Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea 1796 -1960

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Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944

Il Corpo Italiano di Liberazione ed Ancona. Il tempo delle oche verdi e del lardo rosso. 1944
Società Editrice Nuova Cultura, Roma 2014, 350 pagine euro 25. Per ordini: ordini@nuovacultora.it. Per informazioni:cervinocause@libero.it oppure cliccare sulla foto

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giovedì 31 dicembre 2009

Storia e geografia della libertà europea:
dai regimi dei LAGER –GULAG, all’Unione dei Quindici Paesi (1939-2000)

Nella storia europea il secolo ventesimo, ce lo ricorda il Presidente Ciampi, si divide nettamente in due Capitoli.
Il primo, 1900-1945, contrassegnato da guerre d’aggressione, imprese coloniali, da due conflitti mondiali. Il secondo, 1950-2000, dalla pace più lunga della storia e dall’integrazione tra quindici Paesi europei. Paesi vittoriosi con l’alleata America sui regimi nazista e sovietico, entrambi crollati, per sempre, a Berlino: l’uno nel 1945 con la morte di Hitler, l’altro nel 1989 con la caduta del Muro e il successivo sfacelo dell’URSS.
I due “gemelli totalitari”, li chiama uno storico francese. (Dei quali il secondo – l’URSS – contribuì grandemente a distruggere il primo). Tutti e due avevano assunto il termine tedesco “lager” come distintivo del loro liberticidio: Gulag in russo significa Direzione Statale dei Lager.
In un autorevole articolo di fondo nel “Corriere della Sera” (26 Sett. 2002) Alberto Ronchey scrive: “Nel nostro tempo rimane incancellabile il ricordo dei dodici anni del Terzo Reich e del genocidio nazista, paragonabile o no al ricordo del Gulag e del genocidio stalinista”. Secondo me quelle parole “o no” sono di troppo. La storia è anche “paragone” e paragonare fra loro due regimi liberticidi è perfettamente lecito. Soprattutto perché, sulle macerie del primo, è poi nata la libera unione europea dei 15 e sulle macerie del secondo Unione Europea e NATO si sono estese fino all’ex Unione Sovietica.
Hitler e Stalin. Vi è un famoso documento storico che comprova il loro pactum sceleris che durò due anni. E’ del 28 Settembre 1939, dopo la distruzione della Polonia da parte nazista e sovietica. Leggiamo: “Germania e URSS hanno creato una solida base per una pace durevole in Europa Orientale. I due Stati sono convinti che la cessazione dello stato di guerra tra Germania e Francia ed Inghilterra sarebbe nell’autentico interesse di tutti i popoli … Se gli sforzi di pace della Germania e dell’URSS non avranno successo, ne conseguirà che solo Francia e Gran Bretagna sono responsabili per la prosecuzione della guerra imperialista”.
Così si esprimono i due “gemelli totalitari”. Chiamano “imperialista” quella che sarà la guerra di liberazione europea dal liberticidio.
Il primo dei due regimi, quello nazista, è stato sconfitto dopo sei anni di guerra mondiale. Il secondo è caduto dopo quarant’anni di “guerra fredda”, per implosione e bancarotta; il suo esercito si è ritirato di duemila chilometri dal cuore della Germania, dove era schierato contro gli eserciti dell’Alleanza Atlantica. Due regimi scomparsi dalla storia. Vittoria epocale della libera Europa.

Abbiamo detto che dalla caduta del primo regime, colpevole dell’Olocausto e dell’asservimento di oltre dodici paesi europei, è nata, in occidente, l’Europa Unita. Con la caduta del secondo, quella libertà si è estesa all’Europa centro orientale. Oggi, queste due Europe cercano di fondersi nell’Unione. Un lontano profeta, Benedetto Croce, aveva previsto fin dal 1932 che “l’unione europea un giorno potrà liberare l’Europa dalle competizioni dei nazionalismi”. Ma Croce scriveva prima dei gulag e dei lager, prima dei regimi d’annientamento: dunque prima della “riduzione all’assurdo dei nazionalismi” dominati da quei regimi, oltre al nazionalismo fascista, legato da Mussolini col patto d’acciaio al regime hitleriano.

E’ una libertà molto imperfetta quella d’oggi in Europa perché la democrazia – che è l’organizzazione politica delle libertà, con le sue istituzioni parlamentari – non si è ancora consolidata nell’unione.

Ma almeno questa svolta quasi federale ha provocato in Europa ovest la “retrocessione in serie B” dello stato nazionale anteguerra, a sovranità assoluta, con le sue alleanze militari, segrete le continue guerre di conquista (ce le ricorda Luigi Einaudi, gia presidente della Repubblica, insigne economista, nel suo libro “L’Europa e la guerra mondiale).


Ora in Europa occidentale, il totalitarismo non esiste più: è sparito come sparì, in occidente, nel secolo XIX, demolito dalla rivoluzione francese l’assolutismo feudale di “diritto divino”. Cinquant’anni di pace in Europa occidentale dopo cinquant’anni di guerra. Che lunga strada ha percorso l’Europa, da Yalta a Maastricht: da “oggetto” di diritto, in gran parte, a “soggetto” forse avviato alla sovranità sopranazionale.

Ma sono proprio due le Europe sorte dopo i lager – gulag? In realtà oggi ve ne sono quattro: la nostra unione dei quindici; poi i tredici paesi candidati all’unione; in seguito l’Europa delle tante etnie rivali, Bosnia Kossovo, Macedonia, Albania, Montenegro, infine la nuova federazione russa.

Sarà compito delle prime due Europe di “europeizzare” la terza nella libertà e di farla “guarire dalla sua storia cruenta”. Anzi, proprio questa sfida storica servirà ad accelerare – come tutte le sfide subite in passato (assedio di Berlino ovest da parte di Stalin, asservimento dei paesi dell’Est, invasione della Cecoslovacchia, crisi di Suez, ecc.) – la difficile fusione della prima e il lento collegamento con la seconda. Beninteso, nell’interdipendenza con gli Stati Uniti, garantita dal Patto atlantico e nella cooperazione con la nuova Russia, oggi presente con le sue sentinelle di pace nel Kossovo insieme a trenta nazioni ed alleata dell’America contro il terrorismo internazionale.


In conclusione: più di una creatura politica nuova è venuta al mondo subito dopo la guerra mondiale e dopo la caduta del genocidio. In Europa occidentale furono uomini di frontiera, come il renano Adenauer, l’alsaziano Shuman, il belga Spaak, il trentino De Gasperi, provenienti da terre invase cento volte dal nemico, a creare su ispirazione di Jean Iunnet e di Alterio Spinelli un protagonista nuovo sull’“area fabbricabile” sorta sulle macerie del nazismo, delegando e relegando Sei stati europei al ruolo di soci fondatori della prima Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio. Ma altrove, in Medio oriente, i congiunti dei sei milioni di vittime dell’olocausto hanno creato Israele.

Questi traumi e questi torbidi nonché le gravi congiunture economiche devono servirci a consolidare quel ruolo di equilibrio politico che spetta all’Europa insieme all’America e che spesso l’Europa esita a realizzare: tanto che è stata definita gigante economico e nano politico. La crescita, giorno dopo giorno, è affidata a ciascuno di noi: perché si creino finalmente quegli Stati Uniti d’Europa – ossia una grande democrazia federale – intravisti e sognati dai padri fondatori, profughi delle esperienze della guerra di liberazione.
Ciascuno di noi deve anche contribuire alla difesa contro ogni ricaduta liberticida.

In Europa, cadute tutte le ideologie – fascismo, nazismo – l’unica “idea – forza” realistica, nell’era della globalizzazione, è il federalismo Europeo che deve traghettare i Quindici verso una vera federazione politica.
In questo viaggio della memoria diamo uno sguardo agli anni decisivi: il crollo, uno dopo l’altro, dei due regimi dello sterminio, e gli albori dell’Europa Unita che faticosamente si unisce ogni giorno di più. Pochi episodi determinanti messi in luce per evidenziare la prima resistenza europea e poi la vittoria, sull’onda lunga della storia.

Guerra ’39 - 45
La battaglia d’Inghilterra
Un cenno di Edgardo Sogno, medaglia d’oro
Il tributo di Winston Churchill ai pochi piloti che salveranno l’Inghilterra dall’invasione nazista, contribuendo così a salvare anche la libertà dell’Europa invasa da Hitler, trova un’eco chiara e netta anche in Italia. Un eroe della nostra Resistenza, Edgardo Sogno, Medaglia d’Oro al valor militare così ne scrive “La pietra e la polvere”. “… I nostri inglesi, i nostri. I “piemontesi” d’Europa…. Sono loro, soltanto loro hanno salvato tutto. Resistendo sotto le bombe, conservando il dominio del cielo … La vera svolta della guerra era lì: 1940. Nel reggere al primo urto tra la democrazia disarmata e la valanga di ferro … Perché è la guerra: contro i campi di sterminio di Hitler. Per la libertà d’Europa”.
Ecco qualcuno che aveva percepito il significato profonda del conflitto ’39-45: la guerra contro i campi di sterminio, quintessenza del regime nazista. Confesso che rileggendo le pagine di Sogno scritte trent’anni fa ho provato un momento d’autofiducia, di soddisfazione personale. Sì perché in decine d’incontri con i giovani, quale Vice Presidente dei Combattenti della nostra guerra di Liberazione, 43-45, ho sempre cercato di definirla come contributo alla guerra europea di liberazione dal genocidio. Ed ho aggiunto che un tema storicamente contiguo era il crollo del regime sovietico, crollo che ha liberato l’intera Europa dell’Est. Due Europe sottoposte nel tempo a due egemonie totalitarie: due liberazioni, e poi, unione delle due Europe liberate. Non è forse il tema centrale del secolo 20°? Che vede sorgere, decollare e morire tre ideologie e tre regimi liberticidi ed al loro posto riemergere l’idea della libera Europa, unificante 30 paesi europei nonostante le immense difficoltà che sorgono sulla sua rotta: libertà ossia disponibilità di sperimentare e perseguire, senza oppressione, ogni verità innovativa e aggregante.
Sentite ancora Edgardo Sogno: “.. La ragione vera di questa guerra è la nostra rivolta umana contro il nazismo, schiacciare il serpe, schiacciare Hitler. Riconquistare un regime di libertà solo formale? Sì formale, ma finché si vuole vivere come in Inghilterra e negli Stati Uniti è già risolvere due terzi del problema”.


Ha parlato un combattente della Resistenza europea. Diamo ora la parola a tre Premi Nobel. Essi si chiedono:
Si può comprendere l’arrendevolezza dell’Europa, negli anni trenta verso il nazismo? Forse, perché era incapace di intendere e di volere, il che è almeno un’attenuante. Incapace di intendere perché non sapeva e di volere perché, non sapendo, non reagiva. Ma per avere un’idea dell’assoluto negativo di quella tragedia ascoltiamo Francois Mauriac che intervista un altro più giovane Premio Nobel, Elie Wiesel. Il terzo, Alexander Solgenitsin, non so se abbia incontrato i primi due: ma prenderà la parola sul Gulag (o se preferite lo “stragismo”) sovietico. La storia, lo sappiamo, né perdona né condanna. Registra. Ma a noi basta; per dirci d’accordo con Mauriac sull’ “iniquità assoluta di quei regimi e che descrive il loro crollo e la nascita lenta faticosa travagliata delle tre creature nuove nel 1945: un’Europa unita, uno Stato sovrano d’Israele – prodotto dall’olocausto -, una Russia, avviata finalmente dopo più di 80 anni alla malcerta democrazia”.
Dice Mauriac a proposito del suo incontro con Wiesel: “Credo che quel giorno ho toccato per la prima volta il mistero dell’iniquità, la cui rivelazione doveva segnare la fine di un’era e l’inizio di un’altra. Il sogno che l’uomo occidentale concepì nel 18° secolo, la cui alba credé di scorgere nel 1789 … era diventato più forte con il progresso dell’illuminismo e le scoperte della scienza: questo sogno svanì finalmente per me (nel 1942) davanti ai treni carichi di bambini (Wiesel era stato uno di quei bambini ebrei rapiti e deportati dalle SS, N.d.A.). E tuttavia io ero ancora a migliaia di miglia dal sapere che sarebbero diventati carburante per le camere a gas e il crematorio” (E. Diesel: “Notte”, Parigi, 1958).
Dunque, nemmeno il Premio Nobel Mauriac sapeva.
Quest’ignoranza di milioni d’europei potrebbe, da sola, dare le proporzioni del delitto contro l’umanità. Wiesel descrive Auschwitz, Solgenitsin i campi di morte che durano ancora decenni dopo la scoperta d’Auschwitz.
L’Europa non sapeva. Un solo esempio. Quando l’Inghilterra reagì contro il nazismo invasore della Polonia il 3 settembre 1939 il Re Giorgio VI rivolse un discorso alla nazione quasi identico a quelli del 1914 per la guerra contro la Germania Guglielmina: parlò di sopruso contro il diritto internazionale, di trattati infranti, di libertà in pericolo, di volontà di dominio. La parola genocidio non era stata ancora inventata. Doveva essere, solo sei anni dopo, uno studioso polacco a capire che “strage”, “massacro”, ecatombe erano inadatte a descrivere la disumanizzazione nazista.
Il Premio Nobel Mauriac aprì gli occhi anche lui in ritardo dinanzi all’iniquità epocale che aveva mutato il corso della storia.
Era lo stesso smarrimento che attanagliò i soldati americani che liberarono Buchenwald. Lo stesso Eisenhower, che corse a visitare l’immenso campo di sterminio finì col ritirarsi dietro una baracca per vomitare. Stessa reazione dei fanti inglesi dell’Armata di Montgomery. Solo allora le armate capirono chi era veramente il nemico. Capirono che i fanti tedeschi che morivano per difendere il “sacro suolo della patria” erano i serventi inconsapevoli del regime del genocidio, del razzismo della morte, che esigeva lo spazio vitale dei “sottouomini” imponendo la supremazia degli Herrenvolk germanici. “Non licet esse vos”.


Italia 1945. Mi sia permesso un ricordo molto personale Io stesso che scrivo, non sapevo tutto questo pur combattendo con un battaglione sul fronte italiano, né sapevano i miei camerati di cento etnie diverse nell’8° Armata britannica. La guerra mondiale, da noi, finì il due Maggio. In quei giorni eravamo a riposo vicino a Rovigo con la mia 8° Divisione Indiana accanto al Gruppo “Cremona”. “Andiamo a vedere un film al NAAFI Club (Navy Air Army Forces Institution). Era un posto di ristoro per le truppe. Il film era preceduto da un documentario fatto dall’ufficio informazioni dell’esercito americano in Germania sulla liberazione del Campo Dachau. Il campo rigurgitava di cataste di cadaveri nudi, scheletrici, quasi ombre dantesche. I soldati inglesi usavano il bulldozer per spingerli nelle fosse comuni. Parlamentari britannici ed americani erano volati in Germania su pressante richiesta del Generale Eisenhauer per assistere allo spettacolo dei campi appena liberati. Quel giorno io percepii netta la sensazione di perdere un po’ della mia vita. Si può morire solo un poco? L’orrore ci paralizzava. Anche noi “non sapevamo”. Avevamo visto, nell’ultima battaglia sul Senio, due alte colonne di fiamme, sugli argini, dove i lanciafiamme dei carri Sherman iniettavano i loro getti sugli argini del fiume Senio, difesi da un reggimento di Grenadien tedeschi. Ripensavo a quei getti di fiamme, vedendo il fumo dei forni crematori. Lest we forget. Per non dimenticare. Diceva la scritta sul cartello eretto dai soldati inglesi sulla porta del campo.


Ascoltiamo ora il terzo Premio Nobel:
il massimo testimone vivente della Russia di Stalin: l’autore di “Arcipelago Gulag”, il Capitano d’artiglieria Alessandro Solgenitsin.
“E come definire la distesa sconsiderata, impietosa ed incalcolabile di cadaveri dei soldati dell’Armata rossa sulla strada delle vittorie di Stalin nella guerra russo tedesca se non sterminio fisico del proprio popolo? Lo sminamento dei campi minati mediante il passaggio della fanteria che veniva mandata avanti su quei campi non è neppure l’esempio più clamoroso. Dopo i “sette milioni”di perdite riconosciute da Stalin ed i “venti milioni” di Krusciov finalmente oggi la stampa russa pubblica la cifra reale: 31 milioni”.
Una cifra che lascia senza parole – un quinto della popolazione.
E’ lo stesso Solgenitsin che ha descritto nel Gulag il rimpatrio dei milioni di prigionieri sovietici dalla Germania. Ma “rimpatrio” è inesatto: essi furono trasferiti dai lager nazisti al lager sovietici. Perché non si doveva sapere che tre milioni di soldati si erano arresi ai tedeschi nella sola estate 1941. Egli commenta: “La falla nei reali sentimenti del popolo russo verso il potere si poté manifestare – e con quale evidenza si manifestò – soltanto nella guerra con la Germania”. E conclude “Durante i primi mesi di guerra il potere sovietico sarebbe potuto ancora facilmente crollare, liberarci dalla sua presenza, se la stupidità razzista e l’arroganza degli hitleriani non avessero dimostrato alla nostra gente, distrutta dalle sofferenze patite, che non bisognava attendersi nulla di buono da un’invasione tedesca: è unicamente grazie a questo che Stalin rimase al potere”.
La conclusione del Capitano Solgenitsin – imprigionato in uno dei campi del Gulag perché aveva visto e detto il vero – è una sentenza senza appello: “Tutte le perdite subite dal nostro popolo nel corso dei trecento anni, a partire dai Torbidi del secolo XVII, non reggono il confronto con le perdite e la decadenza causate da 70 anni di comunismo. In primo luogo qui parliamo di distruzione fisica degli individui. Secondo calcoli indiretti di vari esperti di statistica la guerra intestina permanente (notiamo questa definizione ineccepibile N.d.A.) che il governo sovietico condusse contro la propria gente costò alla popolazione dell’URSS non meno di 45 o 50 milioni di vittime.


E infine. Due conclusioni.
Berlino. Aprile 1945. Gli uomini del Secondo Reggimento Guardie dell’Armata sovietica di Zukov sono a due passi dal Bunker di Hitler. Guardate sulla carta. Marciano da un anno e mezzo: quanti chilometri da Stalingrado a Berlino? L’ultimo muro del Bunker crolla sotto i colpi dei lanciarazzi. Due compagnie di fanti entrano nel Bunker. Fra i cadaveri ce n’è uno, bruciato. Adolf Hitler.
Il regime nazista del genocidio (1933-1945) è crollato. Non esiste più.


Muro di Berlino Aprile 1989. 300 milioni d’europei guardano il telegiornale. Che succede? Il muro di Berlino sta crollando. Fiumane di berlinesi dell’Est corrono verso
Belino Ovest. La Germania si sta liberando dal secondo dei due regimi di un liberticidio che durava dal 1933. Nell’Aprile 1945 la Germania Est ha ottenuto la liberazione, ma senza la libertà. Dalla tirannia nazista è passata alla tirannia sovietica. Ora i due gemelli totalitari sono crollati: tutti e due, vistosamente, a Berlino. Dopo qualche anno le armate russe d’occupazione in Germania Est, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Estonia, Lituania, Lettonia si ritirano. Sul fiume Elba, nel cuore della Germania, due eserciti si fronteggiano dal 1945: quello dei Paesi del Patto atlantico e quello russo. Un giorno, l’esercito russo si ritira, di 2.000 chilometri. Si ritira nella federazione russa. Di fronte all’esercito dell’Alleanza Atlantica non c’è più nessun avversario: ci sono invece tre nuovi alleati, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca. Berlino 1945. Berlino 1989. La geografia della libertà che si era ridotta nel 1949 alle isole britanniche si estende di migliaia di chilometri fino alla Polonia ed oltre. Arriva anche nella terra di Tolstoi e Dostoieski?
La guerra fredda l’ha dunque vinta l’occidente.
Ma per comprendere questo sviluppo di una storia d’Europa ricordiamo che l’Europa unita non nasce come unione doganale od economica. Nasce (e oggi cresce) come unica soluzione post bellica dopo la debellatio dei regimi totalitari in seguito alla riduzione all’assurdo dei nazionalismi con la guerra mondiale. Se questa chiave di lettura fosse poi criticata dai lettori del Secondo Risorgimento ne saremmo lieti.


Quest’Europa, vittoriosa con l’America contro i due regimi storici dell’annientamento, saprà vincere la riluttanza dei quindici Stati a creare una vera federazione? Due Capi di Stato, i Presidenti italiano e tedesco, due soli in tutta Europa, hanno auspicato un’unione più forte: ossia lo “zoccolo duro” che i pochi palesi “federalisti” siano autorizzati, dai molti ad istruire, con un vero governo, un vero Parlamento, un Seggio al Consiglio di Sicurezza, una sola politica estera e di difesa. Rimangono inascoltate. Il prossimo anno la Convenzione europea sfornerà la Costituzione. Anche il termine è improprio: la Costituzione in Diritto pubblico è la legge suprema di uno Stato, e l’Unione non lo è e non lo sarà. Sappiamo già che la sovranità continuerà a spettare ai singoli Stati. I 15 detentori del potere non intendono privarsene. Come grande passo avanti vi saranno votazioni a “maggioranza ponderata” nel Consiglio dei Ministri su argomenti di “interesse comune”. Vi sarà il coinvolgimento di Consiglio di Commissione. E sarà certo confermata a Bruxelles l’istituzione di un rappresentante dei 15 sempre pronto a partire per Washington o Mosca in caso di crisi. “ad audiendum et referendum” ma privo di qualsiasi potere decisionale.
Tutto qui? Invece della Federazione Europea saranno la Federazione americana e la Federazione russa come sempre a condurre il gioco. Il sogno di Monnet, Spack, Adenauer, Shuman, De Gasperi è svanito da tempo. Ma nessun politico oggi ha il coraggio di ammetterlo. Anche perché la maggior parte di loro oggi ignora chi fossero. Erano tutti uomini della Resistenza che prefiguravano l’unica Europa veramente capace di affrontare le sfide dell’avvenire.
Alessandro Cortese de Bosis

martedì 29 dicembre 2009

L’ITALIA:
SITUAZIONE GENERALE STORICO-MILITARE
Amm. Ferdinando Sanfelice di Monteforte
Quando, nel pieno dell’estate del 1914, le Potenze europee si lasciarono trascinare verso l’ignoto percorso della guerra, l’Italia stava ancora digerendo gli effetti della guerra con la Turchia. Mentre la Marina, trionfatrice in tutti gli scacchieri, si apprestava a ricevere le navi nuove, che un previdente programma di costruzioni le aveva assicurato, l’Esercito era ancora impegnato a lottare contro i cosiddetti “ribelli” libici.
Si trattava, in realtà, di alcune fra le migliori truppe ottomane, dirette da generali di prim’ordine, che avevano sostituito Enver Bey e Kemal Pascia – che poi prese il nome di Atatürk - ma erano del loro stesso calibro, e le frequenti incursioni di sorpresa, nei punti più deboli del dispositivo italiano, lo dimostravano.
Sul piano più generale, poi, vi era la necessità di trarre le conseguenze del nostro cauto, ma costante, allontanamento dagli Imperi Centrali, in termini di configurazione dello strumento militare. Fino ad allora, infatti, tutta la pianificazione delle forze si era basata sul fronte occidentale, che si estendeva dalle Alpi alla costa dell’Alto Tirreno, continuando con la Sardegna e quella parte della Sicilia prospiciente Biserta.
Questo fronte era integrato da due riserve strategiche, la prima terrestre, ubicata nella Pianura padana, e la seconda costituita dalla flotta, basata a La Spezia, ambedue pronte ad intervenire rapidamente per sventare il pericolo di uno sbarco francese in Toscana, evento che – qualora coronato da successo - avrebbe tagliato in due la nostra penisola, impedendo qualsiasi resistenza organizzata, capace di combattere per un tempo consistente.
Nel caso di un’Italia fuori della Triplice, invece, la situazione cambiava radicalmente, con la Marina che avrebbe dovuto operare nell’ “amarissimo Adriatico” teatro insidioso e composito, dove chi controlava la Dalmazia godeva di un enorme vantaggio strategico, potendo attaccare di sorpresa, quando voleva, le nostre coste, lunghe e sabbiose, quindi incapaci di fornire le basi per le nostre forze di contrasto ad una tale minaccia.
Oltretutto, una linea ferroviaria principale, indispensabile per rifornire “la fronte”, come si diceva allora, correva lungo le nostre spiaggie, ed era quindi completamente esposta all’interdizione nemica.
Il fronte terrestre, poi, non finiva mai, iniziando in Lombardia, proseguendo sul Lago di Garda, con il cuneo del Trentino-Alto Adige piantato nel bel mezzo del nostro schieramento, per finire in pianura, ed arrivare al mare sul bordo orientale della Laguna veneta, all’altezza di Grado. Solo per presidiarlo, ai fini difensivi, sarebbero state necessarie forze terrestri che, in tempo di pace, l’Italia non aveva.
È ben vero che, qualora si fosse arrivati alla guerra aperta, a fianco delle Potenze dell’Intesa, un moderno Esercito, capace di manovrare in quel tratto, fra le Prealpi e l’Adriatico, avrebbe potuto conseguire successi decisivi, qualora fosse stato in grado di agganciare l’avversario su quel terreno. Nel caso, però, di ordinato ritiro del nemico, nella tradiziona dell’Arciduca Carlo, le nostre forze si sarebbero trovate di fronte le Alpi orientali, attraverso le quali esse avrebbero incontrato quelle stesse difficoltà che Napoleone dovette affrontare nel 1797, e sulle quali scrisse al Direttorio, a proposito della sua campagna in Carinzia:
“se il nemico avesse commesso l’errore di attendermi, io lo avrei battuto, ma se avesse continuato a ritirarsi, si fosse ricongiunto con le sue forze del Reno, e mi avesse sopraffatto, allora la ritirata sarebbe stata difficile, e la perdita dell’Armata d’Italia avrebe potuto comportare quella della Repubblica”[1].
Come si può notare, il rischio di essere battuti, nel difficile teatro delle Alpi orientali, e le possibili conseguenze di un tale rovescio erano note fin da oltre un secolo prima, e Caporetto non fu qualcosa di assolutamente imprevedibile.
Purtroppo, la politica non consentiva di predisporre quanto necessario, per fronteggiare la nuova situazione strategica, predisponendo programmi che avrebbero dato nell’occhio, ed avrebbero giustificato le proposte di Conrad, messe sul tappeto fin dal 1911, miranti ad un attacco preventivo contro di noi.
La conclusione fu che il nostro Esercito, nel periodo della nostra neutralità, rimase nel limbo dell’incertezza, cercando di predisporre qualcosa per una mobilitazione generale, e poco di più, mentre le sue risorse venivano continuamente erose dalle esigenze del teatro libico.
Neanche la Marina sviluppò appieno le forze necessarie per operare in Adriatico, limitandosi allla confortante certezza che la sua flotta, che presto si sarebbe basata sulle 5 dreadnought classe Cavour, oltre alla Dante Alighieri, era decisamente superiore a quella Austro-Ungarica.
La nostra neutralità, quindi, oltre ad pienamente giustificata da validissime argomentazioni giuridiche, era, nel 1914, l’unica vera alternativa all’entrata in guerra a fianco della Germania e dell’Austria-Ungheria, essendo il nostro fronte terrestre sguarnito, di fronte ad un rischio di attacco da Nord e da Est.
Non solo, ma i neutralisti che erano al seguito di Giolitti avevano molte frecce al loro arco, per dimostrare la nostra convenienza a rimanere alla finestra, in una lotta fra titani che, non essendosi decisa in un mese, come inutilmente sperato dallo Stato Maggiore tedesco, presentava già tutti gli elementi di una guerra di attrito, lunga e sanguinosa.
Va detto, però, che il passare del tempo rassicurava il fronte politico interventista, visto lo scacco austriaco, nei confronti della Serbia, le durezze del fronte galiziano, e l’impossibilità della Germania di soccorrere l’alleato, essendo già impegnata su due fronti e mezzo, e precisamente ad occidente, ad oriente, oltre che per puntellare l’esercito ottomano, nella sua lotta contro i Britannici.
Purtroppo, mentre il dibattito politico si faceva sempre più intenso, e talora aspro, in Parlamento nessuno si muoveva per finanziare i preparativi per predisporre i mezzi, come l’artiglieria per l’Esercito ed i treni armati per difendere la ferrovia adriatica, che avrebbero consentito, alle nostre forze, di conseguire i successi auspicabili, una volta entrate in campo al fianco dell’Intesa.
Siamo arrivati, si badi bene, ad una costante storica del nostro Paese: la diplomazia italiana negozia, con la consueta abilità, la classe politica discute animatamente, coinvolgendo appieno, ed interpretando fedelmente, gli orientamenti della nostra opinione pubblica, ma nessuno, nel Parlamento o nel governo, si preoccupa di creare un minimo di quelle condizioni che renderebbero attuabile quanto viene auspicato.
Il 24 maggio, quindi, l’Italia fu in grado di opporre, all’Esercito Regio ed Imperiale, essenzialmente una muraglia umana, anche se la manovra di avanzata dei nostri uomini colse di sorpresa il nemico, tanto che alcuni Reparti dovettero ripiegare, dopo aver trovato delle falle nel suo schieramento, cosa che, evidentemente, non si era in grado di sfruttare. Venne quindi la guerra di trincea, il continuo succedersi di punture di spillo, fra forze navali, impegnate in una reciproca interdizione, e solo allora iniziò quella serie di programmi di potenziamento delle capacità, che ci consentirono di reggere per due anni e mezzo, avanzando lentamente verso quella trappola, Caporetto, che Napoleone giustamente paventava, e che, fortunatamente, non causò il nostro crollo totale.
Va detto, ad onor del vero, che, oltre alla voglia di rivincita, dopo l’insuccesso di Gallipoli, il salvataggio dell’Esercito serbo, cosa di cui dovremmo essere più fieri, fu l’occasione, per l’Intesa, di stabilire quel fronte sul Vardar che, alla fine risultò decisivo per l’esito della guerra.
Sul mare, poi, le principali difficoltà si ebbero fuori dell’Adriatico, da quando la campagna dei sommergibili fu lanciata, da parte degli Imperi Centrali. L’unico vero rischio di sconfitta, per l’Intesa, venne da questa campagna, che ci coinvolse direttamente, avendo noi la responsabilità di bloccare l’accesso all’alto mare per i sommergibili nemici.
In tutto quel periodo, va ricordato, prima di concludere, l’Italia funzionò in modo inusuale, con il re Vittorio Emanuele III al Quartier Generale di Udine, ed un Ammiraglio, Tomaso di Savoia-Genova, che svolse, fino al 1919, il ruolo di Luogotenente del Regno. Un simile assetto era stato fatale per la Russia, mentre per noi, bene o male, funzionò, grazie alla qualità del Luogotenente, i cui meriti non saranno mai riconosciuti abbastanza.
In definitiva, la prima guerra mondiale mostrò al mondo che l’Italia aveva quella coesione indispensabile per affrontare sfide difficili. Purtroppo, le ambizioni spropositate dei nostri governi, in materia di guadagni territoriali, a conflitto ultimato, diminuirono grandemente il rispetto che il valore del nostro popolo, in prima linea e sul mare, ci aveva meritato.
Anche questa è una nostra costante, nel volere quello che, spesso, non siamo poi in grado di conservare, con le nostre forze.

Amm. Sanfelice di Monteforte

[1] A.T. MAHAN. The Influence of Sea Power upon the French Revolution and Empire. Samson, Low, 1894, Vol. I pg.234.

mercoledì 11 novembre 2009

GUERRA E PACE NEL XXI SECOLO
Antonio Pelliccia

Ancora una volta è soffiato impetuoso il vento di guerra che ha indotto filosofi, scienziati, psicologi e teologi a interrogarsi nuovamente sull’origine di questo fenomeno sociale che B. Croce definì una febbre che periodicamente scorre nelle vene degli uomini, inducendoli a lottare per sopraffarsi l’un l’altro e per uccidersi.[1]
Tra i maggiori, James Hillman sostiene che la guerra è una sfida per la psicologia, forse la prima delle sfide a cui la psicologia deve rispondere. Nel suo libro si era posto lo scopo di “scoprire i miti, la filosofia e la teologia della psiche profonda della guerra”..[2]Ma la sua sconsolante conclusione è stata che “la guerra appartiene alla nostra anima come verità archetipica del cosmo. E’ un’opera umana e un orrore inumano e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere. Possiamo aprire gli occhi su questa terribile verità e, prendendone coscienza, dedicare tutta la nostra appassionata intensità a minare la messa in moto della guerra…” [3]
Venticinque anni fa anch’io mi dedicai allo studio dell’essenza della guerra, perché ero convinto che esso fosse fondamentale e necessario per la ricerca dei nuovi orientamenti dottrinali[4]che volevo
intraprendere. Un’indagine provocata principalmente dall’osservazione che la lotta nell’aria, dal punto di vista teorico, aveva incontrato formidabili ostacoli al suo sviluppo: non ultimo l’incapacità della dottrina di guerra aerea di adeguarsi con la stessa rapidità alla vertiginosa evoluzione dell’aviazione militare.
Nell’accingermi a questo interessante e difficile lavoro, non trascurai le molte cause, individuate da Gaston Bouthoul,[5]che s’oppongono all’indagine scientifica del fenomeno bellico. Ne cito le due più importanti: la pseudo evidenza della guerra, dovuta al fatto che tutti presumiamo di conoscerla e l’illusionismo giuridico, vale a dire l’illusione che Diritto Internazionale, Trattati e Convenzioni possano evitarla.
Le principali teorie che esaminai non m’illuminarono molto sulla sua essenza anzi, la contraddittorietà e l’esasperazione della tecnica impiegata dagli “strateghi scientifici” nei loro ragionamenti, scrissi, mi sembrarono dispute tra professori di logica. Convinti d’aver sostituito gli strateghi militari e di possedere conoscenze e rigore
intellettuale che questi non avrebbero, gli analisti civili avevano
finito, infatti, per combattersi a vicenda per la supremazia della logica classica o di quella matematica.
La mia indagine mi fece concludere che la risposta alla domanda sulla natura del fenomeno bellico andasse ricercata nella moderna interpretazione del pensiero filosofico di Clausewitz. Tale, infatti, lo considerò Benedetto Croce il quale scrisse che “Solo la unilaterale e povera cultura degli ordinari studiosi di filosofia, il loro inintelligente specialismo, per così dire, del costume loro li tengono indifferenti e lontani da libri come questo del Clausewitz, che essi stimano di argomento a loro estraneo e inferiore, laddove in effetto contengono indagini che entrano, e in modo assai concreto, nel vivo di taluni problemi filosofici…”[6]In particolare, dopo un approfondito studio della sua filosofia della guerra, e in seguito a lunga meditazione sulle ragioni che l’avevano indotto a enunciare la nota concezione dualistica del fenomeno, mi convinsi che la risposta era proprio nella risoluzione di quel dualismo: guerra assoluta e guerra reale. Cosa che feci ispirato dalle seguenti parole dello stesso Clausewitz: “Se la guerra fosse una manifestazione completa, indisturbata, assoluta di forza,quale dovremmo dedurla dalla pura astrazione allora, dall’istante in cui la politica le ha dato vita, si sostituirebbe a essa come qualcosa di assolutamente indipendente, l’eliminerebbe, seguendo soltanto le proprie intrinseche leggi, come l’esplosione d’una mina non più suscettibile d’essere guidata dopo che è stato appiccato il fuoco alla miccia”.[7]Queste parole, la differenza che Croce fa tra “violenza” e “forza”(l’una “distruggitrice” e l’altra “costruttrice”) e altre considerazioni mi fecero pervenire alla conclusione che la guerra assoluta è un fenomeno prettamente teorico che, con l’attuale elevato grado di civiltà dei popoli, difficilmente accadrà (con la riserva posta dallo stesso Clausewitz della sempre possibile ascesa agli estremi indipendentemente dalla volontà umana). Posso perciò sostenere che è possibile prendere in considerazione la dissociazione della violenza dal fatto empirico della guerra e considerarla unica logica che consenta l’applicazione della razionalità clausewitziana e che contenga gli elementi etici che permettono il controllo di un eventuale conflitto armato. Quello, soprattutto, che il danno al nemico deve trovare il limite logico e morale “nell’esclusione di quel danno che colpisce ciò che è sacro del pari per il nostro nemico e per noi, ciò che, perdendosi, diminuisce lui e noi, e anzi noi più di lui, quando della perdita siamo stati gli autori e su noi ne prendiamo l’odio e l’onta”.[8] Al riguardo Luigi Russo sostiene, similmente, che la lotta deve svolgersi entro i limiti del contenuto etico di cui un popolo è capace e di cui una nazione s’investe, per la sua educazione, civiltà e potenza. Se si varcano quei limiti si viola anche il momento dell’utilità politica della lotta. Non solo, ma accade che “i trionfi valgono sconfitte quando il loro frutto consiste in lamenti e nello sconfinato odio del mondo”.[9] Questi concetti sono validi soprattutto oggi che il progresso delle armi e dei mezzi bellici, nonostante la loro maggiore letalità, consente di tornare alla guerra tra forze armate e non tra nazioni senza limiti alla violenza, com’era stato teorizzato da Giulio Douhet e da Erich Ludendorff[10]e com’è avvenuto nella seconda guerra mondiale e, prima ancora, in quella d’Etiopia e di Spagna.
Russo considera la guerra un fenomeno intrinseco alla realtà umana, una categoria metafisica per cui tutta la vita è lotta, come lotta perenne con se stesso è la vita dell’individuo. Fuori della lotta, secondo lui, non c’è che l’eraclitea putredine, la dissoluzione, la morte. La rinunzia pseudo-cristiana a lottare, nella vita individuale, si risolve nell’inerzia e nella morte morale dell’individuo che è peggiore di quella fisica. Per le nazioni si risolve nel suicidio spirituale che può portarle a diventare pura espressione geografica. [11] Alla concezione crociana si aggiunge quella di Sigmund Freud: “la guerra è dovuta alle inesorabili tendenze distruttive che ciascuno di noi si porta dietro dalla nascita…alle pulsioni di morte,[12].” Il famoso psicoanalista espose questa tesi anche in una lettera in risposta a quella che Albert Einstein gli aveva inviato nel 1931 e nella quale gli aveva chiesto se ci fosse un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra. Nello stesso tempo lo scienziato, di fronte“all’amara costatazione dell’inestirpabilità dei loro istinti aggressivi”, aveva suggerito una soluzione organizzativa di tipo coercitivo come, per esempio, l’istituzione di un organismo politico soprannazionale delegato a risolvere i conflitti tra gli Stati.[13] Freud riconobbe che questa soluzione potesse essere capace di prevenire le guerre a patto, però, che quell’organismo, a differenza della Società delle Nazioni, fosse dotato di una propria e adeguata forza militare capace d’imporre le proprie decisioni. Del pari convenne con Einstein che non “c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini”[14]e concluse con una nota ottimistica, con la speranza “utopistica” che un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti catastrofici di un altro conflitto armato avrebbero posto fine alle guerre nel futuro. Le guerre degli anni Trenta-Quaranta dimostrarono che quella speranza era stata effettivamente utopistica.
Su queste teorie s’innesta il pacifismo che, secondo Russo, nel XIX Secolo si è gonfiato ambiziosamente a religione, a nuova filosofia dei popoli e si è acuito in seguito alle guerre. E’ una pretesa che, aggiunge, oltre a far diventare il pacifismo falso e assurdo, lo deforma quando pretende di eliminare la categoria metafisica della guerra.[15]E’ velleitario quando si appella alla natura pacifica dell’uomo che, come abbiamo visto prima, pacifico non è; è falso quando è mosso da fini politici.
Un noto giornalista, recentemente, ha scritto che “la pace è il difficile equilibrio fra divergenti e antagonistiche idee di convivenza e di sicurezza”,[16]presenti nelle relazioni internazionali. La guerra, perciò, sarebbe provocata dalla rottura di quell’equilibrio e sarebbe un modo unilaterale e violento di realizzarne un altro. Secondo lui la diplomazia dovrebbe essere lo strumento di pacifica composizione delle controversie internazionali.
Per “fortuna” lo sviluppo delle armi e la paura per gli effetti calamitosi di una guerra nucleare hanno reso ancor più irrazionale il ricorso alla forza e hanno provocato il ripudio della guerra sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, sottoscritto da quasi tutte le nazioni. Proposito che, purtroppo, non è stato rispettato in molte occasioni in varie parti del mondo, convalidando così le tesi pessimistiche di Freud e di Croce. Oggi s’odono gli stessi discorsi e i medesimi appelli per la pace del passato. Giovanni Paolo II ricordò che la Carta dell’ONU ripudia la guerra come strumento della politica e tuttavia Egli l’ammise “come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni…”[17]
Secondo Primavera Fisogni [18]quello dell’appello al dialogo è uno strano fenomeno: “Più si esorta al confronto, più ci si rende conto della difficoltà di tradurre quell’enunciato denso di aspettative e promesse in un evento che possa davvero favorire il confronto sociale, da un lato, e contenere i conflitti dall’altro, ponendosi come atto politico autenticamente efficace.”[19]
In vista della estrema possibilità ammessa dal Papa, le forze armate delle nazioni occidentali stanno adeguando le loro dottrine ai nuovi scenari di guerra e ai nuovi, sempre più sofisticati e potenti sistemi d’arma. La meccanizzazione, l’automazione e lo sviluppo dei mezzi aerei e spaziali hanno, tra l’altro, impresso alla guerra un dinamismo e una continuità operativa impensabile fino a qualche anno fa. Non vi sono più le pause forzate dovute all’oscurità, alle condizioni atmosferiche, all’esaurimento delle scorte di materiali essenziali che hanno caratterizzato i conflitti militari del passato. Il radar, i sistemi di visione notturna, i satelliti, gli elaboratori elettronici e il trasporto aereo le hanno eliminate e hanno inaugurato una vera e propria guerra tecnologica. Nello stesso tempo
consentiranno di colpire con estrema precisione obiettivi militari e di porre così limiti alla violenza. Le abbiamo ricordate queste novità appunto perché hanno fatto cadere anche le ragioni tecniche con le quali nel passato si giustificava l’impossibilità di distinguere i combattenti dai non combattenti.
Centocinquanta anni fa, l’ho ricordato più volte nel passato,[20]Giuseppe Collina preconizzò che l’Aeronautica sarebbe stata lo strumento idoneo per una nuova organizzazione sociale che avrebbe prodotto un’epoca di pace, di libertà, di dignità e di grandezza universale per tutta l’umanità. Secondo lui essa porterà alla riduzione degli eserciti e delle flotte, perché sarà una forza che dall’alto dominerà tutte le altre e sarà l’espressione della potenza militare di una nazione e il fattore principale di dissuasione degli Stati con mire aggressive. Nello stesso tempo sarà la dimostrazione della volontà di pace di una nazione e dei suoi propositi di difesa, perché uno Stato che non ha mire aggressive evita di munirsi di poderosi eserciti che sono gli unici idonei alla conquista territoriale. Infine l’Aeronautica “esterminerà dal mondo quel portento infernale chiamato guerra”.[21] Collina previde il gigantesco processo di sviluppo dell’uomo di pari passo o a causa di quello della scienza e della tecnologia e predisse che esso avrebbe determinato la realizzazione del vecchio sogno dell’Europa Unita e dell’unione poi di tutti i popoli sotto un unico governo che, solo, garantirebbe la pace.
La prima previsione si è avverata, anche se non ancora compiutamente; la seconda temiamo sia un’altra speranza utopistica.
[1] B. Croce, Ultimi Saggi, Laterza 1963
[2] J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi 2004
[3] Ibidem
[4] A.Pelliccia, Il Dominio dello Spazio, Ateneo & Bizzarri, Roma 1979
[5] G. Bouthoul, Le Guerre, Longanesi 1961
[6] B. Croce, Op. Cit.
[7] C. Clausewitz von, Della Guerra, Oscar Mondadori, 1978
[8] B. Croce, La Storia come pensiero e come azione, Laterza 1934, pag. 242
[9] L. Russo, Vita e disciplina militare, Le Monnier, Firenze 1934, pag.11
[10] G. Douhet, Il Dominio dell’Aria, SGA, Firenze 1935, E. Ludendorff, La Guerra Totale, Monaco 1936
[11] Idem, pag. 12
[12] S. Freud, Perché la Guerra? Bollati Boringheri, Torino 2001
[13] Idem, pag. 13
[14] Idem, pag.76
[15] L. Russo, op. Cit. pag. 12
[16] P. Ostellino, “Le vie della pace(senza pacifisti)”, Corriere della Sera 15/2/03
[17] Discorso al Corpo Diplomatico del 13/01/03
[18] P.Fisogni, Incontro al dialogo, Franco Angeli, 2006
[19] Ibidem. L’autrice fa rifeimento al progetto dell’ONU “Dialogue among civilisation” promosso dal Segretario Generale Kofi Annan
[20] A. Pelliccia, “Un patriota milanese precursore del potere aereo”, Rivista Aeronautica N° 10/ 1973
[21] G. Collina, La Laostenia, Firenze 1858
Il Volume
“La ricostruzione e lo studio di un avvenimento militare”

è disponibile in ogni libreria d’Italia :ISBN 886134267-1 Euro 18,50
In Ancona è disponibile presso la Libreria Canonici Corso Garibaldi 113

Il volume si prefigge di fornire, a studenti e ricercatori, prendendo le mosse dai dettami e finalità del Progetto “Storia in laboratorio” promosso dalla Associazione Combattenti della Guerra di Liberazione volto a divulgare e dar conoscere la Storia alle nuove generazioni, uno strumento utile al fine di ricostruire e studiare il più correttamente possibile un evento storico-militare (del passato) proponendo un metodo di analisi consequenziale.

Prendendo a riferimento il fenomeno “guerra”, il volume propone schemi attagliati, anche in combinazione tra loro, alla guerra classica, alla guerra rivoluzionaria e/o sovversiva, con le più recenti accezioni, ed alle recenti peace support operations, ove, in questo caso, i soggetti protagonisti da due passano a tre (parti in conflitto/ forze di interposizione o “di pace”).

Sono “note”,suggerimenti che ognuno dei destinatari può, anzi deve, interpretare secondo la sua creatività, nella più ampia accezione della libertà di pensiero, rispettando solo i criteri di scientificità e di coerenza, al solo fine della conoscenza, la più ampia, onesta e completa possibile. Un volume che vuole essere uno strumento, più da usare e consultare che da leggere.


Massimo Coltrinari. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Padova (1974), borsista del NATO Research Fellowschip Programme ha frequentato corsi di specializzazione all’Università di Cambridge (GB) ed alla Queen’s Univesity a Kingston (Canada). Ha curato il comparto “Albania” per C.O.R.E.M.T.E., La resistenza dei Militari Italiani all’Estero. Albania, Roma 1999 e con Enzo Orlanducci è coautore di I prigionieri Militari Italiani degli Stati Uniti nella seconda Guerra Mondiale, A.N.R.P., 1995, e I prigionieri Militari Italiani nella Seconda Guerra Mondiale. In Francia e nei territori Francesi, A.N.R.P. 1996. Già “Cultore della Materia” alla Cattedra di Storia Contemporanea – Facoltà di Lettere e Filosofia alla “Sapienza” (2003-2004), è Titolare di Storia Militare all’ISSMI.

Laura Coltrinari. Laureata in Scienze Politiche (2001) e Giurisprudenza (2005) all’Università “La Sapienza”, ha conseguito il Master di II Livello in “Diritto del Lavoro e Previdenza Sociale”. E’ Praticante Avvocato abilitato al patrocinio. E’ Redattrice della Rivista “Il Secondo Risorgimento d’Italia”, collabora a varie riviste specializzate. Per l’A.N.R.P. ha preparato il paperback La Prigionia Italiana della Seconda Guerra Mondiale. Elementi di una Bibliografia generale, 1996
GRANDI FIGURE DI COMANDANTI DI MARINA
Amm. Sanfelice di Monteforte

Chi sono i grandi Comandanti di Marina, come indica il titolo? Si possono seguire due interpretazioni: la prima, più classica, è quella di scegliere dei personaggi che siano un esempio di vita, nella buona come nella cattiva sorte, per Voi giovani.
Come esempio di questo primo approccio, vorrei citarVi un comandante della II Guerra Mondiale che, quando la sua nave, colpita, stava affondando, riunì l’equipaggio, lo fece calare in acqua e poi rimase a bordo, per affondare con la sua nave. Sentiamo come lo descrisse il grande Buzzati:
“La sua figura nelle tenebre tra l’eco degli ultimi schianti pareva ancora più alta del solito; essa aveva ancora la sua eleganza severa e nessuno, tranne l’ufficiale di rotta, aveva notato il segno vermiglio sulla guancia. Un ufficiale, voltandosi indietro mentre si allontanava a nuoto lo vide ancora fermo in coperta. Poco prima aveva tratto di tasca l’astuccio delle sigarette, ne aveva infilata una con cura nel lungo bocchino, aveva acceso, come fosse una sigaretta qualsiasi (e non l’ultima della sua vita). Si narra pure da alcuno che, in tal modo fumando, si sia allontanato verso prora, sulle lamiere già oblique, in silenzio, scomparendo tra nembi di fumo. Forse desiderava restare qualche istante ancora da solo, a pensare, per dire addio alla nave morente”[1].
La seconda strada, che seguirò oggi, è invece quella di parlarVi di alcuni comandanti che sono divenuti grandi, per effetto delle vittorie che essi hanno conseguito. Questa scelta riflette una distinzione che, fin dall’epoca dell’Unità, è stata fatta nell’assegnare le decorazioni, rispettivamente ai valorosi ed ai vittoriosi: infatti, oltre alle medaglie al valore, che premiano il coraggio, anche se sfortunato, vi sono sempre state le decorazioni dell’Ordine Militare d’Italia che, prima della Repubblica, si chiamava Ordine Militare di Savoia.
Queste ultime, in particolare, sono sempre state concesse a chi avesse riportato una vittoria, evento che, come diceva Napoleone, è “il grande fattore morale, che raddoppia le energie, che domina la guerra e che diffonde l’ebbrezza della fiducia, rafforzata dal successo ottenuto”[2].
Intendiamoci bene! Non sempre chi vince è un personaggio che meriti di essere riprodotto, con tanto di aureola, nelle immaginette dei santi, da tenere dentro il Messale Romano, e guardare la domenica alla Santa Messa. Talvolta i vittoriosi – e lo stesso Nelson non sfugge a questa regola - sono dei tipacci, che uniscono all’enorme genialità dei terribili difetti di carattere, e ne vedremo, alla fine, un esempio. Questo spiega perché, in Marina, si preferisca esaltare l’ardimento, il valore, il sacrificio dei singoli, piuttosto che questo tipo di personaggio, decisamente scomodo e controverso.
Peraltro, dovendo arrivare gradualmente a questo tipo di persona, partiremo da un “vincitore tranquillo”, senza gravi difetti di carattere.
Il primo personaggio di cui vi parlerò è infatti il Comandante Giovanni Cerrina Feroni, poi divenuto Ammiraglio di Squadra della Riserva Navale (scopriremo il perché fra poco). Nato a Firenze il 18 luglio 1866, Cerrina Feroni frequentò l’Accademia con risultati di rilievo, tanto che, sulla sua prima nota caratteristica, l’Ammiraglio Comandante scrisse, il 30 settembre 1886, “è il primo del suo corso. Promette di farsi un buon ufficiale”. A dire il vero, il Comandante alla classe, pur riempiendolo di lodi, visto che, durante la campagna navale estiva, Cerrina aveva svolto da Allievo le funzioni di un Guardiamarina, annotava alla fine: “se seguita ad occuparsi e diventa più attivo, sarà un buon ufficiale”, segno che, come tutti i giovani, anche lui aveva i suoi momenti di pigrizia.
Dopo l’Accademia, nelle successive destinazioni d’imbarco, prima nel Mar Rosso e poi nelle Americhe, tutti i Comandanti che lo avevano avuto a bordo dichiararono di averlo impiegato con funzioni del grado superiore, e lo proposero per promozioni anticipate. Questa proposta, normalmente, suscitava le ire degli Ammiragli che revisionavano le note caratteristiche, non tanto per scetticismo, ma per il bisogno di evitare carriere molto più rapide della media del tempo, purtroppo molto lenta.
Vediamo quindi il Contrammiraglio Martinez che osserva: “buon ufficiale e basta!”, il Vice Ammiraglio Lovera di Maria che dice “confermo, con riserva circa la promozione a scelta”, e così via. Da notare che tutte queste note entusiastiche riguardavano imbarchi su navi destinate all’estero, in Mar Rosso o nelle due Americhe, in un’epoca in cui, da quella parte del mondo, si navigava senza una cartografia attendibile, si facevano brutti incontri per mare e, quando si scendeva a terra, armati fino ai denti, si rischiava la pelle ogni momento.
Le nostre navi, poi, non erano le più adatte a navigare nei mari lontani, vuoi nel caldo asfissiante delle zone equatoriali, vuoi con l’onda lunga dell’oceano. Sentite questo rapporto di navigazione della Regia Nave Etna, dove era imbarcato il T.V. Cerrina, quando passò un giorno alla cappa, non potendo, per il cattivo tempo, entrare a Madera: la nave
“si abbandonava a lente rollate di 35º in media, e nonostante che la velocità fosse stata ridotta al minimo consentito per governare, il mare invadeva violentemente la prua ed il palco di comando, minacciando avarie”[3].
All’epoca, invece delle belle plance che vedete, quando andate a bordo, vi era una specie di palchetto, aperto a tutte le intemperie, dove stavano il comandante e l’ufficiale di guardia. Vi ricordo anche che la stessa parola “plancia” viene dal francese “planche”, che vuol dire “tavola”, del tipo, per intenderci, di quelle usate nell’edilizia!
Il fatto è che, comunque, in mezzo a tutte queste difficoltà, il giovane Tenente di Vascello Cerrina Feroni, come scrisse un suo Comandante, dimostrava di possedere “in alto grado le migliori doti che possano desiderarsi in un ufficiale”, oltre ad essere poliglotta, e quindi particolarmente ricercato per destinazioni su unità destinate in mari lontani.
Dopo tanti anni d’imbarco, arrivò, come accade ad ogni buon Ufficiale alla Rotta ed ai Segnali, il momento di fare l’Aiutante di Bandiera ad Ammiragli in Comando Navale. Era il 1895, ed il TV Cerrina Feroni si rese talmente utile che i suoi Ammiragli non lo mollarono, se non per farlo andare in Comando, ben quattro anni dopo.
Merita citare, a tal proposito, la lettera che il suo Ammiraglio, nel lasciarlo andare, scrisse nientemeno che al Ministro della Marina:
“sento il dovere, nel separarmi da lui, di segnalare all’E.V. i meriti di quest’ufficiale, abilissimo in tutto quanto può richiedersi da un militare del suo grado, molto zelante, intelligente, dotato di ottimo carattere e di molta coltura (sic!)”.
Il comando si svolse prima sulle Torpediniere e poi sul Rimorchiatore Ercole, basato a Napoli ed impegnato per mille servizi, fra cui il rimorchio di bettoline a La Maddalena. Per inciso, questa base era stata ideata in funzione anti-francese e, a quell’epoca, era ancora in costruzione, mentre, nel frattempo, i rapporti con i nostri cugini d’oltralpe erano diventati di nuovo amichevoli. Inutile dire che, anche durante quel periodo, piovvero ben meritati elogi sul giovane comandante.
Dopo essersi distinto in quel modo, dove poteva andare un giovane e brillante ufficiale, nella sua prima destinazione a terra? Ovviamente a Roma, dove il Comandante Cerrina fu prima ai movimenti ufficiali e, dopo il comando del Barbarigo, ancora nel Mar Rosso, nell’ufficio del Capo di Stato Maggiore, o per meglio dire, in quello che fu il nucleo iniziale di uno Stato Maggiore, inteso come oggi, e quindi un organismo che guarda avanti, prepara piani e programmi, in sintesi delinea la politica di Forza Armata.
Ma la penetrazione italiana nel Corno d’Africa richiedeva personaggi di qualità, ed il Ministero delle Colonie chiese il Comandante Cerrina per sostituire “temporaneamente” il governatore del Benadir – per intenderci, la zona di Mogadiscio – che si era ammalato.
Come spesso accade da noi, questo incarico, che doveva durare pochi mesi, lo occupò invece per tre anni, visto che i suoi sostituti si rendevano indisponibili l’uno dopo l’altro, sempre all’ultimo momento. Certo, governare il Benadir non era una destinazione di tutto riposo, ma sorge il sospetto che il Ministero delle Colonie fosse giunto alla conclusione, come dice il proverbio, che “cavallo vincente non si cambia” e fece di tutto per tenersi il Comandante Cerrina, promosso, nel frattempo Capitano di Vascello.
Questo tira e molla, peraltro, aveva sollevato qualche malumore, in Marina, tanto che, una volta rientrato e destinato in comando del piccolo incrociatore Liguria, il suo Ammiraglio, Borea Ricci, osservò nelle note caratteristiche, nel novembre 1911, che il comandante Cerrina “è uno di quegli ufficiali che non vissero nel Corpo né sul mare a sufficienza. È un peccato che quest’ufficiale resti sempre e troppo a terra, perché è molto intelligente e se navigasse sul serio potrebbe giustamente aspirare ad alti comandi”.
Inutile dire che queste valutazioni erano un tantinello ingiuste, e lo si vide pochi mesi dopo quando, nell’imminenza della guerra con la Turchia, al Comandante Cerrina fu affidato il Comando Superiore delle nostre forze navali in Mar Rosso, incarico normalmente affidato ad un Contrammiraglio.
Non si poteva fare una scelta migliore, ed i risultati si videro subito: le nostre navi erano dovunque, lungo le coste nemiche dell’attuale Arabia Saudita e dello Yemen, costringendo il nemico sulla difensiva. Inoltre, il Comandante Cerrina convinse gli sceicchi dello Yemen a ribellarsi all’Impero Ottomano, moltiplicando quindi le difficoltà per le truppe turche che presidiavano la penisola arabica, finché, il 6 maggio 1912, le nostre navi sorpresero la flottiglia nemica nella baia di Kunfida, oggi Al Qunfudhah, distruggendo l’intera flottiglia di 7 cannoniere e catturando lo yacht Fauvette, nave di bandiera del commodoro turco, che fu portato a Massaua, come preda di guerra.
Bisogna notare che, con questa azione, la Marina Italiana aveva conquistato, nel Mar Rosso, il dominio assoluto del mare, evento rarissimo nella storia e sempre considerato, dagli studiosi di strategia, come il fine ultimo da perseguire, nella guerra navale. Il Comandante Cerrina Feroni rimane, quindi, l’unico marinaio italiano a poter vantare un tale risultato. La motivazione della commenda di Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia è chiarissima: “egli ottenne l’annientamento di tutte le unità nemiche stazionanti nel Mar Rosso”. Non vi sono motivazioni simili in tutta la nostra storia, a parte questa!
Alla fine della guerra, lo stesso Presidente del Consiglio, Giolitti, lo impiegò per svolgere delle missioni di diplomazia segreta nel 1913, e poi lo fece passare al Ministero delle Colonie, alee cui dipendenze egli trascorse il resto della sua carriera, divenendo prima governatore dell’Eritrea e quindi governatore della Somalia.
In fondo, seguendo la sua passione per l’Africa, egli aveva trovato un modo elegante per uscire di scena, sottraendosi quindi alle invidie dei colleghi e dei superiori. Vedremo fra poco cosa accade, nel caso contrario.
Negli anni che seguirono, la Marina, in segno di riconoscenza, gli conferì tutte le promozioni, quale ufficiale della Riserva navale, fino al grado di Ammiraglio di Squadra. Andato in pensione, Cerrina Feroni si stabilì a Roma, dove morì il 2 luglio 1952, a 86 anni.
Oggi, nel quartiere romano delle Medaglie d’Oro, fra le traverse di via Trionfale,si può notare, dopo via Premuda, una via Cunfida (sic), il ricordo più tangibile che ci rimane, nella capitale, della più importante vittoria mai conseguita dalla nostra Marina.
Agli atti dell’Ufficio Storico, inoltre, c’è una lettera che dice molto sull’importanza dell’azione svolta dal Comandante Cerrina in Mar Rosso, azione culminata con la vittoria di Kunfida. L’allora Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, alla fine della guerra, scrisse infatti questa valutazione sul nostro personaggio, controfirmata dal Capo di Stato Maggiore:
“L’azione svolta e diretta dal Comandante Cerrina durante tutto il lungo periodo di guerra, in cui tenne il Comando Superiore navale in Mar Rosso, fu sotto ogni riguardo oltremodo commendevole, sia per gli alti concetti cui la ispirò, sia per i risultati ottenuti, tanto nel campo guerresco che politico.
È con sicura coscienza che io sono in grado di giudicarlo meritevole della qualifica di Ottimo, per brillanti qualità di mente, vasta coltura professionale e generale, tatto diplomatico, squisita educazione civile e militare ed alto sentimento del dovere”.
La firma, in fondo alla lunga lettera, scritta di pugno, come si diceva un tempo, è quella del Contrammiraglio Emanuele Cutinelli Rendina, che era stata la mente pensante delle nostre azioni navali, durante quella guerra. È proprio di lui che parleremo ora.
Emanuele Cutinelli Rendina era nato a Napoli il 224 novembre 1860, ed entrò alla Scuola di Marina il 1 novembre 1874, come si usava allora, uscendone fra i primi, nel 1879. L’anno dopo, egli contrasse la sifilide, malattia che gli rese la salute cagionevole, costringendolo a cure periodiche all’estero, ma che non ne piegò il carattere né tantomeno la voglia di fare.
A bordo, il suo comportamento disciplinare non fu certo dei migliori: nel 1883 prese 3 giorni di arresti di rigore per non essersi recato al posto di manovra generale, poi nel 1886 egli si batté in duello, alla sciabola, con un sottotenente dell’Esercito, per una questione di donne, buscandosi un massimo di rigore. Ancora, nel 1888, gli furono comminati altri arresti di rigore “per il modo sconveniente con cui fu da lui redatto il Giornale di Chiesuola”. Infine, nel 1889, egli si fece tre mesi di fortezza, a Forte Belvedere a Firenze, per essere andato a pernottare a terra, essendo ufficiale d’ispezione sulla nave scuola canonieri Città di Napoli.
A questo punto, Voi direste che l’ufficiale era un fallito, e che sarebbe stato messo in un angolo, a condurre una carriera di scarso rilievo, senza soddisfazioni. Invece, si verificò, ogni volta, uno strano fenomeno: lo stesso comandante che, per beccarlo in flagrante e mandarlo in fortezza, si era alzato prestissimo per andare a bordo alle 5 di mattina, scrisse infatti di lui, sulle note caratteristiche: “buon ufficiale, che promette ottima riuscita. Sveglio, attivo, rispettoso”. Anche in tutte le altre valutazioni, a parte un ricorrente “non ancora ben piegato alla disciplina” i giudizi elogiativi si sprecavano, in quanto Cutinelli, come riconosciuto da tutti i suoi superiori, “sa farsi molto benvolere dai suoi inferiori mantenendo bene la disciplina ed ottenendo che lavorino di buon animo”. Anche per lui, abbondarono le proposte di avanzamento a scelta, malgrado la nota riluttanza degli Ammiragli verso un tal tipo di provvedimento.
Quando Cutinelli andò in comando, prima sull’Avviso Torpediniere Aquila, e poi sul Rimorchiatore Atlante, i Comandanti in Capo scrissero: “ottimo ufficiale, manovra la sua nave molto bene; non manca di notevole ardimento. È dotato di molto sangue freddo”. Si era nel 1896, l’anno della sconfitta di Adua, ed in questo periodo il T.V. Cutinelli ebbe pure una decorazione prussiana, per un evento che non è rimasto agli atti, ma che ha sicuramente una relazione con quei giudizi tanto elogiativi sul suo sangue freddo.
Dopo questi eventi, gli anni successivi furono, per Cutinelli, influenzati da una serie di difficoltà personali, dalla salute della moglie, che per avere dei figli si sottopose a tante operazioni, fino a morirne nel 1899, dalle cure per la sua malattia, che lo costrinse per alcuni anni a rinunciare a destinazioni d’imbarco prestigiose.
Qualche anno dopo, nel 1903, il Comandante incorse in un altro incidente, avendo preso a schiaffi il Direttore del giornale “La Palestra” di Taranto, che aveva lanciato accuse, poi risultate non veritiere, contro di lui ed un altro ufficiale, come poi venne fuori in sede di giudizio.
Qual’era la causa? L’anno prima, durante dei disordini provocati dagli operai dell’Arsenale, il comandante Cutinelli era andato a calmare gli animi, evitando l’intervento delle forze dell’ordine, all’epoca decisamente violento, anche a costo di buscare “colpi dei corpi contundenti” come disse il rapporto sui fatti. Il resoconto fatto dal “La Palestra” presentava però i fatti sotto tutt’altra luce, da cui la vendetta del comandante.
Di conseguenza, Cutinelli ebbe il comando del vecchio Duilio, in attesa di demolizione, e fu quindi inviato a comandare l’Urania, in Mar Rosso, in modo che restasse lontano per un bel po’. Sul campo d’azione, di nuovo vennero fuori le qualità dell’uomo, che resse anche, per qualche tempo, il comando della Stazione Navale, vale a dire quello di tutte le navi dislocate nell’area.
Ritornato in Patria, Cutinelli ebbe il comando della corazzata Emanuele Filiberto, e quindi della Regina Margherita, dove si distinse nell’organizzare i soccorsi durante il terremoto di Messina, meritando un ennesimo encomio, oltre al giudizio “possiede qualità che lo fano emergere”.
Di questo periodo rimane anche la testimonianza di un giovane ufficiale, Vittorio Tur, che scrisse, nelle sue memorie, a proposito di Cutinelli: “sapeva portare con abilità la nave, farsi benvolere dai suoi inferiori. Grande giocatore, intelligente, simpatico con coloro che gli andavano a genio, marinaio, fece ottima figura”[4].
Pochi mesi dopo, però, Cutinelli ne combinò un’altra delle sue, andando a Venezia, in incognito, dopo aver dichiarato di fare le cure a Salsomaggiore, e autorizzando addirittura il suo comandante in seconda a partire con la nave per le manovre estive, raggiungendola qualche giorno dopo, a Torre Gaveta, a nord di Napoli, con una motobarca. Giustamente, gli fu comminato un “severo rimprovero” insieme alla valutazione che “i suoi atti, nei rapporti disciplinari, non furono sempre informati alla dovuta ponderatezza”.
Anche qui, penserete, la sua carriera sarebbe finita. Venne invece l’incaglio del nuovissimo incrociatore San Giorgio, sulla Secca della Cavallara, davanti al villaggio di Marechiaro, ben noto per le canzoni napoletane. La nave stava conducendo le prove di macchina, e volle passare troppo rasente alla boa, che poi risultò fuori posizione, finendo di conseguenza sugli scogli.
Al Comandante Cutinelli venne affidato il comando dell’unità, che fu salvata grazie alla collaborazione fra lui ed il Comandante Cagni, malgrado i due si detestassero e si facessero dispetti terribili. In premio, gli fu conferita dal Re, motu proprio, la Commenda dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, “per aver assunto il comando della Regia Nave San Giorgio, in un momento difficile e pericoloso ed averlo conservato in maniera superiore ad ogni elogio durante il non breve periodo delle operazioni di salvataggio e per aver contribuito efficacemente al salvataggio medesimo dal punto di vista marinaresco”.
Venne quindi la guerra con la Turchia, e Cutinelli, da poco promosso Contrammiraglio, fu tolto dalla Direzione dell’Arsenale di Venezia e destinato a Roma, nell’incarico di Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, come abbiamo visto.
In effetti, i piani per la dimostrazione davanti a Beirut della Squadra navale, che affondò le navi turche nel porto, quelli dell’incursione nei Dardanelli e dell’occupazione di Rodi e del Dodecanneso uscirono tutte dalla sua mente vulcanica. La sua opera fu giustamente premiata dal Sovrano, che gli conferì il titolo di Grande Ufficiale, sempre dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro.
Finita la guerra, l’Ammiraglio Cutinelli ebbe il comando della Divisione Navale più importante, quella delle nuove corazzate veloci della classe Vittorio Emanuele. Un suo ufficiale lo descrisse così: “Cutinelli era un uomo che senza dubbio possedeva le qualità per emergere ed essere un capo brillante, energico e trascinatore di uomini. Alto, forte e asciutto, bruno, caratteristico nel suo modo di fare e di trattare, ebbe momenti felici nella sua carriera”[5].
A proposito dei suoi modi di fare, si racconta un aneddoto, che risale a questo periodo. Cutinelli era solito finire il pranzo, con gli ufficiali del suo Stato Maggiore, levando i calici e pronunciando il caratteristico augurio tipicamente napoletano, ironico ed allusivo, anche se un tantinello scostumato, “a’soreta”. Durante una campagna in Nord Europa, egli diede un pranzo in onore di un Ammiraglio olandese e, per la forza dell’abitudine, al momento dei brindisi, dopo il discorsetto di prammatica, pronunciò il solito augurio, senza pensarci troppo.
L’Ammiraglio olandese rispose con un altro discorsetto altrettanto gentile, finendo però con quella frase, ugualmente partenopea, che si usa per rispondere alla prima allusione, “a’mammeta”. Consapevole di aver sorpreso tutti, questi rivelò quindi di aver trascorso gli anni della giovinezza a Napoli, dove il padre era Console, ed aver imparato lì tutte le frasi proibite di quella lingua. Inutile dire l’amicizia che si instaurò fra i due, grazie a questo episodio!
Venne quindi la guerra mondiale, e Cutinelli ebbe la responsabilità delle operazioni nel Basso Adriatico, quale Comandante della Seconda Squadra. In questo incarico, egli portò a termine la sua impresa più grande, il salvataggio del governo e dell’Esercito Serbi, nientemeno che 250 mila uomini, prelevandolo da Durazzo e San Giovanni di Medua, e trasportandolo in salvo, malgrado la violenta reazione della forze austriache di terra e di mare. L’Esercito serbo, dopo un congruo periodo di cure e di riposo, fu poi inviato a Salonicco, dove aprì, insieme agli altri Alleati, proprio quel fronte macedone, che fu infine sfondato nell’autunno del 1918, causando la rivolta di Berlino e la fine della guerra.
Di questa impresa, i cui aspetti organizzativi fanno ancor oggi drizzare i capelli in testa, per la loro complessità, voglio citare due riconoscimenti. Il primo è una lettera, scritta dal Ministro degli Esteri serbo, a nome del re Pietro, che dice:
“Signor Conte,
l’evacuazione dei rifugiati serbi dall’Albania essendo compiuta, mi fo debito di manifestare a Vostra Eccellenza i più sinceri ringraziamenti del Governo del mio Re per il concorso premuroso ed efficace, come anche per quello degli ufficiali vostri dipendenti e delle altre autorità navali di Brindisi, mercè le quali il recupero ha potuto aver luogo in modo tanto rapido e soddisfacente.
Vogliate gradire, Eccellenza, l’assicurazione della mia considerazione più alta”[6].
Il secondo documento, che descrive anche meglio quanto complesso fosse stato questo impegno, è un rapporto, a firma del Duca degli Abruzzi, Comandante in Capo dell’Armata Navale, che dice, sull’Ammiraglio Cutinelli:
“Come Comandante della 2ª Squadra, seguendo le direttive del Comando in Capo d’Armata, ha avuto per vari mesi a Brindisi la direzione di tutte le importanti operazioni che si sono svolte nel Basso Adriatico: lo sbarco del corpo d’occupazione in Albania, il vettovagliamento dell’Esercito Serbo a San Giovanni di Medua e a Durazzo, l’evacuazione delle truppe serbe dai porti dell’Albania e da Corfù, la ritirata delle nostre truppe da Durazzo a Valona. Tutte queste operazioni, nonostante le difficoltà provocate dalla scarsità dei mezzi disponibili e dalla vicinanza di munite basi nemiche, sono state portate felicemente a termine mercè le saggie (sic) ed avvedute disposizioni date dal Vice Ammiraglio Cutinelli che ha dato prova, in quella circostanza, di possedere tutte le qualità militari e politiche necessarie a chi è chiamato ad esercitare alti Comandi Navali.”
Questo rapporto, inutile dire, finisce con una nota di rimprovero, subito sottolineata con la matita rossa dal Ministro:
“sarebbe elemento prezioso per la Marina se concorresse sempre, con tutte le sue eminenti qualità, ad assolvere i compiti che gli vengono affidati”. Come si vede, il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Per il suo ruolo in questo importante successo, gli venne conferito il grado di Commendatore dell’Ordine Militare di Savoia.
Tralascio il seguito della carriera dell’Ammiraglio, che fu travolto, all’inizio del 1918, dalla serie di avvicendamenti partiti con la destituzione del Duca degli Abruzzi. Le ragioni di questo repulisti furono tante, a cominciare dal cattivo andamento delle operazioni nel Basso Adriatico, dove ci si era limitati a reagire alle improvvise incursioni austriache contro lo sbarramento del Canale d’Otranto, senza conseguire i successi che si sperava.
Per ragioni di giustizia, va detto che, dopo il suo avvicendamento, le cose non cambiarono di molto. La strategia attendista dell’Ammiraglio si basava sulla constatazione che gli Austriaci, malgrado le punture di spillo che potevano procurare all’Intesa, in quel bacino, avevano i giorni contati, e lo si vide con gli ammutinamenti che scoppiarono a Cattaro, prima che altrove. La politica, peraltro, voleva azioni, anche se inutili, e questo segnò il tramonto del nostro personaggio.
Il colpo di grazia, per l’Ammiraglio Cutinelli, venne però dall’inchiesta sul tragico affondamento, per sabotaggio, della corazzata Leonardo da Vinci, che puntava il dito sul lassismo dei servizi di guardia a bordo delle navi maggiori, da vario tempo confinate a Taranto.
L’Ammiraglio Cutinelli, che da soli due mesi aveva preso il Comando in Capo della Prima Squadra, fu considerato responsabile ed invitato a dare le dimissioni. Da allora, dopo due anni come Commissario Governativo del porto di Napoli, incarico nel quale fu riempito di elogi – d’altra parte, era un organizzatore senza pari – l’Ammiraglio si ritirò a vita privata, prima a Napoli e poi a Roma, dove morì nel 1925. Un anno prima della morte, gli arrivò la promozione a Vice Ammiraglio d’Armata, ed un breve richiamo in servizio, una piccola compensazione per i torti subiti.
La sua storia è l’esempio di come, dopo aver conseguito una vittoria importante, l’artefice di questa debba scomparire dalle scene, per far rimanere intatta la sua fama. Non è necessario che egli muoia, come accadde a Nelson, basta ritirarsi in buon ordine, come fece il Comandante Cerrina Feroni o, ai nostri tempi, fanno i più famosi allenatori di calcio.
Quello che deve rimanere, per Voi che avete intrapreso la stessa vita sul mare, è il ricordo orgoglioso di queste vittorie decisive, insieme al desiderio di emulare questi abilissimi Comandanti che, in mezzo a difficoltà ben maggiori di quelle in cui ci dibattiamo, hanno stupito il mondo, riempiendolo d’invidia.
[1] D. BUZZATI. Il Buttafuoco. A. Mondadori, 1992. pgg.16-17.
[2] A.T.MAHAN. Strategia Navale. Ed. Forum Relazioni Internazionali, 1997. Vol I, pg. 111.
[3] U.S.M.M. Storia delle Campagne Oceaniche della R. Marina. 1992. Vol II pg. 254.
[4] V. TUR. Plancia Ammiraglio. Ed. Moderne Canesi,1960. Vol II, pg. 119.
[5] Ibid. pg.240.
[6] JACK LA BOLINA. Esempi di virtù navale italiana. Paravia, 1941. pg.86.

domenica 1 novembre 2009


SAGGI E STUDI



REINSERIMENTO LAVORATIVO DEI VOLONTARI MILITARI
ALLA FINE DELLA FERMA

L’ “Ufficio Generale per il sostegno alla ricollocazione professionale dei volontari congedati”
del Ministero della Difesa


Vito Cutro[1]






A partire dagli anni '90 si è assistito ad un susseguirsi di eventi, che hanno determinato un cambiamento epocale nell'ambito delle Forze armate occidentali ed in particolare in quelle italiane.
In tale periodo, infatti, le nostre Forze armate sono state protagoniste sempre più spesso, fuori del territorio nazionale, in operazioni a sostegno della pace e in contesti multinazionali integrati, che hanno richiesto l'impiego di personale sempre più qualificato e reclutato su base volontaria, avviando, quindi, quel processo di trasformazione concretizzatosi dapprima, almeno sul piano normativo, con l'approvazione della cosiddetta "Legge sulla professionalizzazione delle Forze armate" (Legge 14 novembre 2000, n. 331) che, al primo comma dell’art. 5, prevede, tra l’altro: “(…) Il Ministro della difesa individua, con proprio decreto, nell’ambito delle direzioni generali del Ministero della difesa, una struttura competente a svolgere attività informativa, promozionale e di coordinamento al fine di valutare l’andamento dell’attività di reclutamento di personale volontario e di agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro dei militari volontari congedati senza demerito. Per il perseguimento delle predette finalità tale struttura si avvale anche degli uffici periferici della Difesa, acquisisce le opportune informazioni dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, cura i rapporti con i datori di lavoro pubblici e privati e stipula convenzioni nell’ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio a tale fine disponibili, con i predetti datori di lavoro, con gli uffici regionali competenti in materia di promozione dell’occupazione, individuati ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469, con i soggetti abilitati all’attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro ai sensi dell’art. 10, comma 2, del citato decreto legislativo n. 469 del 1997, e con i soggetti abilitati all’attività di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo(…)”
In tale contesto, il reclutamento del personale di truppa volontario risulta fortemente connesso con la certezza di una futura possibilità occupazionale, così come si evince anche dalle esperienze maturate sulla specifica materia in altri Paesi europei (Inghilterra, Francia, Olanda, Spagna). Dalle considerazioni svolte in occasione di vari incontri tecnici tenuti anche a livello internazionale, si può affermare, senza tema di smentita che, al fine di rendere appetibile l'accesso a tale figura professionale, risulta necessario realizzare un reclutamento di giovani ai quali si riconosca non solo una "professione" ed una adeguata remunerazione ma, soprattutto, "garanzie occupazionali". A sostegno di quanto affermato, è importante sottolineare che, in conseguenza del processo di professionalizzazione in atto - che ha determinato, anche a causa della sospensione del servizio obbligatorio di leva, un incremento delle aliquote di volontari da immettere in servizio permanente e, quindi, l'instaurazione di un rapporto con l'Amministrazione statale stabile e continuativo – si è accresciuto – già durante gli ultimi anni di coscrizione obbligatoria - il numero di adesioni a tale tipologia di ferma.
Il predetto accrescimento di "opportunità occupazionali a tempo indeterminato", tuttavia, assume, evidentemente, un carattere di eccezionalità e di temporaneità per effetto sia delle limitazioni organiche dettate dalla normativa vigente sia dalla necessità di avere uno sviluppo "dinamico" e costantemente funzionale dei vari ruoli.
Ciò fa sì che, per il futuro, le immissioni nel servizio permanente potrebbero essere inferiori ai modelli di reclutamento dei volontari in ferma breve/prefissata.
Detta situazione determinerà, presumibilmente, un'eccedenza di personale senza alcuna possibilità di uno sbocco occupazionale interno alle Forze armate o alle Forze di polizia/altre Amministrazioni e, sebbene la portata di detto fenomeno sia stata significativamente attenuata con l'emanazione di norme a salvaguardia dei citati sbocchi occupazionali (vedasi, ad esempio, la Legge 23 agosto 2004, n. 226), non è dato sapere quali potranno essere gli sviluppi futuri. Di qui la necessità di provvedere per tempo alla identificazione e creazione di una struttura ad hoc, nell’ambito dell’Amministrazione della Difesa, che si preoccupi di sostenere coloro che non riescono a trovare utile sbocco occupazionale ‘stabile’ dell’ambito delle Forze Armate/Forze di Polizia al fine di un possibile reinserimento lavorativo nel mercato di lavoro pubblico e privato.
Il concetto di ricollocamento professionale nel mercato del lavoro privato del personale militare è entrato soltanto di recente a far parte del lessico delle nostre Forze armate.

L’Ufficio per il sostegno alla ricollocazione
Tale concetto ha visto la sua genesi e la sua codificazione nella citata legge 331/2000 ricevendo ulteriore codificazione nel Decreto Legislativo 8 maggio 2001, n. 215 che, soprattutto all’art. 17, elenca nel dettaglio una serie di incombenze per la struttura prevista nella legge quadro.
Il D.M. 8 giugno 2001, identifica tale struttura nell’ “Ufficio per il collocamento al lavoro dei militari volontari congedati” ( di seguito, per brevità, verrà definito Ufficio) che inizialmente è stato collocato nell’ambito della Direzione Generale per la Leva. Le recenti vicissitudini legate alla sospensione della leva obbligatoria e ad una ulteriore riorganizzazione del Ministero della Difesa hanno portato all’emanazione del Decreto legislativo 6 ottobre 2005, n. 216 che ha istituito la Direzione Generale delle pensioni militari, del collocamento al lavoro dei volontari congedati e della leva, nel cui ambito è stata collocata la struttura prevista dalla legge 331/2000 con la nuova denominazione, dettata dal D.M. 1 aprile 2006, di ”Ufficio generale per il sostegno alla ricollocazione professionale dei volontari congedati”.
Al di là delle vicende strutturali e normative è da rilevare che le molteplici e variegate attività poste in essere fino ad oggi hanno consentito di creare una griglia di opportunità formative e professionalizzanti che costituiscono un utile presupposto per la realizzazione di un valido sostegno al reinserimento lavorativo di quei volontari che, al termine della ferma volontariamente contratta, non trovano la possibilità di transitare nel servizio permanente o nelle varie Forze di polizia o in quelle Amministrazioni pubbliche che prevedono, nell’ambito dei vari concorsi che vanno a porre in essere, una riserva di posti specificatamente per i citati volontari.
La situazione particolare che al momento viene vissuta dalle nostre Forze armate e che consegue alla sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva dettata dalla predetta L. 226/2004 e che, quindi, porta al già citato incremento delle aliquote di volontari da immettere in servizio permanente, non consente al momento l’entrata a regime della completa procedura elaborata dall’ Ufficio, anche se da qualche mese è stata intrapresa una sperimentazione su alcuni volontari che, in buona parte per motivi di inabilità sopravvenuta durante il servizio, avendo manifestato la propria adesione al progetto, vengono indirizzati alle varie fasi del percorso.
L’articolazione della procedura prevista per la piena operatività del sistema di sostegno al reinserimento lavorativo dei militari volontari, che è stata codificata con Direttiva dello Stato Maggiore della Difesa, prevede tutta una serie di incombenze che devono vedere una piena sinergia tra l’Ufficio, la Direzione generale per il personale militare e le Forze armate, attribuendo allo SME, per la fase transitoria e in attesa che vengano istituiti appositi “Nuclei per il collocamento al lavoro dei volontari” dislocati sul territorio nazionale, il ruolo di “pilota” per il tramite dei propri Comandi Regionali.
Merita particolare attenzione la finalità ultima dell’attività di ricollocamento professionale in quanto scopo dichiarato e, certamente, necessario in un momento in cui viene richiesto al cittadino italiano di svolgere ‘volontariamente’ l’attività militare, è quello di favorire i reclutamenti anche attraverso le già menzionate opportunità che, in alternativa al proseguimento della vita in servizio permanente, questo strumento offre.
Al giovane che, cresciuto nell’ambito di una mentalità propensa ad “evitare” il servizio militare di leva (obiezione di coscienza, dispense a vario titolo, ecc.) abbraccia l’opportunità di fare il “professionista militare”, occorre mostrare, concretamente, che la sua attività, esercitata nel mettere al servizio della nazione gli anni più importanti della propria vita, gli consentirà, al termine della ‘ferma’ che, per ragioni ovvie, non potrà protrarsi – in linea di massima – per più di 15/20 anni – di poter proseguire l’attività lavorativa attraverso una seria riqualificazione professionale, anche nell’ambito del mercato nazionale del lavoro.
L’Ufficio di cui ci stiamo occupando, per giustezza di informazione è stato, secondo la recente normativa, suddiviso in due settori, uno con compiti di statistica, pianificazione e promozione, l’altro con compiti di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro, cooperazione e autoimprenditorialità. In seguito passeremo in rassegna le modalità con le quali l’Ufficio ritiene di dover affrontare le varie incombenze che la norma gli ha devolute. Per intanto è necessario ribadire che la stessa legge istitutiva prevede che la struttura centrale si avvalga dei già citati “Organi periferici”. Con la riforma in atto degli Organi dell’area Tecnico-Operativa, i citati Nuclei, in ambito regionale, dovranno, attraverso una dipendenza funzionale dall’Ufficio, rappresentare il necessario ed indispensabile elemento di collegamento tra l’Ufficio stesso e le Regioni amministrative, le Province, i Centri per l’impiego, nonché le strutture periferiche delle varie Confederazioni/Associazioni di categoria imprenditoriale ed industriale nonché le svariate realtà lavorative locali instaurando con tutti rapporti (Protocolli di intesa, Convenzioni operative e Tavoli tecnici) finalizzati a fornire ai giovani volontari, alcuni mesi prima del congedo, una formazione professionalizzante nell’ambito di materie emergenti da colloqui di orientamento professionale e dalle richieste scaturenti dal mercato del lavoro locale. Gli accordi periferici con le Regioni/Province discendono da un Accordo Quadro, stipulato in sede di Conferenza Stato-Regioni, tra il Ministero della difesa, quello del Lavoro e le Regioni amministrative/Province autonome.
Gli Organi periferici devono inoltre mantenere vivi, in loco, i rapporti con tutte le Associazioni di categoria con le quali l’Ufficio ha stipulato, nel tempo, delle convenzioni finalizzate sia ad incrementare le opportunità formative professionalizzanti (corsi, stage, ecc.) per i volontari congedandi/congedati che a favorire, possibilmente, anche opportunità lavorative. La prima di queste Convenzioni, intervenuta il 9 maggio 2002 con la Confcommercio, ha visto, per l’Amministrazione della Difesa, la firma congiunta dell’allora Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Rolando Mosca Moschin e dell’Amm. Giampaolo Di Paola che, all’epoca, rivestiva l’incarico di Segretario Generale/DNA, a significare la massima valenza attribuita dai vertici militari all’attività in questione. A questa si sono succedute, nel tempo, tutta una serie di convenzioni per la realizzazione delle quali l’Ufficio ha posto in essere, nel predisporre i vari testi che sono divenuti documento di raccordo per la citata attività di convenzionamento, la strategia di seguire tre parametri fondamentali.
Per prima cosa la previsione dell’implementazione della banca dati contenente le opportunità formative/lavorative che vengono offerte dal mercato del lavoro privato. Di fondamentale importanza questo dato anche ai fini di una più corretta impostazione dei colloqui di orientamento professionale al fine di supportare il volontario non attraverso la fornitura di dati empirici, ma di elementi scaturenti dalla realtà imprenditoriale del Paese. In secondo luogo l’Ufficio si è preoccupato di ‘prenotare’ per gli aderenti alla procedura la possibilità di partecipare a corsi/tirocini/stage formativi e professionalizzanti direttamente all’interno di industrie/imprese.
Infine, come terzo elemento, è stato inserito il concetto di prevedere possibilità occupazionali per i volontari congedati.
La filiera seguita per la successione della stipula degli atti di convenzionamento in questione, a livello centrale, ha preso le mosse dalle grandi realtà confederali nazionali (Confcommercio, Confapi, Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confesercenti), per passare poi a settori formativi/occupazionali (Unioncamere, Formedil), al settore della vigilanza privata (Univ, Federvigilanza) a grandi società (Autostrade), a Società di mediazione e di outplacement (Adecco) ed a società vicine all’Amministrazione della Difesa per l’attività specifica che svolgono (Agusta, Datamat, Oto Melara, Wass). A questi vanno ad aggiungersi altri accordi che, a livello locale, rappresentano l’elemento più avanzato, sul territorio, di sinergia tra Amministrazione della Difesa e realtà formative/imprenditoriali del mercato del lavoro privato.

Il Sistema Informativo Lavoro Difesa
Passando ora ad analizzare, seppur succintamente, le varie fasi della procedura per il sostegno alla ricollocazione professionale dei militavi volontari congedati, va posta, innanzitutto, particolare attenzione al Sistema informatico al quale abbiamo fatto cenno in precedenza nel parlare di ‘banca dati’. Strumento indispensabile per la realizzazione del progetto e per l’interconnessione tra l’Ufficio, da un lato, e gli Stati Maggiori di Forza armata, i Comandi territoriali, gli Enti locali e le Unioni/Confederazioni imprenditoriali di categoria dall’altra, è stato ideato il Sistema Informativo Lavoro Difesa (SILD) definito, sia in termini di hardware (HW) che di software (SW), per la gestione di due distinte banche dati contenenti, rispettivamente, da un lato l’offerta di lavoro espressa dai volontari militari congedandi/congedati da collocare sul mercato del lavoro, i cui dati anagrafici e curriculari saranno acquisiti dagli Stati Maggiori di Forza armata e dalla competente Direzione generale per il personale militare, dall’altro la mappa della domanda di lavoro su tutto il territorio nazionale, emergente dai dati provenienti dalle Regioni amministrative, dai Centri per l’impiego, dalle sedi locali delle realtà associative dei datori di lavoro nonchè dal settore pubblico e da quello privato, organizzazioni di categoria e singole realtà produttive del paese. Per la piena funzionalità del SILD è prevista l’interconnessione con il Sistema Informativo Lavoro nazionale(SIL) in via di realizzazione da parte del Ministero del lavoro, onde poter disporre di una ulteriore finestra informativa per la realizzazione dell’incontro web oriented e la conoscenza delle opportunità occupazionali.
L’avvio del processo di orientamento, formazione e sostegno al reinserimento lavorativo dei volontari presuppone la capillare informazione del personale destinatario delle misure in questione, circa l’esistenza e la fruibilità del progetto “sbocchi occupazionali”, l’acquisizione della loro eventuale adesione e la registrazione in apposito “data base” dei curricula vitae. Di fondamentale importanza è’ il popolamento del citato “data base” che andrà a costituire l’archivio elettronico dell’offerta di lavoro espressa appunto dai c.v. dei volontari; tale archivio, infatti, unitamente all’archivio elettronico dei percorsi formativi disponibili (corsi,tirocini,stage) e della domanda di lavoro espressa dalle vacancy aziendali, andrà a costituire il Sistema Informativo condiviso tra tutti gli operatori, centrali e periferici, abilitati all’utilizzo del Sistema stesso. Quest’ultimo verrà interconnesso con il Sistema Informativo Lavoro nazionale (SIL) - nell’ambito del quale è già prevista apposita area dedicata - e realizzerà, nella fase di piena operatività, una sorta di “piazza telematica” per l’incontro domanda-offerta di formazione e lavoro.
In buona sostanza il SILD costituirà la piattaforma informatica, che si avvarrà di tecnologia “Web-oriented”, condivisa tra tutti gli operatori e capace di supportare macro-funzioni che possono essere così sintetizzate: a) gestione di ogni singola anagrafica (archivio elettronico dei c.v. dei volontari) dal momento del suo caricamento nel Sistema ai successivi aggiornamenti determinati dall’iter di orientamento, formazione e inserimento lavorativo di ognuno dei volontari interessati; b) gestione dell’archivio elettronico dei corsi, stage e tirocini professionalizzanti, popolato da tutti gli operatori abilitati attraverso le informazioni reperite presso le Regioni/P.A., le Amministrazioni provinciali e le Associazioni di categoria giusti, rispettivamente, i Protocolli d’intesa stipulati, le discendenti Convenzioni operative con le Amministrazioni provinciali e le Convenzioni sinora sottoscritte con le principali Organizzazioni datoriali di categoria; c) gestione dell’archivio elettronico delle opportunità occupazionali espresse dalla domanda di lavoro (vacancy aziendali) di Società, Imprese, Aziende. L’archivio, a regime, sarà popolato direttamente da queste ultime, previa abilitazione al Sistema, con tecnologia internet; l’archivio, inoltre, sarà implementato dagli operatori, centrali e periferici, in base agli accordi/intese raggiunti, anche in sede locale, con le Organizzazioni datoriali/singole aziende aderenti alle Confederazioni di categoria con le quali, come anzidetto, sono state stipulate a livello nazionale apposite Convenzioni alla gestione dell’applicativo software per l’elaborazione automatizzata dell’incontro domanda-offerta tra disponibilità di percorsi formativi e c.v. e domanda di lavoro delle aziende e c.v
Sulla piena operatività del SILD al momento non è possibile stabilire tempi certi; tuttavia, per la sua definitiva attivazione è necessario, così come stabilito dallo Stato Maggiore dell’Esercito in una sua direttiva, che quanto prima venga predisposto uno “sportello” SILD presso tutti gli Organi periferici (successivamente presso i Nuclei di collocamento al lavoro previsti dalla direttiva dello SMD che ha codificato la procedura a suo tempo predisposta dall’Ufficio).

Il progetto sbocchi occupazionali
Il progetto “sbocchi occupazionali” prende avvio concretamente, quindi, con l’adesione da parte dei volontari in servizio presso gli EDR, attraverso la sottoscrizione di un apposito modulo. Di detto modulo, compilato in triplice copia, l’EDR conserverà una copia nel fascicolo personale dell’interessato, una copia sarà inoltrata al Comando periferico competente per territorio ed una copia verrà trasmessa all’Ufficio. Alla ricezione dei moduli, il Comando territoriale, mediante l’accesso al server del SILD via internet, provvederà:
- per i volontari dell’Esercito: ad integrare i dati contenuti nel SILD caricati tramite flusso informatico proveniente dal Sistema Informativo Generale dell’Esercito (SIGE);
- per i volontari della Marina e dell’Aeronautica: al caricamento completo dei dati riportati nel modulo. Le interfaccia con eventuali sistemi informativi del personale delle due Forze armate saranno oggetto di sviluppi futuri per il relativo caricamento informatizzato dei dati iniziali analogamente a quanto previsto per l’Esercito con l’interfaccia SIGE/SILD.
Nelle more della realizzazione dei collegamenti tra i Comandi militari periferici e il SILD e della formazione del personale preposto ad operare sul Sistema, tutte le operazioni relative di gestione, ivi comprese quelle di caricamento dei dati iniziali, saranno curate dal personale dell’Ufficio.
Nell’attuale fase di avvio delle procedure, inoltre, caratterizzata da una non ancora diffusa conoscenza del progetto “sbocchi occupazionali” e dalla mancata attivazione del SILD, coloro i quali si fossero nel frattempo congedati senza aver avuto l’opportunità di aderire al progetto, potranno farlo compilando il modulo di adesione presso l’Ufficio ovvero presso il Comando militare competente per territorio che provvederà a trasmetterlo all’Ufficio stesso per il caricamento dei relativi dati.

L’orientamento professionale
La fase successiva all’adesione da parte del volontario congedando/congedato consiste nel colloquio di orientamento professionale che è finalizzato alla emersione di abilità e competenze, codificazione delle esperienze pregresse e del know-how acquisito durante il servizio, aspirazioni, espressione del gradimento per sedi di lavoro, redazione del bilancio delle competenze con fornitura, da parte dell’Ufficio, di suggerimenti sul mercato del lavoro, nonché valorizzazione delle capacità imprenditoriali. Tutti i dati verranno immessi nel Sistema che fornirà, in output, quali possono essere i percorsi formativi cui indirizzare il volontario.
Una volta caricati i dati dei volontari nel SILD, è previsto che venga calendarizzato, da parte dell’Ufficio, uno o più cicli di incontri tra i volontari stessi e Orientatori professionali( psicologi/Ufficiali periti selettori/civili debitamente qualificati). Tali incontri che, nell’ambito delle politiche attive del lavoro, assumono la definizione di colloqui di orientamento professionale, soddisfano le prioritarie esigenze di riconversione e di mobilità professionale, interne ad un mercato del lavoro caratterizzato dalla necessità di rielaborare percorsi di professionalizzazione che mutano nel tempo e di modalità fortemente innovative nella definizione dei rapporti di lavoro. In tal senso, l’orientamento fornito dal servizio diventa un processo che accompagna l’iter formativo e lavorativo di ciascun volontario, consentendo così l’elaborazione di competenze e professionalità individuali rapportate alle reali richieste del mercato del lavoro[2]. Nel corso delle sedute, l’interfaccia con il SILD da parte degli “orientatori” consentirà a questi ultimi di avvalersi, oltre che delle domande concrete di lavoro, anche delle risultanze dell’indagine “Excelsior”, annualmente condotta da Unioncamere, sulle previsioni di assunzioni per figure professionali da parte delle aziende, sino a livello provinciale. In tal modo potrà essere redatto per ciascun volontario un apposito “dossier personale” i cui documenti di sintesi sono costituiti da una scheda biografica e dal profilo professionale o bilancio delle competenze.
La memorizzazione dei citati documenti nel SILD, ne faciliterà l’utilizzo, in video e in stampa, per le successive azioni mirate di formazione professionale e/o di agevolazione all’inserimento lavorativo presso istituti di formazione e/o aziende interessate all’assunzione del volontario. La sezione “orientamento” prevista nel SILD consentirà l’aggiornamento del curriculum vitae.
E’ ancora previsto, allo stato, che, nelle more della costituzione dei Nuclei di Collocamento al lavoro, le operazioni di orientamento professionale saranno curate direttamente dal personale dell’Ufficio che provvederà, altresì, alla memorizzazione nel SILD.

La formazione professionale
La formazione professionale ha ormai assunto rilievi di natura strategica all’interno del mondo del lavoro; quest’ultimo, sempre più caratterizzato da esigenze di flessibilità e mobilità richiede, infatti, continui aggiornamenti professionali volti all’ampliamento delle conoscenze e all’approfondimento delle competenze dei lavoratori. Non a caso nel linguaggio comune è entrato il concetto di “lifelong learning” o “formazione continua”, inteso come apprendimento di qualità lungo l’intero arco della vita lavorativa. Conseguentemente, in aderenza al disposto normativo che ha stabilito le linee d’intervento dell’Ufficio, il 26 settembre 2002 è stato ratificato, in sede di Conferenza Stato-Regioni, l’Accordo quadro finalizzato alla stipula di Protocolli d’intesa tra le singole Regioni amministrative/Province autonome e i Comandi militari periferici competenti per territorio, per consentire l’accesso dei volontari ai corsi di formazione professionale, a carattere specialistico, attivati dalle Regioni stesse e cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo. L’Ufficio ha, inoltre, redatto uno schema di Convenzione operativa, discendente dai Protocolli stessi, che definisce competenze, tempi e modalità per dare concreta attuazione alle azioni formative da porre in essere nei riguardi dei volontari. Si vengono a delineare, in questo contesto, alcune indicazioni utili per le azioni dei Comandi militari territoriali in questo particolare settore, al fine di avviare i rapporti con gli Assessorati provinciali competenti in materia di formazione e lavoro nonché di approfondire con i Centri pubblici per l’impiego provinciali, in funzione del ruolo centrale ai medesimi attribuito in materia dal Decreto legislativo 469/97[3], costruttivi rapporti secondo le modalità di scambio delle informazioni stabilite sia nei Protocolli di Intesa che nella bozza di Convenzione operativa diffusa dall’Ufficio ed attuativa dei Protocolli d’intesa stessi.
Tale formazione professionale, realizzata in percorsi particolari che, a regime, tengano conto della dislocazione territoriale dei volontari e di eventuali specifiche qualificazioni professionali, è previsto che venga realizzata, in primo luogo, mediante i corsi posti in essere dalle Regioni amministrative. Altra fonte di percorsi formativi è quella che verrà a scaturire dagli atti di convenzionamento posti in essere con il mondo dell’imprenditoria privata la quale, negli stage o tirocini che annualmente pone in essere, potrà riservare dei posti ai volontari congedati/congedanti.
Anche in questo caso, nelle more dell’entrata a regime del SILD, l’Ufficio fornirà ai Comandi territoriali, competenti per sede di servizio o di residenza dei volontari, l’elenco nominativo dei volontari sottoposti a colloquio di orientamento professionale; le rispettive schede biografiche ed i relativi profili professionali o bilanci delle competenze.
Le azioni successive dei Comandi per la iscrizione e la frequenza ai Corsi di formazione professionale del personale in questione dovranno essere disciplinate in base alla Convenzione operativa. Stante tuttavia i tempi ancora necessari per le ratifica di quest’ultima, vengono auspicati temporanei accordi in sede locale per consentire comunque al personale in questione di poter usufruire dell’offerta formativa erogata dalle Amministrazioni locali in quei corsi che, annualmente o semestralmente, vengono già attivati (cosiddetti “corsi a catalogo”).
Sempre nell’intento di assicurare adeguati livelli formativi al personale segnalato, in alternativa ai Corsi di formazione professionale erogati dai Servizi pubblici per l’impiego e quelli scaturenti dai citati accordi con le Organizzazioni nazionali, potranno essere presi in esame eventuali stage/tirocini aziendali disponibili presso il mondo dell’imprenditoria privata. In questo particolare settore, rivolto allo svolgimento di esperienze dirette in azienda, l’Ufficio ha sviluppato con l’Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura (Unioncamere), nell’ambito della Convenzione stipulata il 10 marzo 2004, una peculiare forma di collaborazione culminata con la ratifica di una “Intesa operativa Quadro a livello nazionale per favorire la realizzazione di esperienze di tirocinio per personale militare volontario in congedo, presso le Aziende e le strutture camerali”. L’Intesa prevede, tra l’altro, la stipula, a livello territoriale, di Convenzioni attuative tra gli Uffici periferici del Ministero della Difesa, le Camere di Commercio e il mondo del lavoro e dell’impresa attraverso un’Intesa operativa territoriale tra Comando militare e Camere di Commercio; una Convenzione quadro a livello territoriale tra Comando militare/Camera di Commercio, quali soggetti promotori, e le Strutture associative territoriali; una Convenzione di tirocinio di formazione ed orientamento tra Comando militare/Camera di Commercio quali soggetti promotori, e singola azienda/impresa, quale soggetto ospitante.
Tale raccordo con Unioncamere e con le varie Camere di Commercio territoriali consente, tra l’altro, di poter usufruire, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, incrementando, in tal modo, l’offerta formativa da proporre ai volontari, del portale Polaris di Unioncamere (www.polaris.unioncamere.it) e della relativa banca dati telematica per l’incontro tra domanda e offerta di tirocini.


Il progetto Equal-fermalavoro

Sia consentito, in tale ambito, volgere una particolare attenzione al finanziamento di percorsi formativi specializzanti per gli anni 2005-2006-2007 che l’Ufficio ha ottenuto, di concerto con Unioncamere ed il Ministero del lavoro, dal Fondo sociale europeo per l’ importo di 1 milione di euro circa.
Nel quadro dei rapporti di collaborazione instaurati a seguito della Convenzione stipulata dall’Ufficio con Unioncamere, infatti, è stato realizzato un progetto, denominato “ferma lavoro”, finalizzato essenzialmente alla formazione professionale e ad azioni di “placement” sul mercato del lavoro dei militari in ferma breve/prefissata. Merita particolare attenzione, dato che rappresenta il ‘fiore all’occhiello’, se mi si passa l’espressione, dell’attività sin qui svolta dall’Ufficio, in quanto è il primo finanziamento, ottenuto dall’Amministrazione della difesa, specificatamente per l’attività in questione, direttamente dal Fondo Sociale Europeo, nell’ambito dell’iniziativa comunitaria “ Equal”, per il tramite dello stesso Ministero del lavoro ed in collaborazione con la citata Unione delle Camere di Commercio che, mettendo a disposizione la propria esperienza e quella dei suoi Istituti formativi Tagliacarne ed Ifoa, ha concorso alla realizzazione di questo progetto che, in ambito europeo, ha trovato anche una partnership transnazionale con l’Olanda, la Germania e la Polonia.
L’dea di fondo su cui si basa il progetto italiano ammesso a finanziamento consiste nel ritenere che i militari volontari, al termine del periodo di ferma breve o prefissata, costituiscono un target di lavoratori che, in vista dell’uscita dalla vita militare e del rientro nella vita “civile”, necessitano, per evitare potenziali difficoltà di inserimento lavorativo, di un aggiornamento e/o di una riconversione sia sotto il profilo delle competenze professionali che in termini relazionali e socio-culturali.
Partendo dal citato accordo, il Progetto prevede azioni di orientamento, formazione, consulenza ed accompagnamento per l’incontro domanda e offerta di lavoro. Obiettivo finale al quale il progetto punta è quello di creare una maggiore integrazione tra il mondo militare (allo stato,volontari in ferma breve/prefissata), con il suo notevole portato di esperienze professionalizzanti, ed il mondo delle imprese. L’intendimento è, quindi, quello di creare un ponte permanente tra il mondo del lavoro civile ed il mondo del lavoro militare mediante un continuo dialogo tra le parti, azioni di formazione/riqualificazione mirata e attività di orientamento e counseling.
Il programma di lavoro si estrinseca in sei fasi consistenti nella ricerca e analisi dei fabbisogni e degli sbocchi professionali con l’obiettivo di costruire la mappa dei profili professionali di uscita prevalenti per la figura dei militari congedati/congedandi e di incrociarla con il quadro delle aspettative occupazionali e professionali della popolazione di riferimento. Segue una fase di orientamento specialistico che punta non solo alla fornitura di informazioni, ma anche a supportare i processi decisionali fornendo strumenti per valutare le diverse alternative lavorative a disposizione che dovranno essere oggetto di un approfondito studio metodologico finalizzato, in particolare, ad assicurare la coerenza degli interventi con il quadro dei fabbisogni. Viene previsto anche il reclutamento delle aziende ed il placement delle risorse formate anche attraverso attività di stage in azienda che, in generale, rappresentano un ponte importante tra la formazione ed il lavoro poiché consentono alle aziende di verificare la qualità degli allievi in un ambiente protetto da vincoli ed in una dimensione che è sostanzialmente formativa.
Si perviene, quindi, alla definizione di un modello di “percorso” relativo all’avviamento al lavoro dei militari in congedo. Tale modello si sostanzia in un metodo operativo attraverso cui una organizzazione pubblica o pubblico-privata che gestisce orientamento, formazione ed avviamento al lavoro per militari volontari in congedo guarda agli altri protagonisti dello scenario sociale ed economico per potersi confrontare con essi ed attivare un procedimento standardizzato di trasferimento di know-how.
E’ prevista, infine, una fase fondata sull’implementazione di una strategia di diffusione delle innovazioni e delle buone prassi individuate, finalizzata alla promozione di cambiamenti reali a livello sistemico. E’, in definitiva, un’attività che, partendo da una sperimentazione da effettuarsi su un numero contenuto di volontari congedati – qual è quello attualmente aderente alle procedure dell’Ufficio - vuol consolidare una serie di standard da inserire in un progetto da realizzarsi, nel tempo, su un bacino variabile di utenti.
Nell’ambito di tale progetto sono stati ipotizzati –ed alcuni già attivati - sette percorsi formativi specialistici, basati su una metodologia didattica finalizzata all’incremento delle conoscenze e passibili di integrazioni e modifiche: ristorazione, sicurezza/sorveglianza, autotrasporto, servizi di logistica, informatico, telecomunicazioni, servizi sanitari. Detti corsi prevedono un approccio in alternanza tra didattica e applicazione pratica.
Allo stato, hanno segnalato la loro adesione al progetto circa 400 volontari sui quali viene sperimentata sia la procedura in genere sia, in specie, il progetto “fermalavoro” con inevitabili ripercussioni sulla successione delle varie fasi in cui è strutturato in quanto, per alcuni di loro, può intervenire sia l’immissione nel servizio permanente che, stante le attuali esigenze operative delle Forze armate, particolarmente pressanti sia per gli impegni internazionali che per gli effetti derivanti dalla sospensione della leva obbligatoria, il fatto che alcuni soggetti, al momento della convocazione per l’inizio del corso professionalizzante, possano trovarsi impegnati in qualche teatro operativo, soprattutto all’estero.

Il sostegno alla ricollocazione professionale
L’ultimo step della procedura prevede l’accompagnamento del volontario alle varie forme di inserimento occupazionale sia nell’ambito del lavoro dipendente che verso la creazione di impresa da parte di coloro che ne mostrano i requisiti e la disponibilità. Un settore del tutto particolare è quello della creazione, fra i volontari, di cooperative che svolgano “attività di supporto a quelle logistiche degli Stati Maggiori” (c. 4, art.17, D.Lgs.215/2001).
L’inserimento nel mondo del lavoro dei volontari presuppone il massimo impegno nell’attività divulgativa dell’offerta di lavoro espressa dai volontari stessi sul mercato dell’occupazione. A tal fine, la “vetrina” dell’offerta di lavoro allestita grazie al relativo “data base” del SILD aggiornato con le modalità descritte in precedenza, può essere resa disponibile ai datori di lavoro sia in modalità tradizionale, trasmettendo a questi direttamente, o per il tramite delle Organizzazioni datoriali di categoria, i curricula vitae dei volontari, la scheda biografica ed il bilancio delle competenze, sia in modalità che sfruttino le potenzialità del Web. In questo ultimo caso verrebbe realizzato l’incontro on-line tra la domanda e l’offerta di lavoro ove la domanda è rappresentata dalle opportunità occupazionali che i datori di lavoro avranno immesso nel relativo “data base” del SILD. Analoga opera divulgativa dell’offerta dovrà essere operata a livello locale presso i Centri per l’impiego e relativi portali, e presso il SIL del Ministero del lavoro destinato ad evolvere, con la recente riforma legislativa del mercato del lavoro, in borsa continua nazionale del lavoro. Anche in questa fase è previsto che gli operatori dei Comandi militari territoriali e quelli dell’Ufficio a livello nazionale, operino l’aggiornamento dell’anagrafica sui colloqui di lavoro e sui contratti di assunzione eventualmente raggiunti. Anche per questa attività, in attesa della realizzazione dei collegamenti tra i Comandi regionali citati e il SILD, l’aggiornamento dell’anagrafica sul Sistema sarà curata dall’Ufficio anche in previsione di possibili adeguamenti SW che si dovessero rendere necessari sul Sistema stesso.
Vi è da aggiungere che, nel panorama dei servizi pubblici e privati a supporto delle politiche attive del lavoro, è prevista la realizzazione di un servizio di accompagnamento per lo sviluppo dell’imprenditoria capace di favorire iniziative di lavoro autonomo. Anche l’Ufficio non può disconoscere tale realtà nel ventaglio di opportunità da proporre al volontario, dovendo preoccuparsi di favorire un sostegno a tutto campo a quel personale che volesse avviarsi su un percorso di autoimpiego.
Ciò premesso, l’iter di accompagnamento dei volontari verso tale forma di possibile occupazione prende avvio dalla fase di orientamento, precedentemente descritta, (il volontario in tale sede potrebbe esprimere questa sua volontà) e si sviluppa attraverso la fase di formazione specifica che verrà erogata secondo quanto previsto da appositi Protocolli d’Intesa o Convenzioni che sono in via di realizzazione con organismi competenti nel settore. La fase realizzativa dell’idea imprenditoriale ed il supporto legale e tecnico-amministrativo saranno curati con l’ausilio della sede territoriale della Società Sviluppo Italia S.p.A. Quest’ultima è, infatti, la Società che ricopre, a livello nazionale, il ruolo di unico referente istituzionale nello svolgimento di tutte le funzioni e i compiti necessari per sostenere l’intero processo di creazione di impresa (assistenza tecnica dei progetti e delle iniziative, selezione ed erogazione delle misure incentivanti, anche finanziarie).
Inoltre, in attuazione di quanto disposto dall’art. 17, comma 4, del Decreto Legislativo n. 215/2001 ai sensi del quale “la Difesa favorisce la costituzione di cooperative di servizi tra i militari di truppa in ferma breve e in ferma prefissata congedati per l’affidamento di attività di supporto logistico di interesse delle Forze Armate” , l’ Ufficio deve provvedere a garantire agli interessati l’ausilio necessario per la realizzazione del progetto cooperativistico avvalendosi, per quanto concerne la fase di formazione degli stessi, di strutture competenti, che verranno rese disponibili da parte del Ministero delle attività produttive, con il quale è stata avviata la procedura necessaria per la stipula di uno specifico Protocollo d’intesa, allo stato attuale in fase di avanzato esame da parte di detto Dicastero.
In questa evenienza, come ad ogni step dell’iter procedurale, verrà aggiornata l’anagrafica del volontario.


Rapporti istituzionali

Un’ attività come quella di cui si sta trattando non può certamente essere avulsa da continui rapporti e, soprattutto, da attività di raccordo con altre Pubbliche amministrazioni. Si è già fatto menzione dell’Accordo Quadro siglato tra il Ministero della difesa, la Conferenza stato-regioni ed il Ministero del lavoro a seguito del quale è stato istituito, presso il Coordinamento Tecnico delle Regioni amministrative, un tavolo tecnico finalizzato ad analizzare i vari problemi scaturenti dall’applicazione del citato accordo ed a predisporre eventuali atti integrativi e/o correttivi.
Nella considerazione che la legge di riforma del mercato del lavoro, nella sua evoluzione e nella sostituzione degli Uffici di collocamento con i Centri per l’impiego, ha posto questi ultimi sotto la giurisdizione delle Province amministrative, è facile intuire quale mole di attività si sta sviluppando e ancor di più dovrà essere sviluppata perché i Comandi periferici dell’Amministrazione della difesa addivengano a condividere con tutte le Province italiane una Convenzione operativa che renda esecutivi i citati protocolli di intesa.
Al di là dell’attività intesa, per così dire, a periferizzare le procedure dell’Ufficio, rendendole così più coerenti e maggiormente in linea con quella che è la realtà produttiva ed amministrativa del territorio, a livello centrale devono essere costanti i rapporti con la Presidenza del Consiglio dei ministri e con il Ministero del lavoro, senza trascurare altre Amministrazioni quale, ad esempio, il Ministero delle attività produttive con il quale sono in corso da tempo rapporti per ottenere tutti i supporti possibili in ordine alla costituzione, tra i volontari, di cooperative.
Tra le attività sinergiche da porre in essere con il Ministero del lavoro e con le Università agli Studi, vi sono poi quelle finalizzate al riconoscimento, nei confronti delle professionalità acquisite dai volontari, di crediti formativi, ed alla elaborazione di corsi di formazione per orientatori professionali. L’Ufficio ha bisogno, al centro come nelle sue strutture territoriali, di tali figure professionali qualificate che sappiano svolgere la loro attività nella considerazione che l’interlocutore rappresenta una particolare atipicità tra coloro che sono alla ricerca sia di una ulteriore attività formativa professionalizzante che di una attività lavorativa.
La particolare connotazione dell’Ufficio, che si pone in termini istituzionali come struttura destinata ad interagire sul mercato del lavoro con analoghe strutture, pubbliche e private, ha determinato la necessità di effettuare una ricognizione di dette strutture con lo scopo di stabilire ogni possibile rapporto di collaborazione.
In tale ottica si sono rivelati utilissimi quelli instaurati con i quadri dirigenti di Italia Lavoro S.p.A. e dell’Istituto per la Formazione e l’Orientamento ( ISFOL). La prima, nella veste di Agenzia strumentale del Ministero del lavoro, incaricata di realizzare un sistema integrato nazionale/locale di incontro domanda/offerta di lavoro, consentirà all’Amministrazione della difesa, come già accennato, l’attivazione delle connessioni con i portali lavoro dei servizi pubblici per l’impiego e con i soggetti privati abilitati ad operare sul mercato del lavoro. La seconda (ISFOL), invece, quale ente pubblico per lo sviluppo delle formazioni professionali dei lavoratori, rappresenta, attraverso le sue attività e le sue pubblicazioni, un utilissimo strumento di individuazione dei sistemi di formazione, di orientamento e delle politiche del lavoro per verificarne l’applicabilità nei confronti dei soggetti volontari.
Per consentire ai volontari la più ampia possibilità di collocamento anche nel settore pubblico, l’Ufficio, in attuazione dell’art.18, comma 4, del Decreto Legislativo 215/2001, ha posto in essere tutte le iniziative atte a realizzare la verifica del rispetto, nei bandi di concorso emanati da Amministrazioni pubbliche, delle riserve dei posti per i volontari in ferma breve, nonchè all’effettuazione di statistiche afferenti le assunzioni operate dalle stesse. Le Amministrazioni Pubbliche, pertanto, sono costantemente invitate, nell’emanazione dei bandi di concorso, all’osservanza della previsione normativa e, qualora le stesse non si conformassero al dettato legislativo, l’Ufficio formula loro i relativi rilievi.





Incentivi all’occupazione
Non può concludersi questa panoramica senza aver considerato, in modo particolare, il dettato del secondo comma dell’art. 17, del più volte citato Decreto legislativo 215/01.
L’intero articolo prevede, in favore del personale eccedente le esigenze delle Forze armate e dei volontari di truppa in ferma breve e prefissata, congedati senza demerito, una serie di benefit cui poter far ricorso per agevolare il loro inserimento nel mondo del lavoro privato.
In particolare, per quel di interesse, il secondo comma recita testualmente “le norme di incentivazione dell’occupazione e dell’imprenditorialità che individuino i beneficiari anche sulla base dell’età, della condizione occupazionale precedente, o della residenza, sono applicate ai volontari di truppa in ferma breve e in ferma prefissata congedati senza demerito che abbiano completato la ferma prescindendo dai limiti di età e dai requisiti relativi alla precedente condizione occupazionale e considerando la residenza precedente l’arruolamento”.
Attese le perplessità di indole interpretativa generate dal non chiaro disposto della norma, l’Ufficio ha perseguito e sta perseguendo l’obiettivo di pervenire ad una soluzione condivisa con il Ministero del lavoro sulla questione, stante anche la presunta incompatibilità della norma in esame con la disciplina comunitaria in materia di aiuti alle imprese. A dire del predetto dicastero, infatti, i volontari di cui all’art. 17 non rientrano in alcuna, né sono assimilabili ad esse, delle categorie di “lavoratori svantaggiati” elencati dall’art. 2 del Regolamento CE n.2204/2002, emanato su tale materia.
La questione è divenuta maggiormente controversa a seguito dell’approvazione, da parte dello stesso Ministero del lavoro del progetto “Equal-fermalavoro”, ed il relativo finanziamento da parte del Fondo Sociale Europeo, stante il carattere transnazionale della problematica comune ad alcuni Paesi europei in ordine all’abbandono del sistema di reclutamento basato sulla coscrizione obbligatoria. La considerazione ricevuta in sede comunitaria dai nostri volontari, valutati quali “particolare target di lavoratori che, in vista dell’uscita dalla vita militare e del rientro nella vita civile necessitano, per evitare potenziali difficoltà di inserimento lavorativo, di un aggiornamento e/o di una riconversione sia sotto il profilo delle competenze professionali che in termini relazionali e socio-culturali”, giocherebbe a favore della disponibilità dell’Unione europea ad un’interpretazione della condizione dei nostri volontari congedati come di reale svantaggio sul mercato occupazionale.
Tale riconoscimento potrebbe essere preso alla base di una notifica alla Commissione Europea, ai sensi dell’art. 24, del sopra citato Regolamento comunitario, delle misure previste dall’art. 17 della legge 215/01 a beneficio dei volontari in qualità di “categoria svantaggiata” e finalizzata ad un agevolato reinserimento lavorativo nel mercato del lavoro nazionale.
Allo stato attuale, quindi, la problematica permane in fase di stallo atteso che l’effettiva operatività dei citati benefit previsti dall’art. 17 presuppone imprescindibilmente l’attivazione del Ministero del lavoro, ai fini dell’individuazione di concrete misure di agevolazione al collocamento sul mercato dei volontari congedati/congedandi e, conseguentemente, dell’Istituto Nazionale Previdenza (INPS).

Conclusioni
Non può essere sottaciuto il fatto che tutto ciò che sino ad oggi è stato predisposto, potrà e forse dovrà subire, nel tempo, degli adattamenti in quanto, come è facilmente comprensibile, l’attività dell’Ufficio è work in progress stante anche una legislazione in continua evoluzione che, peraltro, dovrà tener conto degli adattamenti che verranno consigliati al processo di professionalizzazione delle Forze armate dal consolidato dell’esperienza maturata.
Se da un lato l’Ufficio è proteso ad affinare gli strumenti sin’ora posti in essere per lo svolgimento delle competenze determinate dalla legge, dall’altro c’è ancora incertezza sia sugli Organi periferici della Difesa che dovranno interfacciarsi con l’Ufficio stesso, sia sull’entità dei volontari cui riferire la procedura, sia sulla possibilità di poter dotare concretamente i volontari di particolari “benefit” al momento del reinserimento lavorativo. Non è possibile, al momento, avere certezze sugli sviluppi, sulle decorrenze a regime e sui possibili risultati di tale attività. L’unico dato certo, emergente soprattutto dall’esperienza maturata in altri paesi europei, è la positività del ruolo di tale struttura al fine di sostenere quel turn-over idoneo per la realizzazione di Forze armate dinamiche, professionali ed in evoluzione con i tempi.
Necessari sono e saranno, quindi, degli adattamenti continui di rotta. Restano fermi, però, quei capisaldi che hanno visto un accoglimento positivo dell’attività di ricollocazione professionale dei volontari da parte del mondo imprenditoriale: cosa non da poco se la consideriamo nell’ottica della progressione che sta vivendo la stessa professionalizzazione delle Forze armate anche se, ai fini dell’attività dell’Ufficio, il non poter sperimentare appieno la procedura ideata e gli strumenti posti in essere, stante le incertezze sui fruitori, sulle destinazioni, sui percorsi e su altre particolarità che sono indispensabili per un massimo rendimento, costituisce un handicap rilevante.
Per quanto attiene, in particolare, la formazione, è assolutamente necessaria una programmazione annuale degli esodi in quanto la sua mancanza ha reso necessario prevedere, in via principale, nelle Convenzioni operative, a beneficio dei volontari, una possibile riserva percentuale di posti nei corsi “a catalogo” delle rispettive amministrazioni regionali e provinciali, quando, invece, sarebbe oltremodo necessario poter richiedere a queste ultime anche la realizzazione di corsi “ad hoc” che, certamente, sono auspicabili per una maggiore incisività e coerenza.
E’ da rilevare che la concreta attuazione del progetto “sbocchi occupazionali” sconta anche l’esistenza di una normativa estremamente frammentaria che disciplina i rapporti tra le Regioni e le Province e che determina lo sviluppo di regolamentazioni non univoche, ma diverse tra Regione e Regione, e anche nell’ambito della stessa Regione.
L’aspetto forse più critico nell’ambito della formazione, quando finalizzata all’assunzione da parte di aziende o società private che erogano la formazione stessa, è quello dato dalla indeterminatezza della posizione dei volontari i quali, dopo essere stati destinati a corsi di formazione, potrebbero, al momento, non rendersi disponibili per una eventuale attività formativa/lavorativa in quanto raffermati o passati in servizio permanente, rendendo vano l’impegno, anche finanziario, dell’azienda o della società coinvolta. Ciò con le prevedibili conseguenze sia per l’immagine, la credibilità e l’affidabilità dell’Amministrazione, che in vista di eventuali futuri accordi con altri organismi interessati.
Un ulteriore nodo è quello riguardante la c.d. finestra formativa, fissata, al momento, negli ultimi sei mesi antecedenti il congedo. Considerato che la concreta gestione delle attività formative dipende da altri enti – Amministrazioni locali, aziende, ecc –, si è potuto notare che l’avvio al corso di coloro che hanno dato l’adesione al progetto sbocchi occupazionali nei tempi stabiliti dalla direttiva in materia non risulta essere più coerente con i 6 mesi di cui sopra. Con la nuova codificazione dei volontari in VFP1 e VFP4, è facile arguire che dovranno essere rideterminati sia i tempi che i soggetti da avviare a formazione e, se del caso, rivedere anche le previsioni sulla attività di orientamento.
In ultima analisi, al di là degli scarsi numeri al momento disponibili, ad avviso di chi scrive, è assolutamente indispensabile prevedere per tempo agli inevitabili aggiustamenti, normativi e procedurali, relativi all’attività “sbocchi occupazionali”, anche in vista del momento di revisione delle riserve di posti da destinare ai volontari da parte delle Forze di polizia, momento stabilito dalla legge 226/2004 per l’anno 2010.
Il modello organizzativo che scaturisce dall’esame e dall’applicazione di quanto sin qui esposto dai vari livelli di responsabilità rappresenta un primo traguardo nel lungo e articolato lavoro che dalla fase ideativa, coincisa con la costituzione dell’Ufficio e con la predisposizione dei primi atti, consente oggi di guardare a quella esecutiva che potrà comunque avere piena operatività solo con la prevista costituzione dei Nuclei di collocamento al lavoro dei volontari nell’ambito dei costituendi Comandi Territoriali Interforze e/o dei Comandi Distrettuali dell’Esercito. Ciò non di meno, c’è la consapevolezza che alcune “aree” del progetto vadano ulteriormente approfondite e meglio definite, alla luce dell’esito di talune iniziative già in essere, quali quelle relative all’entrata in funzione presso il Ministero del lavoro della borsa continua nazionale del lavoro (con conseguente sua possibilità di interconnessione con il SILD), nonché il riconoscimento ai volontari da parte dello stesso Dicastero dello status di mobilità/disoccupazione idoneo a favorirne l’assunzione da parte dei datori di lavoro. In proposito si ritiene che ove tale riconoscimento (essenziale per assicurare ai volontari maggiore competitività sul mercato del lavoro) non risultasse possibile con l’attuale quadro normativo, si dovrebbe porre allo studio una specifica iniziativa affinchè il ritorno alla vita civile trovi compensazione legale in un dispositivo di riconversione per il quale vengano accordati benefici di una certa importanza. In ogni caso, lo spazio che l’Ufficio, tanto a livello centrale quanto a livello territoriale, si è sinora guadagnato nel vedersi riconosciuto un suo preciso ruolo istituzionale nella complessa materia del mercato del lavoro, rappresenta una solida base per chiedere ed ottenere l’ulteriore collaborazione di soggetti pubblici e privati abilitati ad operare sul medesimo mercato, nell’intento di ampliare la rete di relazioni e diffondere ulteriormente la propria “mission”. A questo scopo, la pubblicazione delle prime pagine web dedicate al progetto nel portale dello Stato Maggiore della Difesa, che saranno oggetto di costante ampliamento e aggiornamento, rappresenta un’ulteriore iniziativa tesa a diffonderne la conoscenza e, in futuro, anche a fornire ai diretti interessati (volontari e aziende), tramite la sezione dedicata al SILD, l’acquisizione di notizie, modulistica e documentazione varia di rispettiva pertinenza.
Inoltre, nell’ottica di rendere sempre più appetibile la professione militare e con essa l’elevazione qualitativa e quantitativa del reclutamento, è indispensabile che l’informazione sulle misure in parola possa raggiungere il personale volontario tutto attraverso le “direttive organizzative” che saranno diramate dagli Stati Maggiori di F.A. così come previsto dal vertice interforze. D’altro canto potrà rivelarsi di estrema importanza che le campagne promozionali sul reclutamento possano avvalersi degli auspicati ritorni sul fronte delle “agevolazioni” ottenute dal personale che lascia il servizio per il suo accesso al mercato dell’occupazione. In tal modo, suffragato da una piena sinergia tra Area tecnico-operativa e tecnico-amministrativa dell’Amministrazione della Difesa, ai vari livelli, sarà instaurato quel circolo virtuoso che risulterà certamente utile per affrontare efficacemente i prevedibili problemi derivanti dall’inevitabile “invecchiamento” dei ruoli del servizio permanente.

[1] Dirigente del Ministero della Difesa
[2] Nell’elaborazione delle varie fasi della procedura è stata tenuta nella debita considerazione l’avvenuta riforma del mercato del lavoro, introdotta, da ultimo, dalla L. 14 febbraio 2003, n.30, la così detta legge Biagi, e dalle successive integrazioni apportate, in particolare, dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
[3] Attraverso tale norma sono stati conferiti alla Regioni e agli enti locali funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro.