri del Parlamento e quelli dell’Esecutivo riguardo ai trattati privi di efficacia diretta negli ordinamenti statali. In questo caso la conclusione o modifica di un trattato da parte dell’Esecutivo produce effetti solo sul piano del diritto internazionale. Qualsiasi effetto nel diritto interno dipende dalla ratifica e attuazione del trattato da parte del Parlamento.

Senonché, la situazione è diversa con i Trattati europei, che prevedono norme e poteri normativi dotati di efficacia diretta all’interno degli Stati membri. Questi effetti si sono immediatamente prodotti con l’entrata in vigore dei Trattati e sono destinati altrettanto immediatamente a cessare nel caso di Brexit.

Di qui il potenziale conflitto tra le prerogative del Parlamento e dell’Esecutivo, sul quale si sono scontrate le parti in causa.

Chi deve attivare il recesso dall’Ue
Per i legali del Governo, la competenza a stipulare e modificare trattati copre anche a quelli con effetti diretti, salvo che non intervenga una deroga esplicita del Parlamento, assente nel caso di specie. I ricorrenti hanno sostenuto invece il contrario: prevale sempre la riserva parlamentare a decidere su qualsiasi modifica del diritto interno, salvo delega esplicita a favore dell’Esecutivo, che non si è avuta però nel caso in esame.

Le due ricostruzioni approdano evidentemente a soluzioni opposte:la prima tesi porta a ritenere che l’attivazione del recesso dalla Ue rientri fra le attribuzioni del Governo, senza bisogno della previa autorizzazione parlamentare; la seconda nega legittimità a un tale modo di procedere.

L’Alta Corte ha preso partito per la seconda tesi, assumendo che fare o disfare le leggi del Paese spetta solo al Parlamento. Non lo può fare invece l’Esecutivo, nemmeno nell’esercizio delle sue prerogative in tema di trattati, a meno che non intervenga un’espressa delega parlamentare. Ma poiché questa non è rintracciabile nella vicenda Brexit, resta ferma la necessità della previa autorizzazione del Parlamento.

Londra aspetta il verdetto della Corte Suprema
Lasciamo ad altri approfondire la querelle costituzionale appena delineata. Il Governo britannico ha già annunciato che intende appellarsi alla Corte Suprema, per cui la questione sarà ulteriormente dibattuta. Preme però attirare l’attenzione su un problema interpretativo dell’art. 50 Tue, non controverso davanti all’Alta Corte, ma che potrebbe diventarlo nella successiva fase del giudizio.

Nella sentenza del 3 novembre si dà per pacifico che la notifica di recesso ai sensi dell’art. 50 Tue (i) non possa essere revocata, una volta data, e (ii) non possa essere condizionata a una successiva approvazione parlamentare. Esistono indubbiamente validi motivi per ritenere fondata questa interpretazione. Ma c’è da chiedersi se non sussistano anche argomenti in contrario, specie sul punto della irrevocabilità della notifica.

La questione sembra avere indubbio rilievo ai fini del decidere sul modus procedendidella Brexit. Se la notifica ex art. 50 fosse revocabile o condizionabile, il Governo britannico potrebbe inoltrarla in prima battuta, senza definitivamente pregiudicare la successiva approvazione del Parlamento.

Sull’interpretazione dei Trattati europei, i giudici nazionali di ultima istanza devono rinviare alla Corte di giustizia dell’Unione (art. 267 Tfeu). Così dovrebbe dunque fare la Supreme Court su richiesta di una delle parti o anche di sua iniziativa. Inutile notare che in tal caso i tempi della Brexit potrebbero ulteriormente diluirsi.

Gian Luigi Tosato è Professore Emerito di Diritto dell’Unione Europea, Università “Sapienza” di Roma.

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