lunedì 28 febbraio 2022
domenica 20 febbraio 2022
Alessia Biasiolo Marzo 1942 l'Operazione Chariot
La battaglia nell’Atlantico si era
rivelata una necessità tedesca per contrastare la supremazia statunitense che
avrebbe impedito la politica hitleriana. Allo stesso tempo, gli anglo americani
dovevano impedire che la Kriegsmarine potesse beneficiare dei porti
francesi sull’oceano e, se si fosse riusciti nell’intento di minare le navi
prima che potessero navigare, si sarebbero evitate perdite umane, con il nemico
che sarebbe stato ostacolato nella sua strategia bellica.
Pertanto le operazioni atlantiche
fervevano, e il 1942 certamente è stato un anno centrale in questa lotta, una
volta che gli Stati Uniti erano entrati in guerra con l’agguerrito intento di
porre fine alla supremazia tedesca e nipponica che avevano messo in ginocchio
l’una l’Europa, l’altra la base navale hawaiana.
Venne messa a punto una nuova Operazione,
denominata Chariot, nel marzo del 1942, allo scopo di rendere
inservibile un bacino di carenaggio francese in uso alla Marina tedesca,
soprattutto evitando che potesse ospitare la corazzata della classe Bismarck Tirpitz,
la nave che principalmente aveva lo scopo di tenere occupata la Marina
britannica, oppure che servisse da riparo per altre unità navali tedesche che
in quel porto avrebbero potuto essere riparate in caso di avarie.
La Tirpitz, dal nome
dell’ammiraglio della Kriegsmarine, prodotta dai cantieri Marinewerft di Wilhelmshaven e varata nel 1939, era
estremamente temuta dai nemici, tanto che vennero organizzati numerosi attacchi
per danneggiarla ancor prima che divenisse operativa: subì in sei mesi sedici
attacchi aerei da parte della Royal Air Force tra il 1940 e il 1941,
senza riportare grossi danni, ma venne continuamente ancora cacciata
dagli Alleati per cercare di affondarla, costringendola spesso a rifugiarsi tra
i fiordi norvegesi. Il tallone d’Achille della corazzata era l’eccessivo
consumo di carburante, che la rendevano vulnerabile ancor prima degli attacchi
aerei e sommergibilistici, anche da parte sovietica.
Pertanto nell’Operazione Chariot,
venne deciso di riempire di esplosivo, programmato con timer posizionati in
cassoni di cemento che avrebbero reso impossibile il disinnesco, il
cacciatorpediniere britannico HMS Cambeltown, condotto da volontari nel
porto francese di Saint-Nazaire dopo averlo camuffato da torpediniere tedesco
della classe Möwe. L’equipaggio che si occupò dell’operazione doveva poi essere
imbarcato sulle navi al seguito. In effetti questa fase operativa portò in
salvo soltanto un terzo circa degli uomini impiegati. L’Operazione
realizzata il 28 marzo riuscì, con l’esplosione del cacciatorpediniere che mise
fuori uso il bacino di carenaggio, causando la morte di tedeschi e civili
francesi per un totale di duecentocinquanta caduti, mentre morirono 169 uomini
della forza d’assalto e duecento vennero presi prigionieri.
Era chiaro che soltanto la supremazia
tecnologica avrebbe risolto la Battaglia dell’Atlantico, quindi la gara alla
messa a punto di adeguati sistemi di difesa era quanto mai essenziale. Nel 1942
gli U-Boote tedeschi vennero equipaggiati con il nuovo radar Metox che
riusciva a captare i radar sugli aerei; ben presto il numero di attacchi dal
cielo, tuttavia, aumentò con grande precisione, facendo sospettare che il radar
stesso fosse facilmente rilevabile. In effetti ciò era vero, tanto quanto il
nuovo radar inglese H2S a banda centimetrica e non rilevabile dal radar
tedesco Metox.
Il numero di apparati continuò a
moltiplicarsi su ambo i fronti, con efficacia nell’uso variabile, tuttavia
l’allarme radar serviva soltanto in condizioni di buona visibilità e, pertanto,
di giorno, dal momento che altrimenti non era possibile organizzare attacchi
aerei contro i sommergibili che, di rimando, restavano al sicuro.
Un nuovo input nella strategia bellica
navale venne dato dal proiettore Leigh che veniva installato sui
bombardieri per poter illuminare il mare e avvistare gli U-Boote, soprattutto
in fase di attacco finale: illuminando il sommergibile in emersione, era
possibile puntare con precisione e affondarlo. Il proiettore Leigh sostitutiva
così il razzo illuminante che doveva essere sparato per avere idea di dove
fosse il bersaglio, ma dando al nemico un importante preavviso. Il proiettore Leigh
poteva, invece, essere acceso all’ultimo minuto, impedendo l’organizzazione
della difesa avversaria. L’utilizzo del proiettore ridusse di molto le perdite
causate dai sommergibili tedeschi.
Nello stesso 1942, venne messo a punto
anche il porcospino, un mortaio antisommergibile che poteva lanciare
dalla prua della nave ventiquattro bombe in grado di colpire il sommergibile
nemico e di esplodere all’impatto, a differenza delle cariche di profondità che
esplodevano ad una profondità prestabilita, dovevano essere lanciate dalla
poppa e smuovevano molto l’acqua, rendendo difficile poter avvistare il
bersaglio. Con il porcospino il sommergibile poteva essere continuamente
monitorato e attaccato fino all’avvenuto affondamento, tanto che si arrivò ad
un buon 25 per cento di affondamenti riusciti, quasi quattro volte più rispetto
ai successi ottenuti con le bombe di profondità.
Alessia Biasiolo