Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

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martedì 4 gennaio 2011

domenica 02 gennaio 2011


Cronaca dall’avamposto militare italiano di Bala Murghab

di ANNA ROLLI

Venerdì 31 dicembre 2010, ultimo giorno dell’anno, in Afghanistan, alle ore 14.50, secondo la versione ufficiale, il caporal maggiore Matteo Miotto, di 24 anni, è stato colpito da un cecchino, mentre era di guardia, e alle ore 15 è stato dichiarato deceduto. Matteo, alpiere della compagnia Alfa Coi, al comando del capitano Daniele Castriota, sarebbe tornato a casa a gennaio alla fine di una missione di sei mesi.

Ieri mattina ero in procinto di lasciare l'avamposto militare italiano di Bala Murghab tra l'allegria generale, un po' chiassosa e colma di aspettativa per il cenone e la festa serali, in un luogo, dove, ovviamente, le distrazioni per i soldati, a volte molto giovani, sono davvero poche. Ci siamo salutati come accade sempre, con scambi di indirizzi e-mail, di numeri di cellulari e di reciproche promesse di rimanere in contatto. L'attentato è avvenuto mentre noi, giornalisti in visita, eravamo in volo con i Black Hawk, gli elicotteri statunitensi, e dopo l'atterraggio, al rientro in base ad Herat, ci ha accolto un silenzio profondo, quasi solenne e volti chiusi, oscurati dalla mestizia e dal pudore. Abbiamo capito così, in un momento, che qualcosa di grave era accaduto.

Nel Camp Arena, sede del Regional Command West, solitamente chiamato base miliare di Herat per la sua vicinanza con la città afghana di Herat, ieri, durante la cena, il capo di Stato maggiore, generale Marcello Bellacicco, è venuto alla mensa. In piedi, con le mani dietro la schiena, ammutoliti, soldati e giornalisti, abbiamo ascoltato le sue parole colme di esasperazione e di dolore. La salma aereo-trasportata è arrivata alle 22.40, nel piccolo aeroporto di fronte ai commilitoni schierati, deposta nella camera ardente è stata vegliata per tutta la notte, mentre i pensieri di ognuno si volgevano alla famiglia di Matteo, al capodanno più triste della loro vita. Nel piazzale centrale sventolava a mezz'asta la bandiera italiana, affiancata stamane da quella spagnola, il contingente spagnolo ha deciso, infatti, di manifestare in questo modo, con umana gentilezza, la propria solidarietà.

Nel pomeriggio il generale Bellacicco ha tenuto una conferenza per i giornalisti. Noi italiani continueremo a lavorare come abbiamo sempre fatto, con razionalità e determinazione, ha affermato il generale, i nostri obiettivi sono la sicurezza e la stabilizzazione del paese, la linea quella di un progressivo disimpegno politico, amministrativo e militare, dovranno essere le forze afghane a combattere i talebani, gli afgani che stiamo addestrando.

Quando si combatte, però, episodi come quello di ieri possono accadere, anche perché un tempo gli insurgens avevano il predominio mentre ora sono in difficoltà e vogliono colpirci anche con aiuti che potrebbero venire dall'esterno. Noi costantemente controlliamo il territorio e lavoriamo per prevenire gli attacchi e per mantenere l'iniziativa e abbiamo la capacità di reagire immediatamente.

Il generale ha poi ricordato la lettera scritta a novembre da Matteo al sindaco di Thiene, suo paese d'origine, in provincia di Vicenza, nella quale il giovane soldato parlava dei suoi ideali e delle sue scelte, della vita militare intesa come servizio e degli alpini, delle loro storia, spirito e tradizioni. Una lettera nella quale il generale ha dichiarato di essersi identificato e riconosciuto. Un ragazzo che aveva capito il vero Afghanistan come i tanti commilitoni che fanno sacrifici ma hanno grandi ideali e valori.

Siamo stati tutti giovani e i giovani si entusiasmano, si appassionano, si parla di servizio, si dice che il militare nasce per servire gli altri e tutto ciò per loro può essere esaltante. Abbiamo qui una gioventù sana come i lagunari che rischiano la pelle e intanto regalano la loro colazione ai bambini afghani. Ragazzi che identificano il motivo per cui siamo qui, quanto possa essere creativo e quanto si riesca a dare in missioni coinvolgenti e rischiose ma l'importante per i militari è servire, è ritrovarsi nei propri valori. Il militare italiano è animato dai propri valori, noi siamo un'espressione dell'Italia e cerchiamo di rappresentarla al meglio, di dare prova di professionalità e di spirito etico.

C'è la commozione, la tristezza per un ragazzo ucciso in questa maniera ma non si tratta di una minaccia usuale, i frutti del buon lavoro fatto ci sono ancora, la shura del 20 dicembre a Bakwa è stata fondamentale e l'attentato potrebbe essere una risposta alla sua riuscita ma noi continueremo nella nostra politica di assistenza alla popolazione per erodere il consenso ai talebani. Il generale ha concluso, visibilmente commosso, invitando i genitori di Matteo ad essere tanto, tanto orgogliosi del proprio figlio.

Nel 2010, i nostri soldati sono stati colpiti più volte in Afghanistan dagli insurgens: i criminali fanatici talebani e i criminali comuni che si dedicano ad ogni sorta di traffici illeciti, soprattutto di oppio e di armi. Si contano nell'ultimo anno 13 caduti, l' attentato del 9 ottobre scorso, il più cruento, ha provocato la morte di quattro alpini e il ferimento del 5° in seguito all'esplosione di un ordigno nella valle del Gullistan, provincia di Farah, nel Sud Ovest del paese.

Scontri a fuoco si sono registrati a metà dicembre quando con l'operazione Bazar Arad "Libero mercato" l'8° reggimento alpini ha esteso la bolla di sicurezza di Bala Murghab di oltre un km quadrato verso Nord. A Natale si erano registrati tentativi di colpirci, tentativi fortunatamente falliti, non così a Capodanno. Hanno tentato di colpirci durante la nostra festa più cara, ci sono riusciti durante la nostra festa più allegra nella quale tradizionalmente ci si scambia i migliori auguri di felicità per il nuovo anno. Possono davvero cantar vittoria, i criminali che infestano questo sventurato paese. Ancora per poco, speriamo.

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