Dal I Reggimento Motorizzato al Corpo Italiano di Liberazione 27
settembre 1943 – 18 aprile 1944
Il Corpo Italiano di Liberazione
si costituì all’indomani della brillante azione su Monte Marrone come diretta
emanazione del I Raggruppamento Motorizzato. Gli Alpini del battaglione Piemonte con la loro azione di
occupazione prima e di difesa poi del Monte Marrone, avevano fugato le ultime
perplessità degli Alleati sul costituire una forza combattente italiana da
impiegare al loro fianco sul fronte italiano.
All’indomani dell’Armistizio,
annunciato alla sera dell’8 settembre 1943, il Comando Alleato aveva permesso
la costituzione di un reparto italiano combattente di 5000 uomini, con
dotazioni ed armi esclusivamente italiane, che fu denominato I Raggruppamento Motorizzato. La data di
costituzione fu il 27 settembre 1943 ed il I
Raggruppamento Motorizzato si raccolse
nella zona di San Pietro Vernotico, in provincia di Lecce, con elementi
organici provenienti dalle divisioni “Mantova”, “Legnano”, “Piceno” e del LI
Corpo d’Armata; ebbe come Comandante il generale degli Alpini Vincenzo Dapino.
Come evidenziato, vi erano
profonde divergenze in seno all’Alto Comando Alleato sull’impiego di unità italiane
come unità di combattimento. I Britannici erano dell’avviso che l’Italia
sconfitta non doveva assolutamente partecipare alla lotta contro i Tedeschi, ma
fornire solo sostegno e forze a supporto della logistica, ovvero fornire marginale
supporto militare a sostegno delle unità combattenti alleate. Tale
atteggiamento aveva una precisa motivazione: alla fine della guerra, conseguita
la vittoria, non si voleva assolutamente che l’Italia potesse reclamare il
riconoscimento di qualsivoglia diritto, doveva essere trattata come nazione
sconfitta.[1]
Gli Statunitensi erano più
pragmatici e realistici: sul fronte italiano occorrevano forze combattenti che
al momento non vi erano, in vista della apertura del fronte in Francia, che per
loro era il vero fronte di guerra, l’unico in grado di poter permettere di
sconfiggere la Germania in tempi brevi. Di conseguenza una partecipazione
italiana alla guerra era ben vista, in quanto avrebbe permesso di sottrarre
forze statunitensi al fronte italiano per inviarle al fronte francese, come
difatti avvenne nella primavera del 1944. Da questa esigenza ha origine
l’atteggiamento statunitense di apertura verso l’Italia, che aveva convinto i Britannici
ad acconsentire alla formazione di una forza combattente italiana inizialmente
di 5000 uomini.
Di pari passo si stavano formando
le Divisioni Ausiliare, unità prettamente logistiche che al termine della
guerra vedranno impegnati oltre 210.000 soldati Italiani.[2]
I Britannici, a giustificazione
del loro atteggiamento, sostenevano che gli Italiani, per una moltitudine di ragioni
tra i quali la crisi armistiziale che ne aveva pesantemente minato le
motivazioni, non avevano alcuna intenzione di battersi per la causa alleata e
quindi, anche a causa degli scarsi mezzi[3], erano
da doversi ritenere combattenti non validi ed inaffidabili. Gli Statunitensi
scelsero di mettere gli Italiani alla prova: da qui l’entrata in linea del I Raggruppamento Motorizzato a
Montelungo l’8 dicembre 1943.
Montelungo rappresenta una svolta
dal punto di vista morale, politico e motivazionale, come simbolo del riscatto
italiano dopo la crisi armistiziale, in cui un manipolo di prodi volle
dimostrare la volontà italiana di combattere la coalizione hitleriana. Sul
piano militare fu una sonora quanto dolorosa sconfitta, che in gran parte
avvalorava le asserzioni britanniche.
L’analisi oggettiva degli
avvenimenti avvalora ampiamente gli assunti dei Britannici.
IL 26 novembre 1943, dopo un
periodo di assestamento non certo facile, il Raggruppamento fu sottoposto ad
un’esercitazione valutativa molto severa, al termine della quale gli Alleati
decisero di impiegarlo in linea nel breve giro di qualche settimana.
A questo fine, dal punto di vista ordinativo, il Raggruppamento fu inquadrato
nel VI Corpo d’Armata USA ed il 3 novembre 1943 fu messo alle dipendenze della
divisione Texas, che aveva i suoi
reggimenti - il 141°, il 142° ed il 143° - schierati sulla stretta di Mignano,
nell’alto casertano. Il 4 dicembre 1943 il Raggruppamento ricevette l’ordine di
portarsi in linea; il giorno successivo, 5 dicembre, il movimento ebbe inizio
ed il 6 dicembre le truppe italiane sostituirono le unità statunitensi in prima
linea. Il I Raggruppamento Motorizzato
rappresentava l’espressione concreta della volontà italiana di contribuire alla
sconfitta della coalizione hitleriana.
L’8 dicembre
La geografia tattica di Monte
Lungo risulta priva di elementi di particolare ostacolo, in quanto trattasi di un
rilievo montuoso su tre quote disteso in senso longitudinale nella stretta di
Mignano (il Mignano Gap per gli Alleati) che immette nella piana di Cassino,
distante circa dieci chilometri. Ai lati, verso ovest, trova collocazione un
monte che non a caso si chiama Maggiore e ad est si delinea una dorsale dominata
in alto da Monte Sammucro e sulla quale, a mezza costa, si adagia il sito
urbano di San Pietro Infine. Le caratteristiche della sopra descritta geografia
dei luoghi costituisce elemento
dirimente del fallimento nel quale trovò epilogo l’attacco dell’8 dicembre
1943.
Secondo la testimonianza di uno
dei protagonisti, Enzo Campanella[4], la
situazione del I Raggruppamento
Motorizzato non era delle migliori. Scrive Campanella:
“Ho dialogato a lungo, conversazioni a non finire, con il gen. Enzo
Corselli, mio compagno di corso, pluridecorato e di solide tradizioni militari
(suo padre, infatti, era stato Comandante dell’Accademia Militare di Fanteria e
Cavalleria di Modena). Egli raccontava che il 6 dicembre alle ore 13.00, sotto
una pioggia incessante, mosse al comando della sua 1a compagnia del I
Battaglione del 67° Reggimento Fanteria, verso Mignano, gli uomini essendo
carichi come somari perché, omnia mecum porto…altro che motorizzati, per
trasferirsi alla base di partenza e sferrare l’attacco a Monte Lungo nei giorni
successivi. All’arrivo a Mignano (periferia) non potendo consumare neanche il
rancio, dopo una marcia estenuante, bagnati fradici, perché la pioggia impediva
l’accensione del fuoco per prepararlo!
Con queste premesse – mi diceva ancora l’amico Corselli – sono mancate
le possibilità: di organizzazione sulla base di partenza per l’attacco; di
ricognizioni nelle direzioni di attacco; degli stessi accordi con l’artiglieria
e con gli Alleati che agivano ai due fianchi. Andarono all’attacco con il
morale alto, protetti dall’oscurità e, alle prime luci, dalla nebbia. Tali
condizioni però causarono la mancanza di collegamento tra i reparti minori sino
allo smarrimento delle direzioni di ogni plotone, ogni squadra, dovevano
mantenere verso gli obiettivi principali.”[5]
La preparazione insufficiente e l’approssimativa
organizzazione dell’azione, unitamente alla deficitaria azione concorrente
degli statunitensi del 142° Reggimento fanteria della divisione Texas che, contrariamente a quanto garantito,
non aveva occupato il Monte Maggiore, ebbero quale conseguenza più grave che i
Tedeschi da queste posizioni tempestarono di fuoco il I battaglione del 67°
Reggimento fanteria e la 2a compagnia del LI battaglione A.U.C, annientandola.
Dopo una breve preparazione di
artiglieria, che risultò assolutamente inefficace, fu lanciato l’attacco lungo
la costa meridionale di Montelungo, che fino alle ore 9:30 a.m. procedette bene
con i reparti Italiani protetti dalla nebbia, i quali riuscirono a raggiungere quota
343 e la quota senza numero. Intorno alle ore dieci, diradatasi a sfavore la
nebbia, la situazione divenne via via sempre più critica fino a
precipitare.
Al Comando Italiano era stato
assicurato dal Servizio Informazioni statunitense che Monte Maggiore, che
fiancheggia Montelungo, fosse già per intero in mano americana. In realtà gli
Statunitensi ne controllavano solo la cresta e non avevano eliminato le
posizioni tedesche a mezza costa, cosicché con il dissolversi della nebbia da
queste posizioni risultò assai agevole battere Montelungo e neutralizzare ogni
movimento avversario. Il LI battaglione bersaglieri A.U.C. fu sorpreso
completamente allo scoperto e la sua 2a compagnia fu decimata e sconfitta; il
battaglione impossibilitato al movimento restò costretto sulle posizioni e solo
con il favore della notte riuscì a riguadagnare, con rilevanti perdite, le
posizioni di partenza.
In vetta al Montelungo, i
Tedeschi che mimetizzati in buche e nascosti in caverne si erano volontariamente
fatti oltrepassare dagli Italiani, li sorpresero con un attacco alle spalle.
Enzo Campanella, che riporta la
testimonianza del gen. Corselli così descrive questi avvenimenti “(Corselli) in testa alla sua prima
compagnia, egli riuscì ad arrivare alla famosa quota 343, ma i Tedeschi,
contrattaccando, senza tentennamenti, entrarono nel pieno delle forze
attaccanti, mescolandosi agli assalitori e sparando a bruciapelo e da tergo,
mentre per gli attaccanti era difficile colpirli anche per il rischio di
uccidere altri componenti del reparto.”[6]
La lotta si frantumò in corpo a
corpo furiosi quanto micidiali e gli Italiani persero la coordinazione degli
sforzi e l’unità di comando. Il II battaglione del 67° Reggimento da Monte
Maggiore inviato a rincalzo si disunì e fu ripreso alla mano solo nel tardo
pomeriggio dell’8 dicembre 1943. Alle ore 13:00 si poté constatare che l’azione
era di fatto fallita e l’unica scelta possibile era il ritorno alle basi di
partenza.
L’insuccesso era evidente, anche
se non mancarono espressioni di valore individuale, che fecero da contrappunto a
condotte invero disciplinarmente riprovevoli. Il granatiere Stenio Tofone,
protagonista di quegli eventi, croce di guerra al valor militare sul campo,
ricorda[7] che i
combattimenti a corpo a corpo furono aspri (uccise un tedesco diciannovenne con
un calcio alla bocca violento e successiva azione di fuoco) e che un gruppo di
oltre 40 suoi commilitoni per sottrarsi al fuoco e trovare una via di scampo,
imboccarono un condotto e, gettando armi e divise, si dileguarono per la
campagna e non rientrano più nei ranghi.
A ciò va ad aggiungersi il
riprovevole comportamento del II battaglione del 67° fanteria, che unitamente
ad altri episodi similari, rende la misura della disfatta tattica e delle
implicazioni lesive dell’onore militare portate dalla prima azione su
Montelungo.
Enzo Campanella così descrive
quei momenti
“I reparti si lanciarono all’attacco con molto impeto su per il costone
di Monte Lungo, riuscendo ad incunearsi nello schieramento tedesco; ma in
quella prima giornata, 8 dicembre 1943, vennero a trovarsi in mezzo alla
micidiale reazione concentrica avversaria, scaglionata in profondità che non fu
possibile neutralizzare a causa ella mancanza di solide intese con i reparti
alleati.”
Oltre ai Caduti e feriti, a
Montelungo si lamenta la perdita di 151 “dispersi”, espressione che secondo
Tofone e molti altri combattenti di cui si sono raccolte le testimonianze[8] è da
ritenersi eufemistica.
Nella commemorazione fatta a
Bergamo nel 1945, il gen. Utili così concludeva:
“Gli Italiani erano stati spinti ad incunearsi nel dispositivo nemico
mentre le sommità di Monte Maggiore era in saldo possesso dei Tedeschi. I
reparti per sottrarsi al fuoco concentrico dei fianchi furono costretti a
tornare sulle posizioni di partenza. Segui poi, a distanza di alcuni giorni, la
meritata vittoria. L’operazione di Monte Lungo non è un modello di arte
militare e nemmeno si potrebbe sostenere che abbia avuto un peso di qualche
rilievo sul complesso delle operazioni. Essa impegnò direttamente poco più di
mille uomini e di loro quasi la metà non tornò. Per noi che vedemmo ben altri
catacombi, il suo significato materiale non trascende il valore di un episodio.
Tuttavia, per il valore dell’ideale, il combattimenti di Monte Lungo appartiene
non alla cronaca ma alla storia d’Italia e perciò non sarà più dimenticato.
Esso permise che si diffondesse nel mondo la notizia che, per la prima volta
nella seconda guerra mondiale e già nel 1943 i soldati Italiani si battevano a
fianco dei soldati alleati”.[9]
Le cause di questa sconfitta non
sono solo italiane: agli Italiani si può rimproverare la scarsa preparazione,
il fatto di non aver dato sufficientemente peso alle informazioni raccolte, ma agli
Statunitensi è da attribuirsi la responsabilità della inveritiera assicurazione
che Montelungo fosse difeso da un velo di loro truppe, mentre in realtà era
presidiato da robuste formazioni della Herman
Goering, una delle più agguerrite divisioni tedesche del fronte di Cassino,
nonché la responsabilità per la mancata occupazione delle posizioni di mezza
costa di Monte Maggiore, altro fattore determinante del funesto esito
dell’azione.
Lo scoramento al Comando
Italiano, nel quale era presente anche il Principe Ereditario Umberto fu
grande. Il Principe lasciò le posizioni deluso, incapace di dare un minimo di contributo
fattivo alla difficile situazione, ennesima dimostrazione di come Casa Savoia
sia stata, durante tutto il secondo conflitto mondiale, incapace di incidere
sugli avvenimenti, soprattutto nei momenti più difficili.
Contrariamente al Principe Ereditario
Umberto, che recandosi a Montelungo come ad una cerimonia, aveva di fatto reso
la sua presenza priva di utilità alcuna, il gen. Clark, Comandante del
Recatosi al Comando Italiano
l’indomani 9 dicembre, Clark assicurò che il Raggruppamento non sarebbe stato
ritirato e che sarebbe stato messo nelle condizioni di poter ritentare
l’azione. E così avvenne. Questa volta la preparazione fu più accurata. Monte
Maggiore fu definitivamente conquistato ed occupato, le posizioni furono meglio
riconosciute ed il piano di attacco si rivelò più congeniale alle forze
disponibili. L’azione fu iniziata il 16 dicembre 1943 e questa volta ebbe
completamente successo, con un numero di perdite esigue.
Il I Raggruppamento Motorizzato
aveva avuto il suo battesimo del fuoco, ma la prova fu dura; appariva chiaro
che l’unità italiana non poteva rimanere in linea. L’eccessiva sollecitudine
con la quale erano stati inviati al fronte reparti privi di un’adeguata
preparazione e poco omogenei, aveva avuto quale inevitabile conseguenza il ritiro
dal fronte del I Raggruppamento
Motorizzato, il quale fu mandato in Puglia a riorganizzarsi.
Le settimane successive furono
segnate da giorni di incertezze ed indecisione, duranti i quali veniva valutata
la possibilità che il Raggruppamento potesse essere ricostruito, ristrutturato
e potenziato, in luogo dell’eventualità che su decisione degli Alleati[10]
venisse trasformato in unita logistica, così comportando per l’Italia la perdita
di ogni possibilità di mandare truppe in linea.
Il I Raggruppamento Motorizzato, profondamente
segnato da questa esperienza, fu ritirato dalla prima linea per riorganizzarsi.
A metà gennaio il gen. Dapino fu sostituito dal gen. Utili, che dovette
primariamente risolvere i numerosi - ed
in molti casi gravi - problemi di carattere morale e disciplinare che il
Raggruppamento presentava.
Ottenuti elementi organici provenienti dalla Sardegna, Utili riuscì a rendere
i suoi reparti omogeneamente preparati ed efficacemente operativi, tanto che il
I Raggruppamento Motorizzato fu
inquadrato nel Corpo di Spedizione Francese al Comando del gen. Jouen, nella
zona delle Mainarde.
Ricevuto come rinforzo il battaglione alpini Piemonte, Utili, nel tentativo costante di ottenere considerazione
dagli Alleati, progettava la conquista di Monte Marrone, che con i suoi
Durante la notte del 31 marzo 1944, il battaglione Piemonte, su tre colonne, riesce a raggiungere la vetta di Monte Marrone
e ad organizzarsi a difesa. Non fu un attacco vero e proprio, ma un’occupazione,
che però impressionò soprattutto gli Statunitensi, i quali compresero che gli
Italiani erano in grado di combattere in montagna, terreno dove invece loro operavano
con notevole difficoltà. Respinta con tenacia e sacrificio la reazione tedesca
a Monte Marrone nella giornata di Pasqua del 1944 (10 aprile), Utili poteva
dimostrare di avere al suo comando un’unità degna di nota, pronta per altri più
impegnativi cimenti.
Al fine di evitare che gli Italiani avessero la possibilità di entrare a
Roma[11]
nel prosieguo delle operazioni, gli Alleati decisero di inviare il I Raggruppamento Motorizzato sul fronte
adriatico, senza però considerare la necessità di dover provvedere ad un suo
potenziamento.
[1] Come difatti avvenne con la firma del Trattato di
Pace, a Parigi, il2 febbraio 1947.
[2] Per le unità Ausiliarie vds: Le Divisioni Ausiliarie nella Guerra di Liberazione – Atti del Convegno
di Studi, Lucca, 8,9,10 ottobre 1994, , Roma, Centro Studi e Ricerche sulla
Guerra di Liberazione, Scena Illustrata Editrice, 1998.
[3] Churchill aveva stabilito che tutto il materiale
bellico italiano (armi, munizioni, equipaggiamenti) doveva essere inviato ai
partigiani jugoslavi titini, gli unici che in quel momento (fine 1943) che
stavano impegnando a fondo i Tedeschi nei Balcani.
[4]
Generale, ha partecipato alle operazioni quale
Comandante di compagnia alpini alla frontiera occidentale, con il battaglione Val Cordevole del 7° Reggimento alpini;
alla frontiera greco-albanese, con il battaglione Belluno; nei Balcani (Montenegro) con il battaglione Feltre; nello scacchiere mediterraneo
con il battaglione Belluno; a Monte
Marrone e al forzamento del fiume Musone ed a Jesi con il battaglione Piemonte del Corpo Italiano di
Liberazione; a Barbara e a Pergola sino al Candigliano, con il battaglione Monte Granero; sul fronte di Bologna con
il battaglione L’Aquila del gruppo di
combattimento Legnano. Decorato con 2
Medaglie di Bronzo al Valor Militare ed 1 Croce di Guerra al Valor Militare, e
di 4 Croci al Merito di Guerra ed altre onorificenze.
[5] Campanella E., Monte Marrone: Cerniera tra il Primo Raggruppamento Motorizzato ed
il Corpo di Liberazione in Boscardi E., Toselli P., Grassi N. (a cura di),
Dalle Mainarde al Metauro. Il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) 1944. –
Atti del Convegno di Studi, Corinaldo 22.23.24 Giugno 1994, Sala Grande del
Comune, Roma, Centro Studi e Ricerche sulla Guerra di Liberazione, Scena
Illustrata Editrice, 1996.
[6] Ibidem
[7] Testimonianza resa all’Autore, in presenza di altri
testimoni, l’8 Dicembre 2007, e riconfermata, l’8 dicembre 2009 alla presenza
del Nipote di nove anni, a Montelungo, sul luogo stesso degli avvenimenti
[8] Vds. la collezione, dal n. 1 al n. 39 della Rivista
“Il Secondo Risorgimento d’Italia”, Trimestrale, Roma, 2001 -2011.
[9] Il discorso
del gen. Utili è pienamente condivisibile. Ma si nota che noi Italiani abbiamo
il vezzo di celebrare solo sconfitte sul campo (El Alamein, Nicolajewa, durante
la ritirata di Russia ecc. in questo caso Montelungo), e questo avrà pure un
significato. Nazioni come la Francia e
[10] Il gen. Clark lasciava aperte molte possibilità ed
alimentava la speranza che il Raggruppamento non fosse disciolto, come da più
parti, soprattutto britanniche, si auspicava; inviando questo messaggio al gen.
Dapino, Clark scriveva: “Desidero
congratularmi cogli Ufficiali ed i Soldati al vostro comando per il successo
riportato nel loro attacco di ieri su Monte Lungo e su quota 343. Questa azione
dimostra la determinazione dei soldati Italiani a liberare il loro paese dalla
dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli
oppressi d’Europa”
[11]
In realtà il 7 giugno 1944 un reparto italiano
entrò in Roma; sceso dai mezzi, sfilò dal Colosseo per via dei Fori Imperiali,
per schierarsi a Piazza Venezia e rendere omaggio al Milite Ignoto, per poi
salire al Quirinale, ove si era insediato proprio quel giorno il Luogotenente
del Regno, Umberto, per montarvi