Per tradizione Patria Indipendente, la rivista dei Partigiani d'Italia dedica un numero speciale alla data del 25 Aprile. Una tradizione che si rinnova ogni anno e che è ancora più apprezzabile in un panorama pubblicistico delle associazioni combattentistiche sempre più scarso.
(vedi post di questo blog in data 14 maggio 2014)
riportiamo l'articolo di Massim Coltrinari dedicato ad uno dei maggiori episodi della crisi armistiziale
Cefalonia
“Capire è impossibile, ricordare è un
dovere”
Cefalonia e le altre Cefalonie
dell’armistizio del 1943.
Oggi citare Cefalonia nella pubblica opinione italiana
ha un preciso significato: il sacrifico di migliaia di soldati italiani per mano
tedesca trucidati senza alcun motivo come rappresaglia e punizione per l’uscita
della guerra l’8 settembre 1943 da parte dell’Alleato Italiano. In più si può
aggiungere che tanta ferocia era la reazione tedesca alla constatazione, nel
settembre 1943, che la guerra era perduta. L’Italia l’aveva compreso e cercava
di uscirne sena altre tragedie, la Germania perseverava..
Cefalonia ha
assunto un valore simbolico, segno di sacrifico e dedizione alla Patria. Questa
presa di coscienza è dovuta principalmente all’azione del Presidente Ciampi che
dal 2003 in
poi ha voluto riportare al centro della attenzione questo immane sacrifico dei
saldati italiani, lui che ha subito, come sottotenente autiere, il dramma
armistiziale in Grecia.
Ma fino a Ciampi per molti italiani Cefalonia non voleva
dire alcunché. Anzi era meglio non parlarne, per non andare fuori del “
politico corretto”, soprattutto nell’ambito della storiografia accademica e
non. Gli stessi Reduci non preferivano parlare di questo segmento di storia
della Guerra di Liberazione e l’intero mondo della Resistenza dei militari
Italiani all’estero rimase confinato nella memorialistica e nei ricordi e
testimonianze personali.
Come il processo Eichmann nel 1962 è servito per far
entrare nella coscienza del mondo e soprattutto europea quello che è stata non
solo la Scioah, ma anche lo sterminio del “ diverso” (gli ammalati di mente, i
diversamente abili, gli omosessuali, gli oppositori politici, i Rom, i
testimoni di Geova, gli esseri considerati inferiori come lo erano i prigionieri russi e in genere
gli slavi ecc.), così Cefalonia rappresenta per la coscienza italiana il
sacrificio del soldato italiano che si innesta in quello rappresentato
all’Internamento in Germania ( siglizzato nella formula I.M.I) frutto della
tragedia armistiziale.
Che cosa era successo a Cefalonia?
Isola Greca , insieme a Corfù, era presidiata dalla
Divisione di Fanteria da Montagna “Acqui”, al comando del gen. Gandin, , che
aveva in organico 11.500 uomini per l’occupazione di queste importanti isole
greche. A questi uomini si aggiunsero all’indomani dell’armistizio, oltre 4000
uomini provenienti dalla’Albania, che si attestarono a Corfù
L’annuncio
dell’armistizio colse di sorpresa, come del resto tutto l’Esercito in
armi, anche il Comando della Divisione. Il gen. Gandin. Che aveva assunto il
Comando della “Acqui” solo qualche settimana prima, sostituendo il gen.
Chiminello che fu mandato a comandare la divisione “Perugia” il 1 settembre
1943. E’ importante questo in quanto le due divisioni si opposero ai tedeschi, la “Perugia” rimase in armi
combattendo i tedeschi fino al 3 ottobre 1943: ma i Comandanti erano “freschi”
d comando e non “conoscevano” i loro uomini, ma soprattutto non “conoscevano i
loro collaboratori. Passate le prime ore di incertezza, avuto da Atene, da cui dipendeva
indicazioni vaghe e contraddittorie (se i tedeschi non si muovo, non si deve
fare nulla) che permise ai tedeschi di organizzarsi, il 10 settembre l’ex
alleato dettò le sue condizioni: cedere le armi e darsi prigionieri: risposta
entro le 7 di sera. Iniziarono due giorni di incertezze: furono convocate
assemblee di ufficiali, prassi regolamentare nel regio Esercito che permetteva
ai Comandanti di conoscere l’opinione dei subordinati. Furono convocate anche
riunioni ristrette dei Comandanti di Corpo: pochi erano per la era resa ai
tedeschi e pochissimi volevano aderire; la stragrande maggioranza per il
mantenimento delle armi e opposizione anche violenta al tedesco. Gandin sapeva
benissimo che questo avrebbe significato rappresaglie tedesche. Troppo inesperto
delle cose della Divisione, per prende decisioni immediate. Intanto nell’isola
incidenti tra italiani e tedeschi si susseguivano a ritmo serrato, con i
tedeschi sempre più aggressivi, ed i soldati lasciati nell’incertezza. Il
personale dipendente diveniva sempre più irrequieto e partecipante alle
decisioni, cosa che in guerra è sempre foriera di tragedie. Furono ascoltati
anche i Cappellani: ma quale consiglio potevano dare se non quello da uomini di
Chiesa?.La decisione non era stata ancora presa sul cosa fare, quando il 15
settembre, zattere tedesche con armati si presentarono davanti alle batterie
italiane: i comandanti in sottordine, in particolare il Cap. Renato Apollonio
senza esitare ordinò di aprire il fuoco e respinse lo sbarco tedesco, provocando
morti e feriti ( la stessa cosa accadde il 29 settembre davanti a Porto Edda,
difesa dalla Divisione “Perugia”, con lo stesso risultato: i tedeschi vennero
respinti). Era lo scontro aperto. Se questa decisione fosse stata presa alla
sera dell’8 settembre, i tedeschi non avrebbero avuto tutte le possibilità
concesse in sette giorni di indecisione, e gli esiti dei combattimenti
sarebbero stati ben altri.
Iniziarono giorni di combattimenti e sulle prime gli
Italiani ebbero il sopravvento ( vennero fatti 500 prigionieri tedeschi, che
furono racchiusi in un campo di concentramento, debitamente marcato con i segni
germanici per evitare il cosiddetto fuoco amico; tali prigionieri dagli Italiani
furono rispettati secondo la convenzione di Ginevra del 1929, anche se l’Italia
non era in guerra con la Germania; a parti invertite, gli Italiani furono
trucidati. Si rifletta in Germania su questo aspetto, prima di emettere giudizi
sugli Italiani, su come si fa la guerra tra nazioni civili.). Cefalonia è anche
questo.
Ricevuti debiti rinforzi, i Tedeschi, soprattutto con
l’appoggio dell’aviazione tattica, ebbero modo di eliminare via via tutte le
posizioni Italiane. Peraltro gli uomini della 2Acqui” non avevano scampo, senza
l’appoggio della aviazione era impossibile resistere. E qui si apre il più
grande punto interrogativo degli eventi della “Acqui”, prima, e della “Perugia”,
poi: perche non furono soccorse? Perché non vennero aiutate e sostenute nella
loro azione contro i Tedeschi. Cefalonia, Corfù, la costa albanese con il porto
di Serrande era presidiata e tenuta da 20.000 italiani in armi. I tedeschi
compresero subito questo pericolo e furono spietati.
Il Comando Italiano era a Brindisi, ad un ora di volo
scarso, una notte di navigazione via mare, 55 kilometri di distanza. Convogli
in partenza da Porto Edda, toccando anche Corfù, raggiungevano Brindisi ed
Otranto. Il 19 settembre il ten. col Gigante della “Perugia” era partito da
Porto Edda e si recò a Brindisi. Ritornò, novello Attilio Regolo, a Porto Edda
con viveri, munizioni, un cifrario ed una Radio. Brindisi sapeva tutto, della
“Acqui” e della “Perugia” Cefalonia è
anche questo: mancate risposte e domande omesse.
Le giornate fino al 23 settembre furono drammatiche:
senza soccorsi, gli Italiani cedevano posizioni su posizioni fino a che a sera
del 23 anche l’ultima cadde. Da Brindisi nulla. Dagli Alleati, nulla. La
tragedia di Cefalonia inizia qui con la domanda: perche prima Gandin, e poi
Chiminello,con i loro soldati combattenti contro i Tedeschi sono stati
abbandonati a loro stessi?. Che significato poteva avere ribellarsi in un isola
al tedesco e non sperare nei soccorsi?
Prima di portare l’attenzione a quello che seguirà è
necessario riflettere su questo punto. Cefalonia merita una risposta.
Quello che seguì fu solo crimine di guerra, ferocia,
rabbia che si sfoga dopo il pericolo corso, rancore, ovvero i più bassi istinti
dell’uomo liberati senza alcun controllo.
Il 24 settembre viene fucilato il gen. Gandin, via via
tutti gli altri ufficiali, per poi passare ai soldati. Il calcolo delle perdite
a Cefalonia ancora non è stato fatto. Si deve partire da una situazione chiara:
La divisione Acqui
contava: 11525 di cui, 4000 a
Corfù a cui si devono aggiungere3500/4000 uomini giunti dall’Albania, a
Cefalonia vi erano, quindi 7525 uomini
circa.
I calcoli delle perdite sono varie a seconda dei dati
di partenza. In totale si parte da una cifra che va da 1647 Caduti in
combattimento e fucilati dopo la resa, alle ipotesi dei dati disponibili negli
anni novanta, secondo Giorgio Ro chat, che davano 6500 Caduti in combattimento
e fucilati dopo la resa più 3500 Caduti in mare durante il trasporto. Dopo gli
studi di Schreiber del 2001, Rochat parla di 3800 uomini Caduti in
combattimento e fucilati dopo la resa e 1360 morti in mare. Secondo i Comandi
tedeschi i Caduti in combattimento e fucilati dopo la resa sono 4000 e danno la
stessa cifra per i Caduti in mare. Dodici le ipotesi formulate dei dati finali,
tutte diverse tra loro a seconda dei dati di partenza.
Nella sostanza le cose mutano poco. I tedeschi
invocano il diritto “statario”, gli ordini ricevuti, le disposizioni superiori.
C’è, nel solco negazionista, chi sostiene che, in base
alla reazione italiana, i tedeschi erano nel loro diritto di sterminare gli
Italiani. Ma se gli ordini erano gli stessi, agli stessi Comandi, perché a
Cefalonia furono sterminati ufficiali, sottufficiali e truppa, mentre, per le
stesse azioni, in Albania contro la
“Perugia” furono fucilati solo gli Ufficiali? (198 Caduti ed
il resto inviato ai campi di concentramento.) Gli ordini non vanno ristoppati
ovunque, oppure si applicano a discrezione? Altro interrogativo di Cefalonia
I tedeschi esercitarono una rappresaglia massiccia sugli
Italiani, senza motivo e giustificazione alcuna se non quella belluina di dare “un esempio” e
terrorizzare i loro nemici, che altro
non era che il segno della loro debolezza, quale era la loro situazione nei
Balcani ed in Albania nel settembre 1943, con una guerra che dopo Stalingrado,
era perduta.
Cefalonia è questo.
Ricordare
Cefalonia, il simbolo di tutte le Cefalonie che hanno punteggiato la nostra
crisi armistiziale; ed anche qui, come per gli altri crimini tedeschi, Primo
Levy va citato “capire è impossibile, ricordare è un dovere”.